Il ponte parlante

Fiaba pubblicata da: emilio grimaldi

C’era una volta un ponte parlante. Era ad un solo arco, ma era altissimo. I piloni erano fatti di pietre grosse e colorate. Erano pietre che venivano da molto lontano. Erano pietre magiche, dicevano tutti. Al passaggio di chiunque stridevano ed emettevano dei suoni simili alle parole. Ecco perché quando grandi o piccini l’attraversano allungavano le orecchie per sentire meglio ciò che diceva. Se diceva “rose” preannunciava cose buone e belle. Se diceva “spine” erano guai seri.

Un giorno raggiunsero il ponte due cani. Uno era tanto grosso da far paura. Aveva la bocca rossa e minacciosa. Dei peli di colore grigio scuro. E delle zampe che finivano negli artigli appuntiti e neri. Aveva poi una coda lunga e sporca che stava ritta sul dorso fino alle orecchie. Tutti ne avevano paura perché ringhiava e con la coda in quella posizione sembrava un mostro con tre corna.

L’altro era un cagnolino piccolo e docile. Al solo vederlo si accucciò dietro ad un sasso. Non voleva attraversare il ponte prima del rivale.

“Hai forse paura di me?”, chiese il cane mostro al cucciolo.

“Sì, un poco. Come mai sei così grande e la tua coda non scende giù?”

“Hai ragione ad avere paura di me. Sono il cane più forte di tutta la foresta. E la mia coda è il mio segreto. Tutta la mia forza viene dalla mia proboscide.”

“Non sono gli elefanti ad avere la proboscide?”

“Mi prendi in giro? Come ti permetti? Con una zampata ti schiaccio come un moscerino!”

“Mai mi permetterei. A scuola zio cane maestro un giorno ci ha parlato degli elefanti che vivono in Africa. Sono dei giganti che al posto del naso come lo abbiamo noi hanno una specie di coda lunga che arriva fino a terra. Loro annusano e toccano tutto con questo naso speciale prima di mangiare o bere.”

“La mia coda non annusa e non tocca niente. La mia coda mi permette di essere invincibile. Anche sugli elefanti come li chiami tu.”

“Allora passi tu per primo il ponte?”

“Io non ho paura di nulla. Né di te e né di queste pietre immobili.”

“Lo sai che parlano? Se dicono rose si può stare tranquilli. Se dicono spine bisogna preoccuparsi.”

“Io non ho paura di nulla al mondo ti ripeto!” rispose diventando rosso e con la coda che piano piano si allungò sul dorso fino a posizionarsi in mezzo alle orecchie anch’esse appuntite come artigli.

“Come vuoi.”

“Ora ti faccio vedere io!” Prese la ricorsa e si lanciò. Le pietre cominciarono a sfregare. E pronunciarono la parola magica. Era “Spine”. Quando il cane mostro sembrava avesse superato il grande arco delle spine arrivarono a colpirlo. Presero di mira proprio la sua coda. Gliel’ha tagliarono in due. Il povero cane mostro cadde a terra tramortito. Non morì. Ma il suo essere presuntuoso e malvagio subì un duro colpo.

Il cucciolo da parte sua iniziò a tremare. Tuttavia, non aveva scelta. Doveva attraversare il ponte parlante perché era l’unica strada per raggiungere i suoi gemellini e i suoi genitori.

Si prese coraggio e disse al ponte: “Non mi far del male. Io sono piccolino. Ti prometto che sarò buono. Che non farò mai male a nessuno.”

Il ponte non rispose. Ma appena toccò la prima pietra colorata tutte quante innestarono il loro consueto balletto. E dissero: “Rose!”. Dei petali di vere rose svolazzarono intorno al cucciolo fino alla fine del percorso. Raggiunse il cane mostro e lo superò. Poi, con la coda tra le gambe il cane spavaldo lo seguì.

“Sai” – disse il più grande al più piccolo – “Si sta meglio senza la coda lunga.”

“Ma forse non è tanto la coda lunga a farti stare meglio, quanto la presunzione di essere sempre più forte di tutti.”

Ribatté l’altro, molto piccolo ma anche molto saggio.

 

Una favola per Elisa



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