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La magia di Tarosh

Fiaba pubblicata da: marco.ernst

Ci fu un’epoca meravigliosa, per alcuni, in cui la terra era popolata da creature mitiche: draghi, alberi parlanti e da personaggi straordinari: cavalieri valorosi, principesse, streghe e maghi.

Era un’epoca in cui ogni giorno sembrava nascere solo per scrivere una pagina di storia.

Purtroppo anche in quell’epoca favolosa c’era il male, sì, perché questo è vecchio quanto il mondo, e a causa sua c’erano guerre, sanguinose battaglie, complotti.

E, dunque, c’erano draghi buoni e draghi cattivi, cavalieri del bene e cavalieri oscuri, streghe malvagie e maghi votati al bene.

È proprio di maghi che vogliamo parlare anzi, di un mago in particolare: Tarosh.

Beh, a dire il vero, all’inizio della nostra storia Tarosh era solo un apprendista mago, data la sua giovane età.

Da bambino il piccolo Tarosh era sempre stato affascinato dalle storiche gli raccontava il padre la sera, prima che si addormentasse; storie di cavalieri eroi, di principesse salvate, dell’eterna lotta fra il bene e il male.

A quei tempi non si usava raccontare favole ai bambini: non c’erano scuole, non c’erano libri di storia, solo i ricchi avevano accesso a una forma d’istruzione, grazie ad istitutori privati, così la storia la tramandavano i padri ai figli raccontandola come una fiaba, con la stessa enfasi e lo scopo era d’indirizzare i bimbi verso il bene.

Al piccolo Tarosh piaceva sentire dei combattimenti fra draghi, di cavalieri che combattevano addirittura la magia nera delle streghe per salvare le loro amate, che comunque erano sempre principesse, mai contadine.

Al giovane, invece, fino dalla prima adolescenza, dal risvegliarsi dei sensi, piaceva Amina, una coetanea del suo villaggio, figlia del fabbro.

Erano nati e vissuti fianco a fianco, avevano giocato,da piccoli, a dame e cavalieri ed “Ammazza il drago”, dove la parte del drago veniva affidata al cugino di Tarosh, alto, grasso e non troppo sveglio.

Poi, piano, piano, l’amicizia era diventata qualcosa di più e, raggiunti i sedici anni, era diventata amore.

Nel frattempo il ragazzo, a furia di ascoltare storie, aveva deciso che, visto che per lignaggio non poteva diventare cavaliere, allora sarebbe diventato un mago.

Così un giorno si presentò al mago di corte, forse non il mago più potente del mondo, ma certamente un buon uomo, un mago discreto e dotato di grande esperienza, soprattutto nella formazione dei giovani maghi.

Certo che trasformare un contadino analfabeta in un mago non era cosa da poco e poi non tutti hanno insite in sé le doti necessarie per diventare maghi.

Soprattutto occorre la forza d’animo e la rettitudine per non farsi attrarre dal lato oscuro della magia.

Queste doti Tarosh le possedeva naturalmente e Almandor, il maestro mago, lo intuì subito e lo accettò come suo apprendista.

Oltretutto Tarosh aveva imparato dal padre a leggere e scrivere e quindi sarebbe stato in grado di consultare i preziosi manuali di magia.

A sedici anni si è adolescenti, forse ancora bambini: Tarosh dovette, invece, crescere in fretta, rinunciare ai giochi, alle amicizie, a tutto ciò che fanno, normalmente, i suoi coetanei.

Passò giorni e mesi ed anni a studiare, a consultare libri di magia antichi quanto il mondo, spesso scritti in lingue che egli non conosceva e che dovette imparare a decifrare.

Ma non furono queste sole le difficoltà che dovette superare: non le notti passate a studiare a lume di candela, non le frustrazioni e i primi insuccessi: il peggio fu dover accettare tutta una serie di regole, che poi sono quelle che fanno la differenza fra la magia bianca e quella nera e il suo potente maestro era disposto ad istruirlo solo se egli si fosse rivolto verso la luce.

Soprattutto la magia non poteva essere usata per il proprio tornaconto, per creare ricchezze, per costringere il prossimo ai propri voleri, per farlo agire contro la propria volontà.

C’era un addestramento particolare per questo, non una cosa da veri maghi, ma da veri uomini: per alcuni giorni il giovane doveva stare seduto davanti a una tavola imbandita senza mangiare né bere nulla di quanto gli veniva proposto.

Ma Tarosh era determinato a diventare un grande mago bianco e superò prove ed esami e combatté con se stesso e sempre vinse.

Così bruciò i tempi e divenne mago molto presto: il più giovane mago che quelle terre avessero mai visto.

Fece un lungo viaggio col suo maestro e questi lo presentò agli altri maghi e tutti si stupirono della sua giovinezza, della sua abilità e della sua purezza d’animo.

Il  viaggio fu lungo e faticoso: certo avrebbero potuto fare una magia e trasportarsi velocemente e senza fatica da un luogo ad un altro ma, invece, fecero il viaggio a piedi, perché le loro forze magiche andavano risparmiate per fare del bene al prossimo.

Tornarono al regno dopo oltre un anno: il maestro era invecchiato e l’allievo maturato.

Così cominciò l’attività di mago di Tarosh, al servizio della sua gente.

Ben presto il suo nome divenne famoso, fino a superare la fama del suo maestro.

Insieme combatterono le forze del male, le streghe e gli stregoni e i draghi al loro servizio, cavalcando anch’essi draghi figli della luce.

Fecero incantesimi potenti contro le carestie e le pestilenze e diedero per lungo tempo ai loro territori pace e serenità.

Anche un mago, però, a volte smette i panni del mago e rimette quelli delle persone normali, così quando non c’era bisogno della sua opera, egli rientrava a casa, aiutava la famiglia, frequentava gli amici di un tempo.

Amici ed amiche, perché anche un mago, soprattutto se giovane, ha diritto all’amore.

A Tarosh piaceva Caterina, una giovane che lavorava come dama di compagnia della principessa al castello.

Caterina era bella, bellissima, persino più bella della principessa stessa, che pertanto la costringeva a vestirsi male e a curare poco la sua persona, per non sfigurare al suo confronto.

Ma anche spettinata, senza trucchi e bei vestiti, Caterina risplendeva radiosa nella sua bellezza esterna ed interna.

Ella aveva accettato di buon grado i sentimenti del giovane mago e più volte avevano fatto progetti insieme: il decalogo dei maghi ha regole ferree, ma non impedisce loro di amare, di sposarsi e di farsi una famiglia.

Dopo anni di pace, successe un giorno che un cavaliere nero come la notte, alleato con uno stregone, si introducesse nottetempo nel castello per rapire la principessa e costringere così il re ad abdicare in suo favore, se voleva riavere la figlia, altrimenti il cavaliere nero l’avrebbe fatta sbranare dalle fiere della foresta dove è sempre notte, animali terribili, simili per dimensione ad un leone e per astuzia e vigliaccheria ad una iena.

Quella notte la principessa non era stata bene ed aveva voluto che Caterina dormisse con lei nella camera, anzi nel suo stesso letto.

La perfida coppia di complici figli delle tenebre s’introdussero nella camera e, viste le due ragazze vicine, rapirono la più bella, Caterina!

Ovviamente non era possibile ricattare il re con minacce ad un’ancella, così la giovane rischiava di essere data in pasto alle belve.

Tarosh senza pensarci decise di partire verso la foresta della notte per salvarla; insieme a lui il re mandò uno dei suoi più valorosi cavalieri: in fondo quella ragazza aveva inconsapevolmente salvato sua figlia.

I due uomini partirono, superarono pericoli, imboscate e, giunti alla foresta, Tarosh combatté a colpi di magia il mago nero, mentre il cavaliere si occupava dell’aspirante usurpatore.

La battaglia fu lunga e dura, ma alla fine il bene prevalse: il cavaliere issò Caterina sul suo cavallo, mentre Tarosh li seguiva a piedi.

Quando giunse al villaggio, però, scoprì che la ragazza si era innamorata del suo salvatore, dell’altro salvatore.

Tarosh era disperato: sentiva che il suo cuore non avrebbe retto, che si sarebbe spezzato.

Allora, per la prima ed unica volta, rivolse la propria magia su se stesso: trasformò il suo cuore in dura pietra.

Tarosh, col cuore di pietra che, nonostante ciò pulsava sangue nel suo corpo,  ma non era più capace di emozioni e sentimenti,visse molti anni, divenne molto vecchio, ma non fu mai più capace di amare.



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