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Tutte le fiabe di brunocorino

Questa la raccolta personale di brunocorino. Puoi contribuire anche tu al progetto "Ti racconto una fiaba" inviando i tuoi testi attraverso l'apposita pagina invia la tua fiaba.

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La barboncina di pezza

Dovevo avere cinque o sei anni. Non so che malattia presi, ma ricordo che dovevo sottopormi a una cura di punture. A me soltanto la vista dell’ago mi terrorizzava (adesso come allora). Né mia madre, né la sua amica, né la figlia della sua amica riuscivano a tenermi fermo per farmi la puntura. Era diventato davvero un bel problema!

Mia madre era disperata: ogni volta che mi trascinava in quella casa sembrava che portasse un agnello al macello. Finché un giorno la ragazza delle punture s’accorse che a me piaceva una cagnolina di pezza che se ne stava al centro del letto.

Era una barboncina nera, con una linguetta rossa, gli occhietti, anche se di plastica trasparente, erano vispi, vispi. Era fatta a grandezza naturale. Io non avevo mai avuto un cucciolo vero, e m’innamorai di quel cucciolo di pezza.

La barboncina di pezza

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Leggende di paese: il prestito

Questa storia l’ho sentita raccontare una volta da mia madre. Lei doveva avere cinque o sei anni. Quindi si tratta di un fatto accaduto pressappoco alla fine degli anni Trenta…

La famiglia Fioravanti aveva un figlio, un ragazzo molto intelligente. Lo volevano far studiare, farlo diventare un avvocato, ma non avevano i soldi per mandarlo in città.

Proprio in quegli anni, era tornato dall’America un amico d’infanzia del padre, e quando si ritrovò in paese, dopo molti anni, non ritrovò più gli amici di un tempo, perciò cominciò a legarsi molto ai Fioravanti…

Durante la sua permanenza in America era riuscito a mettere da parte una piccola fortuna. Questo amico, frequentando la casa dei Fioravanti, s’accorse di quanto il ragazzo fosse sveglio… “è un peccato che non possa studiare questo giovane”, ripeteva spesso ai genitori… l'”Americano”, chiamiamolo così perché il nome vero non me lo ricordo, un giorno prese da parte il padre, e gli fece più o meno questo discorsetto: “Ascolta tu hai un ragazzo davvero in gamba ed è un peccato veder sprecata la sua intelligenza; che avvenire può avere se continua così?

Leggende di paese: il prestito

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La bottiglia vanitosa

La mia non era vanità, ma quando vidi quella mano esperta allungarsi sul mio collo e prendermi tra le dita con tanta delicatezza non seppi nascondere un moto di profonda soddisfazione.

Guardai le mie sorelle rimaste tra gli scaffali. Finsi di essere dispiaciuta mentre salutavo ipocritamente quella Lacrima di Morro. Non m’era mai stata simpatica, e sono convinta che se fosse capitato a lei d’essere scelta me l’avrebbe fatta pesare sino alla fine dei tempi.

La bottiglia vanitosa

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Il soldatino rubato

A vederli lì tutti insieme ammucchiati in una scatola di cartone, così belli, così affascinanti nella loro posa guerriera, la tentazione di allungare la mano, mentre i grandi discutevano distrattamente, e mettermene uno in tasca fu più forte di ogni altra cosa.

In fondo, in quell’esercito di soldatini sapere che uno di loro fosse scomparso in battaglia neanche sarebbe stato notato.

A me, che mai aveva posseduto un soldatino, quell’unico bastava.

E fu così che trascorsi buona parte del pomeriggio a far fare mille acrobazie al mio soldatino, fino a quando non mi si avvicinò la vecchia strappandomelo di mano «Non è tuo», mi disse senza esitare, «l’hai rubato al mio nipotino!».

Il soldatino rubato

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Lo specchio e il coro delle rane

In uno stagno abitato da tantissime rane, piovve un giorno dal cielo uno specchio facendo splash!.

Cos’è? Gracidarono in coro le rane.

Non sappiamo, sembra un oggetto tagliente.

Non toccate, non toccate! Gracidavano in coro le rane: potrebbe essere qualcosa di malefico.

Ma da questa parte è liscio, non può far male!

Lasciate stare, ordinò il loro Re, potrebbe essere un dono malefico degli Dei invidiosi della nostra straordinaria bellezza e avvenenza.

Lo specchio e il coro delle rane

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La favola del Menestrello

In una notte fredda e burrascosa, un Menestrello bussò alla porta di un ricco contadino chiedendo una scodella calda e un riparo.

«E cosa offri in cambio della nostra ospitalità?» Domandò accigliato il contadino.

«Posso rallegrare le vostre serate con le mie canzoni».

«Noi lavoriamo tutto il giorno e non abbiamo tempo la sera di ascoltare le tue frivolezze». Rispose il contadino sbattendogli la porta in faccia.

La favola del Menestrello

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Fiordaliso, l’apetta poco laboriosa

C’era una volta una piccola ape di nome Fiordaliso, che era malvista dalle sue alacri sorelline per la sua scarsa laboriosità.

Infatti, Fiordaliso, anziché prodigarsi a raccogliere i pollini come tutte le altre, se ne stava tutto il giorno a ronzare estasiata, ammirando la bellezza dei fiori, dimenticandosi così di compiere il suo dovere.

Un bel giorno la Regina, stanca delle continue lamentele, la convocò a corte e le proibì di ammirare i fiori.

La piccola Fiordaliso divenne nel giro di pochi giorni triste e infelice.

A vederla così malinconica tutti i fiori della valle cominciarono ad appassire.

Fiordaliso, l’apetta poco laboriosa

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Il grosso pachiderma e le formiche adulatrici

In una grande foresta, viveva una volta un elefante un po’ troppo rumoroso. Quando attraversava un sentiero, la sua massa corporea era così enorme da far tremare il terreno circostante.

E così ogni volta che passava  metteva a soqquadro tutti i formicai.

Le formiche allora, stanche di questi continui scossoni, decisero un bel giorno di andare dal grosso elefante per dirgliene quattro.

Partì allora un primo manipolo di formiche agguerrite. Arrivate al suo cospetto, lo presero, come si suol dire, di petto e cominciarono a insultarlo e a minacciarlo, ma quando l’elefante alzò di poco lo zampone il manipolo fuggì via a gambe levate.

Vista la piega che il primo tentativo aveva preso, le formiche decisero di cambiare strategia. E così mandarono incontro al pachiderma un secondo manipolo di formiche adulatrici. Arrivato al suo cospetto, le formiche adulatrici cominciarono a magnificare la sua proboscide e le sue grandi orecchie. Ad ogni complimento, il grande pachiderma pareva ammansirsi e diventare docile come un agnellino.

Il grosso pachiderma e le formiche adulatrici

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Uno strano incontro…

«Io ti conosco», disse un giorno tutta piccata l’Ipocrisia alla Banalità: «Ti vedo in ogni anfratto, in ogni piega nascosta, quando riempi le mie pagine di sgorbi, di parole trite e ritrite, quando ti prodighi a scrivere per ogni uomo i tuoi pensieri morti, quando manifesti i tuoi sentimenti falsi, quando osi spargere luoghi comuni ad ogni angolo di strada».

«Anch’io ti conosco», rispose adirata la Banalità all’Ipocrisia, «quando appari timida e umile tra le righe, quando distingui peccato e peccato, e fai la faccia contrita da cristiano, o quando fai strisciare la tua lunga lingua sui marmi bianchi e gelidi degli alti scranni».

Uno strano incontro…

galileo-topino-biblioteca

La “doplite” di Galileo, il topo di biblioteca

Una volta, quando Galileo, il topino di biblioteca, era molto piccino, si ammalò di una malattia più unica che rara, una malattia terribile o “teribile”, come avrebbe detto Galileo: la “doplite”…

Un giorno, vedendo che non guariva più, Galileo decise di scrivere due righe ai più grandi scienziati del mondo, affinché trovassero un rimedio contro questa strana malattia.

Gli scienziati, radunati nel loro grande laboratorio, lessero ad alta voce la sua letterina:

La “doplite” di Galileo, il topo di biblioteca