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Il pianto delle fate

Fiaba pubblicata da: Anna Consolo

La vita per i due innamorati, Dono e Splendente,  trascorreva felice.

Non avevano bisogno di null’altro  che del loro amore. Ma dopo un anno di vita insieme, cominciarono a sentire  dentro il loro cuore qualcosa di non ben definito, una specie di sfarfallio, già, come il volo di una farfalla imprigionata, che fosse un desiderio che non riusciva a volare? Decisero di chiamare questo non so che “voglia matta”.

Ecco, non era come la smania di mangiare le more o le fragole del sotto bosco e neppure come l’irrefrenabile voglia di andare a  correre lungo la spiaggia e cavalcare le onde, che sapevano di poter appagare, era proprio una strana voglia, matta, appunto!

A volte era così invadente che  si sentivano molto turbati, ma non appena l’elfo Dono strofinava il proprio naso sul naso di fata Splendente, ritornava la gioia e la serenità che da sempre li abbracciava. Dall’alto della   loro  casa, il cipresso,  guardavano la vita del mondo animarsi e quando cresceva l’esigenza di avere degli amici intorno, non potevano fare a meno di scendere e confondersi  con gli alberi e i fiori. 

Spesso spiavano gli uomini nelle loro case pur sapendo di correre il rischio di scomparire definitivamente, infatti tutti gli elfi e le fate dell’isola erano spariti perchè  visti dall’uomo ma,  grazie alla curiosità e all’audacia di Dono e Splendente scoprirono l’inefficacia di tale sorte quando a scorgerli erano i bambini.

Il fatto è  che i bimbi, in quanto  tali, sono esseri talmente puri ed incontaminati da possedere ancora il linguaggio dell’incanto: é la lingua dell’universo che permette, a chi la possiede, di comprendere ogni creatura vivente, dal piccolo stelo d’erba all’aquila, dalla più giovane formica alla quercia più antica e di stabilire così con ognuno,  qualsiasi rapporto.

Gli elfi, le fate e tutti gli esseri  viventi dell’universo incontaminati dal progresso dell’uomo,  possiedono questa magia e fino a  quando non  la  perdono,  l’uno  si sente parte dell’altro  ed insieme una cosa sola con l’intero cosmo.  

Dono e Spendente erano innamorati dei bimbi, nell’osservarli avevano appreso che spuntavano direttamente dalla donna, senza tuttavia comprenderne il meccanismo. I genitori di Dono svanirono troppo presto dalla vita per cui non avevano fatto in tempo ad istruirlo in quel senso, mentre  i  saggi, che gli avevano insegnato ad ascoltare il canto dell’Elba al risveglio e il suono del vento e lo bisbigliare degli alberi prima della pioggia, il profumo del mare portato dagli uccelli, la gioia respirata tra i raggi del sole, gli avevano appena accennato  della danza dei giovani elfi e delle giovani fate in amore, senza  svelargliene i dettagli.

Dal canto suo Splendente conosceva tutto sulla nascita delle fate. Sua madre, regina di tutte le stelle, ogni notte le aveva raccontato ed ancora racconta alle nuove arrivate, di come le fate  si perdono  dietro agli elfi svaniti e che prima di seguire il proprio elfo, versano  lacrime di dolore così pure, ma così pure,   che invece di  cadere volano in cielo, oltre le nuvole per intenderci, per fissarsi luminose e guardare giù.

Così capita che per ogni fata che sparisce, dalle sue lacrime possono spuntare in cielo cento stelle  e tutte potenziali fate;  basta innamorarsi!

E’ così che il dolore diventa nuovo seme di vita! Splendente ricordava di quanto questo racconto affascinasse ogni stella, le affascinava talmente tanto  che tutte sognavano d’ innamorarsi di un elfo, infatti nelle notti serene, se  si guarda con attenzioneil cielo, si potrà notare il luccichio del loro sguardo ebete.  

Dunque è solo questo lo scopo della loro esistenza: sognare l’amore e cadere dal cielo per esaudirlo. Dono però era l’ultimo degli elfi,  rischiava quindi l’estinzione della sua specie e di conseguenza quella delle fate, forse era per questo che piangevano? Per le stelle non c’era problema, sarebbero rimaste quelle che erano, poiché se non avessero avuto nessuno di cui innamorarsi, non avrebbero mai chiesto di cadere; non ci sarebbe stato nessun sogno né desiderio  da esaudire.

Più passavano i giorni e più si rafforzava il pensiero che la terra necessitasse di nuovi elfi per via dell’equilibrio dell’amore, questo pensiero finirono col collegarlo al loro non ben definito desiderio di nome “voglia matta”.  Bisognava risolvere questo problema. 

Di sicuro non potevano rivolgersi all’uomo o alla donna, per via della sparizione, dunque, avevano chiesto ai bambini.

Alcuni di loro li avevano fatti girovagare per intere giornate  tra gli orti di ogni abitante: pareva che la loro specie si diffondesse sotto i cavoli, le mamme poi, andavano a prenderli e li nascondevano sotto il vestito per fare a tutti una sorpresa.  Altri poi li avevano fatti accovacciare sulla cima del cipresso in attesa d’avvistare qualche cicogna: i bambini avevano detto loro che si potevano commissionare per posta e che le cicogne  facessero calare i bambini dai camini per consegnarli direttamente alle famiglie.  Invano furono le ricerche e gli appostamenti. I bambini continuavano ad arrivare, ma non si riusciva a capire come.

Probabilmente, forse, non s’erano spiegati bene, si dissero, per cui riformularono la domanda ad ogni bimbo: – ” come possiamo continuare a sognare e a far sognare?” –  Se era questo ciò che volevano sapere, ai bambini parve ancora più semplice la soluzione: dissero loro che sarebbe bastato fare un bel pisolino e tutti le loro domande avrebbero avuto la risposta!

Dono e Splendente si arresero, capirono che ai piccoli mancava ancora quell’esperienza propria della conoscenza, non sarebbero arrivati da nessuna parte se avessero continuato ad insistere con loro, ma non  mollavano, se dai bimbi non erano riusciti a scoprire nulla, rimanevano  gli animali del bosco.

Avrebbero chiesto a loro come ripopolare l’isola di tanti piccoli elfi, avrebbero sicuramente continuato ancora  a sognare e far sognare.



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