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Tutte le fiabe di marco.ernst

Questa la raccolta personale di marco.ernst. Puoi contribuire anche tu al progetto "Ti racconto una fiaba" inviando i tuoi testi attraverso l'apposita pagina invia la tua fiaba.

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I tre folletti

Tre erano le Parche, tre erano le Graie, tre le Gorgoni: c’è sempre un numero tre che si ripete nelle leggende, nella mitologia e nelle saghe.
E non dimentichiamo la Santissima Trinità e i tre Buddha.

Qui si narra dei tre folletti Peng, Ping, Pang.

Mauro li vide per la prima volta dall’alto di un crinale, mentre andava nel bosco a cercare erbe per fare dei decotti.

Li vide e non ne rimase del tutto sorpreso: lui conosceva la natura, si fidava delle erbe benefiche e sapeva identificare quelle velenose, conosceva molte creature dei boschi ed era conscio di non conoscerne molte altre; che nei boschi ci fossero, quindi, dei folletti, come da tempo si andava dicendo, non lo stupì più di tanto; li vide, ma quando scese verso di loro, questi se n’erano già andati: comunque non immaginava che li avrebbe incontrati di nuovo e presto, anche.

I tre folletti

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Lo zaino invisibile

Nonostante sia trascorsa un’eternità, riesco ancora a ricordare la mia prima elementare: il grembiulino nero, il collettino rigido bianco, il fiocco blu.

Allora la scuola incominciava il primo di ottobre, San Remigio, e i bambini che iniziavano la prima elementare erano, perciò, detti remigini.

Ovviamente avevo, e ne ero orgoglioso, un bell’astuccio con matite colorate nuove (i pennarelli non esistevano ancora), temperamatite, gomma, cannuccia e pennini, sì, perché alle elementari non si usava ancora la biro, bensì penna e calamaio, quest’ultimo inserito nel banco e contenente una poltiglia che dell’inchiostro aveva ben poco e che il bidello a metà mattina veniva a rabboccare.

Oltre l’astuccio avevo poi l’abbecedario, un paio di quaderni (quelli piccoli) a righe e quadrotti, i quadretti grossi e il tutto era contenuto in una cartella verde che sembrava di pelle, ma era poco più che cartone pressato con un motivo che doveva simulare il cuoio.

La cartella aveva, oltre il manico, anche le cinghie per metterla sulle spalle.

Lo zaino invisibile

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La strega che mangiava i bambini

C’era una volta, in un tempo e in un luogo lontani, un piccolo villaggio dove tutti si conoscevano e si volevano bene eppure, in quello sperduto villaggio, nessuno era felice.

Non erano felici i nonni, non lo erano i genitori, non lo era chi doveva sposarsi e, ancor meno, lo erano i bambini.

Nei pressi del villaggio, infatti, c’era un bosco, un bel bosco che, però, non era felice neppure esso, tanto che uccelli, scoiattoli, cinghiali, cervi e tutti gli animali che normalmente abitano, o abitavano a quel tempo, i boschi, se n’erano andati da un pezzo, spaventati dalla nera presenza che dominava nel bosco e che terrorizzava il villaggio.

La strega che mangiava i bambini

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Leoni in fuga

C’era una volta…

E forse c’è ancora, un piccolo circo equestre scalcinato, ma così piccolo e così scalcinato da essere riuscito a sfuggire alle attenzioni e alle ire degli animalisti.

Ma presto anche il piccolo circo sarebbe balzato agli onori delle cronache giornalistiche e televisive.

Chi lavorava in quel circo faceva, più o meno la fame, sì perché la regola era: prima dare da mangiare agli animali, poi, se restava qualche soldo, pagare il personale.

E tutti, oddio: tutti è una parola grossa, perché erano rimasti ben pochi a lavorare lì a quelle condizioni, tutti i superstiti, dicevamo, lavoravano lì per passione e clown, acrobati, domatori e proprietario facevano anche le funzioni di inservienti, accudivano gli animali, tenevano pulite le gabbie, montavano e smontavano il tendone con le tribune e guidavano la carovana attraverso piccoli paesi,m evitando le grandi piazze e di attirare troppo l’attenzione prima che arrivassero a togliere loro gli animali e, quindi, il pane quotidiano.

Leoni in fuga

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Fagiolino e il drago lanciafiamme

Si chiamava Giovanni ed aveva dieci anni, ma tutti lo chiamavano Fagiolino, perché mangiava solo pane e fagioli ed a furia di mangiare solo fagioli, che notoriamente causano aria intestinale, il suo ventre si era gonfiato, nonostante lui fosse solo pelle e ossa, cosicché tutti lo prendevano in giro ed allora lui smise di andare a scuola.

Del resto aveva troppo da fare in casa: oddio, casa, loro, lui la mamma e il babbo, vivevano in una catapecchia fuori dal paese ed erano poveri come nessuno in paese.
Ma non era sempre stato così: ricchi non lo erano mai stati, ma prima, almeno, conducevano una vita decorosa e Fagiolino non doveva andare in giro con pantaloni che avevano più rammendi che parti buone e che, visto che stava crescendo, gli arrivavano a mezza gamba; per non parlare delle scarpe…

Poi era successo che il babbo era stato colpito da un calcio a doppietta del cavallo che l’aveva azzoppato e lo costringeva a portare un busto rigido fatto di corteccia per sostenere la schiena che, comunque, gli faceva sempre male.

Fagiolino e il drago lanciafiamme

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I folletti della notte

Occorre dire, anzitutto, che a casa di Marcello, anche se lui non lo sapeva, né l’avrebbe mai saputo, si erano installati i folletti della notte in carne e ossa.

Tutto cominciò per il fatto che Marcello amava tutto quello che è un po’ kitch, così quando vide in vendita, su una bancarella del mercato, gestita da uno strano vecchietto, la serie dei folletti in resina, se ne innamorò subito. C’era, è vero, anche una serie di fatine dei fiori ma, per i gusti dell’uomo, queste erano troppo sdolcinate; a lui piacevano le cose un po’ più estreme, talvolta anche truci.

I folletti della notte

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Il lupo grigio

Gli animali selvatici, si sa, non hanno un nome, perciò saremo noi a chiamare, per comodità, il nostro protagonista Grey.

Grey era un lupacchiotto grigio, membro di una cucciolata di tre.

La madre e il padre avevano eletto a loro tana una profonda grotta della fredda montagna sulla quale, da sempre, il loro branco era vissuto.

Già, il branco: un tempo era numeroso, erano in tanti, una vera comunità dove tutti si davano un aiuto.

Il lupo grigio

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Una giornata sul monte Olimpo

(da una antica leggenda greca, forse)

Ci fu un tempo, troppo lontano da noi perché ce ne resti memoria, nel quale sulla terra dominavano gli dei, ad ognuno dei quali era affidato il destino di una parte del mondo o della vita dei suoi abitanti.

A parte ciò e considerato anche il libero arbitrio degli uomini, caratteristica comune a un po’ tutte le religioni, non è che gli dei avessero poi un granché da fare.

Una giornata sul monte Olimpo

La fata dei desideri

scoglio

Celestino sedeva su uno scoglio, una seduta scomoda, ma lui pareva non accorgersene.

Stava piangendo, imprecando, maledicendo, rimuginando su una vita con poche soddisfazioni, senza slanci, senza novità, mai, con tante sfortune e mai, mai una sola volta, un momento di fortuna inaspettato.

Probabilmente tutto ciò non era molto diverso da quanto avevano passato e passano quotidianamente molte altre persone, ma si sa: non è vero che mal comune è mezzo gaudio e il dolore di vivere degli altri non può consolare, né contribuire a diminuire il proprio.

Forse, anzi certamente, non fa piacere sapere che altri soffrono, ma lascia indifferente chi è raggomitolato nei propri problemi.

La fata dei desideri

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La storia del viandante, il cane e il cavallo

C’era una volta, in un tempo lontano e in un luogo indefinito, un uomo di nome Giosafat.

Quest’uomo non aveva famiglia, non una compagna, non dei figli ed i suoi unici amici erano un cavallo di nome Diamante e un cane di none Luce, entrambi di sesso e razza indefiniti, ma erano i suoi amici, coloro che lui amava e che lo amavano: i soli.

L’uomo amava a tal punto i suoi amici che mai avrebbe osato cavalcare il cavallo (e tantomeno il cane).

La storia del viandante, il cane e il cavallo

foglie

Foglie

Tutto cominciò in primavera: anzi, un po’ prima, vale a dire alla fine dell’inverno.

Eh sì, l’inverno era stato duro, come si suol dire, ma ora si avvicinava alla fine, le giornate si allungavano un poco ogni giorno e la luce aveva un’altra sfumatura.

Gli alberi del bosco si svegliarono dal loro lungo letargo, i rami neri e nudi tesi verso il cielo come braccia imploranti; poi si accorsero che era ancora presto, che le notti erano ancora gelide e, come vecchi saggi, si riaddormentarono.

Non passò molto tempo che, però, si risvegliarono nuovamente e molti di loro scoprirono sulle loro membra antiche piccole gemme verdi chiaro: un impeto di gioventù che veniva a dare gioia e voglia di vivere ai vecchi saggi del bosco.

Foglie

ragno

Il ragno

Quando lo vide il suo primo pensiero fu: “Che creatura schifosa! E  per di più è enorme! Perché Dio ha creato bestie simili? Qual è la loro funzione?”.

Non si sa se anche l’altro avesse visto lui, ma ambedue si ritrassero, ognuno vinto dalle proprie fobie.

Quando ritornò era ancora là, troppo vicino al suo cibo perché avesse voglia di mangiare, troppo invadente nel suo ambiente che non intendeva condividere con un simile obbrobrio.

Avrebbe voluto ucciderlo, ma solo l’idea di avvicinarglisi, lo disgustava, provocandogli un accesso di nausea.

Il ragno