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Celestino Mingherlino e la marmellata di alchechenge

Fiaba pubblicata da: Martina Vecchi

Ortensia la Fata della Lana era un’instancabile lavoratrice.

Viveva assieme alla figlia Betulla in un grande Castello al di là del Monte Alto.

All’interno del Castello, Ortensia dirigeva un grosso centro di produzione della lana a livello artigianale, che esportava in tutto il mondo.

Migliaia di fate erano impegnate nella realizzazione di splendidi capi di lana pregiata accuratamente selezionata dalla stessa Ortensia, che si recava personalmente a visionare capre e pecore presso un allevamento specializzato, piuttosto lontano, oltre le colline diametralmente opposte al paese, e al Monte Alto.

Ortensia era però molto spesso via per lavoro, quando si trattava di andare a vedere i cammelli, gli alpaca, gli yak, i lama, le vigogne, e scegliere le lane più pregiate e perciò, almeno quattro o cinque volte l’anno, volava verso le Ande, il Tibet e l’Himalaya, seguita dalle sue fedeli collaboratrici, un paio di agronomi, qualche zoologo, molti pastori, insomma, esperti che potessero assisterla e consigliarla nelle sue scelte.

Gli animali selezionati venivano tosati, la lana lavorata finemente, e trasformata poi in matasse sofficissime, catalogate per tipo e luogo, e inviate in grossi mucchi al Castello, su un jet apposito.

Una volta giunte a destinazione, tutte le matasse erano suddivise secondo la diversa origine della lana, e destinate perciò a una diversa lavorazione.

A varie stanze del castello corrispondevano diverse lavorazioni, e per ciascuna diversa lavorazione erano impiegate almeno una cinquantina di Fate Lavoratrici Specializzate, per un totale di circa trecentocinquanta Fate.

Ogni gruppo aveva il compito di confezionare determinati capi: chi scialli, chi maglioni e gilet, chi giacche e cappotti, chi sciarpe, chi cappelli, a seconda del tipo di lana.

Le Fate Lavoratrici amavano sbizzarrirsi nel creare intrecci e motivi, ma soprattutto nell’accostare colori diversi.

A questo scopo, in realtà, esisteva una Fata del Colore diplomata in Cromatica: la sua specifica competenza era suggerire alle Fate Lavoratrici i vari abbinamenti, e dare consigli in base alle mode e alle ultime tendenze. All’uopo veniva srotolato un lunghissimo campionario, che presentava ogni minima sfumatura di colore, blu cobalto, blu oltremare, blu notte, indaco, turchese, aviazione, ceruleo, rosso porpora, magenta, carminio, rosa antico, rosa confetto, rosa pallido, malva, glicine, prugna, vinaccia, viola del pensiero, mammola, giallo limone, ocra, marron bruciato, terra di Siena, e tantissimi altri.

Le Fate Lavoratrici creavano meravigliosi mélanges, cucivano a macchina, lavoravano a maglia, all’uncinetto, insomma: sfornavano capolavori.

I capi Adelaide (il marchio deriva dalla mamma di Ortensia, la Fata Madre, fondatrice dell’azienda) sono conosciuti in ogni remoto angolo della Terra, e hanno un inconfondibile tocco fatato che li contraddistingue da qualsiasi tentativo d’imitazione, anche il più sofisticato.

Ortensia era sempre stata soddisfatta della sua lana, ma da qualche tempo aveva una preoccupazione in seno, che le faceva dormire sonni agitati.

Ortensia ha una figlia, Betulla, di quasi dodici anni, e si sa che a quell’età le ragazzette non sono né carne né pesce, e cominciano a fare i capricci: “voglio andare di là, voglio andare di qua, voglio questo, voglio quello…”.

Betulla era stata una bambina vispa e furbetta, e non aveva mai dato problemi a nessuno. Si divertiva molto con le sue dame di compagnia, ma anche da sola, a ritagliare figurine di carta, personaggi protagonisti di storie che amava inventare.

Crescendo, però, erano cominciati i problemi.

Betulla era spesso irrequieta, come se cercasse qualcosa, ma non sapesse nemmeno lei cosa.

Quando i viaggi di Ortensia cominciarono a farsi più frequenti per l’aumento della domanda sul mercato, Betulla aveva attaccato con la storia del cibo.

Non voleva mangiare. Se da bambina si faceva fuori papponi di mais e tapioca, ora storceva il naso anche davanti a una tazza di cioccolata calda.

Si sedeva a tavola, metteva su il broncio, incrociava le braccia e stava lì, ad aspettare che la minestra si raffreddasse, che la zuppa si rapprendesse, che la bistecca diventasse dura come una suola.

La cuoca, poveretta, era disperata, così come le cameriere: si appostavano dietro la porta delle cucine, e spiavano Betulla sollevare il cucchiaio colmo di minestra, e rimetterlo giù.

“Tanto vi ho viste…” diceva poi Betulla, sapendo di essere controllata.

Il peggio arrivò quando Betulla si rifiutò di mangiare anche il suo dolce preferito: la crostata di mirtilli. In realtà adorava un po’ tutte le marmellate: mirtilli, more, fichi, prugne, cicliegie, albicocche, anche la mostarda. Ultimamente, però, mangiava spessissimo quella di mirtilli che Ortensia le portava dalla Svezia in grandi vasetti.

Una mattina, Betulla si era svegliata ed era scesa a fare colazione, trovando a tavola due morbide fette di baguette francese imburrate e spalmate di marmellata. E una tazza di cioccolata fumante con doppia panna.

Però niente.

Aveva preso una fetta, l’aveva sbocconcellata, e rimessa lì.

Ortensia era crollata.

Non era abituata a problemi di questo tipo, e la graduale inappetenza della figlia l’angustiava enormemente.

Anche perché Betulla non solo si rifiutava di mangiare, ma non voleva nemmeno più giocare!

Passava i pomeriggi davanti alla TV, o al computer, o a leggere libri che piantava a metà.

Ortensia, disperata, portò la figlia dalla psicologa.

– Vede signora, i capricci di Betulla hanno una spiegazione molto chiara: mancanza d’affetto –

– Mancanza d’affetto?!- urlò sbalordita Ortensia- Ma come, ma come, non le ho mai fatto mancare nulla, ma cosa mi dice, dottoressa? –

– Signora, mi sembra di capire che l’inappetenza di sua figlia si fa più accentuata quando lei è assente, giusto? –

– Sì, ma… Lei dunque dice che…-

– Sì. Sua figlia sta cercando di attirare la sua attenzione per farla rimanere qua. Non vuole che parta. Sa, l’affetto non si misura mica col righello! Tante bambole non fanno la felicità… Dovrebbe assentarsi meno!-

– Ma come? E come faccio? Sono sempre andata personalmente a scegliere tutte le lane, e…-

– Lo so signora, ma vede, la salute di una figlia è più importante, non trova? –

– Oh, sì, e quindi… Cosa mi consiglia di fare? –

– Guardi, intanto ci vuole una base da cui partire. Suggerirei, ad esempio, una merenda tutte e due assieme, magari col dolce preferito di Betulla.. –

– Di sicuro digiunerà per farmi dispetto…-

– Infatti, a questo proposito, avrei un’idea…-

***

Era una limpida mattina autunnale, parecchio umida, in realtà.

Celestino Mingherlino aveva rinunciato ad andare per funghi, amava farlo con l’aria frizzantina che gli pungeva le guance.

Quella mattina decise invece di fare un salto in paese per una scorta di provviste: da un po’ non cucinava, e aveva proprio voglia di mettersi ai fornelli.

Comprò degli sfilatini morbidi e molte pagnotte, e verdure fresche dal verduraio.

Scelse qualche bella zucca arancione, perché l’idea era invitare gli amici a pranzo l’indomani, e preparare un ottimo menù a base di zucca.

Avrebbe cucinato: torta salata con zucca e pinoli; risotto alla zucca con noce moscata, servito dentro a una zuppiera a forma di zucca: cannelloni di zucca; frittelle di fiori di zucca; torta dolce di zucca.

Tornò a casa carico di borse e pacchi, esausto.

Celestino Mingherlino era sempre stato un ottimo cuoco, il profumino che si sprigionava dai suoi manicaretti usciva nell’aria, dalle finestre, da sotto la porta, avvolgeva tutto il bosco, e arrivava fino in paese, a stuzzicare il palato e le narici di tutti.

Cucinava con maestria ogni tipo di piatto, dagli antipasti al dolce, con una predilezione per le ricette caserecce.

Tutti i bambini del bosco e del paese, però, andavano matti per le marmellate di Celestino.

Erano buonissime: Celestino sceglieva con estrema cura la frutta fresca di stagione, e si chiudeva in casa a preparare sublimi confetture, fino a riempire tantissimi vasetti, che poi regalava ad amici e paesani, per la gioia di ognuno.

La signora Nuvolari, la meteorologa, anche lei deliziata dalla squisitezza della marmellata di more, un giorno aveva chiesto a Celestino:- Senta, ma perché non va alle sagre e alle fiere a vendere questa meraviglia? Farebbe soldi a palate, è ottima!-

Celestino Mingherlino, però, non era mai stato interessato al guadagno, e preferiva distribuire la sua marmellata a titolo gratuito, per il solo piacere di essere generoso, e permettere agli altri di mangiare qualcosa di buono.

Celestino trovò della posta, rientrando: “Che strano”, si disse, scorgendo una busta azzurra fare capolino dalla buchetta“eppure mi pareva di averla letta tutta…”.

Si sedette al tavolo della cucina, e inforcò gli occhiali.

La busta era azzurro carta da zucchero, di consistenza sottile.

Il foglio all’interno era talmente sottile da sembrare carta velina, azzurro chiarissimo e ripiegato su se stesso con cura.

La grafia era svolazzante e ordinata, leggermente inclinata a destra, inchiostro indaco:

 

Gentile signor Celestino,
probabilmente lei non mi conosce, dato che abito molto lontano da qui, o forse magari sì.

Sono Fata Ortensia, della Capi Adelaide, quella della lana, insomma. Non so se ha presente il grande castello al di là della montagna, la manifattura.

Le scrivo questa lettera con molta premura, perché sono preoccupatissima.

Mia figlia Betulla non vuole mangiare. Non ha ancora dodici anni, e fa tanti capricci!

Io sono spesso via per lavoro, sa, sono un’imprenditrice, e non riesco a seguire Betulla come vorrei.

Sono davvero costernata, e le parlo con onestà estrema: la psicologa mi ha suggerito di riavvicinare Betulla al cibo facendole compagnia, magari mangiando con lei.

Deve sapere che mia figlia va matta per la marmellata, per tutte le marmellate e, signor Mingherlino, La sua fama è giunta ben oltre il Monte Alto. È stata la psicologa stessa, a suggerirmi di chiedere il Suo aiuto, dipingendoLa come un uomo di buon cuore, e tanto sensibile.

Sono convinta che, se Lei preparasse una di quelle sue favolose marmellate, io potrei proporla a mia figlia per una merenda insieme, e magari riprenderebbe a mangiare.

Scusi l’impudenza, signore, ma ho tanta, tanta premura! Potrebbe mandarmi uno dei suoi celeberrimi vasetti?

Gliene sarei immensamente grata.

Sua devotissima

Ortensia Bauman.

 

Celestino rimase sorpreso da quelle parole.

Tradivano l’apprensione tipica delle madri preoccupate.

Aveva molto da fare per i preparativi del pranzo per l’indomani, ma il buon cuore di Celestino non poté rimanere indifferente a quell’accorata richiesta d’aiuto.

Ebbe un’idea lampante: in quattro e quattr’otto fu di nuovo fuori.

Questa volta prese la corriera, e andò lontano, nel paese vicino, dove un suo amico proponeva, alla fiera locale, vari assaggi di alchechengi, una particolare bacca ottima per marmellate e gelatine, se cotta, sublime nelle macedonie, da cruda.

Celestino Mingherlino pagò una bella sommetta per una grossa quantità di prodotto, e tornò a casa ancora più soddisfatto.

Sulla strada del ritorno, si fermò a comperare della carta da lettere, una stilografica, e un francobollo.

A casa scrisse un breve messaggio, con quella sua grafia sapiente, imbucò, e si mise immediatamente all’opera.

Il lavorò durò un intero pomeriggio, ma alla fine Celestino gongolava di soddisfazione: era riuscito a riempire una quarantina di vasetti, stavolta, tutti ordinatamente impilati sul pavimento, accanto al piccolo forno a legna.

Quando Ortensia lesse il messaggio, faticò a contenere la gioia:

la S. V. Illustrissima
è invitata
per una merenda novembrina
domani, alle ore 16.30,
presso la casa del signor Celestino Mingherlino (per il bosco).

Il pomeriggio successivo, Celestino aveva già predisposto ogni cosa: apparecchiato con una tovaglia da merenda, a quadretti azzurri, tovaglioli bianchi e piattini di porcellana.

Al centro troneggiava un ampio vassoio ovale, con una disposizione a corolla di enormi fette di pane morbido imburrato, che aspettava solo di essere spalmato con della squisita marmellata giallo- arancio di alchechengi.

A fianco, un piattino di biscottini assortiti di pasta frolla, a forma di omino, e un altro piattino con una ciambella al cacao tagliata a fette, e decorata con confetti colorati.

Sul fuoco era in preparazione una cioccolata calda.

Betulla era stata recalcitrante, ma Ortensia l’aveva convinta. Evidentemente, dopo giorni di sciopero della fame, la bambina cominciava a diventare più docile.

Eh, la fame!

Non appena le due giunsero in prossimità della casa di Celestino, l’inconfondibile profumino di buono le avvolse come una coperta calda.

La pancia di Betulla brontolò rumorosamente.

Ortensia bussò piano.

Celestino aprì, e invitò madre e figlia ad entrare.

Dopo le presentazioni, Ortensia e Betulla sedettero.

Celestino portò in tavola una mega tazza di cioccolata fumante, con doppia panna, indirizzandola verso Betulla.

La bambina, riluttante, guardò Celestino, e Ortensia.

Poi prese una delle fette di pane imburrato posate sul piattino.

Celestino aveva trasferito parte della composta di alchechengi in una ciotolina di vetro, con un cucchiaio.

Betulla prese una generosa cucchiaiata di marmellata e la spalmò sulla fetta.

Addentò.

Ortensia, dopo essersi resa conto di aver trattenuto il fiato per quella manciata di secondi, sospirò di sollievo nel vedere la bambina sorridere e addentare voracemente la fetta di pane una seconda, una terza, una quarta volta.

Si servì anch’ella di pane e marmellata, e così Celestino, mentre Betulla stava già attingendo ai piatti con i biscottini assortiti, e alla torta.

Fu una lunga e piacevole merenda.

Betulla mangiò fino a scoppiare.

Ortensia tremava per l’emozione.

Betulla, dopo la merenda, si assopì sull’enorme poltrona di Celestino, dopo aver fatto amicizia coi gatti Nuvola e Blu, e col canarino Clo che, nel frattempo, aveva cinguettato per intrattenere le ospiti. Celestino e Ortensia conversarono fitto fitto per oltre un’ora.

– Guardi, non saprei proprio come esprimerle la mia gratitudine- disse Ortensia, con gli occhi che le brillavano- la mia Betulla è ritornata la bambina che era, allegra e piena di vita, e tutto questo grazie a lei, signor Celestino!-

– Via, signora, non mi ringrazi, per così poco! Piuttosto…-

– Sì? –

– Le do un consiglio da vecchietto saggio: passi più tempo con la sua bambina, e si faccia sostituire da qualcuno nei suoi viaggi. O magari, qualche volta, porti Betulla con sé… Vedrà che in questo modo le cose si sistemeranno…-

– Eh, ha ragione, sa, Celestino, sono una madre indegna…-

– Ma cosa dice, non è vero! Lei è una buona madre e una professionista seria, deve solo imparare a conciliare le due cose, ce la farà! –

– Com’è buono, lei, Celestino, speriamo abbia ragione! La ringrazio ancora di tutto, la sua marmellata è ottima! –

Betulla si svegliò, era ora di tornare a casa. Celestino regalò a Betulla ben dieci vasetti di ottima marmellata di alchechengi, una manciata di biscottini, un po’ di torta., una bottiglia di sidro, e una di succo di mele.

Ortensia gli aveva portato: una sciarpa di lana d’angora morbidissima, confezionata da lei personalmente; un maglione a collo alto per escursioni, di lana merinos; una grande coperta di alpaca da mettere sulle ginocchia per i pisolini in poltrona, davanti al caminetto; delle pantofole imbottite; un soffice tappeto per Nuvola e Blu.

Celestino Mingherlino andò a dormire a molto, molto soddisfatto. Che gioia, aiutare i bambini, e che gioia cucinare! Con la gatta Nuvola che si era acciambellata ai suoi piedi, Celestino si addormentò pregustando il pranzetto che l’indomani avrebbe preparato.



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