Il regno Dolceamaro

Fiaba pubblicata da: Livia

Nella quiete del bosco incantato, nel Regno della Bontà, i raggi del sole filtravano attraverso i rami di zucchero delle grosse querce, scaldando e illuminando i prati fioriti. Fiorellini di marzapane facevano capolino tra i ciuffi d’erba menta, e qua e là, spuntavano le spume meringate dei funghetti. Tracy se ne stava rannicchiata sopra un sasso di carbone dolce, davanti al torrente di latte, che sfociava nel lago di cioccolato. Si alzò in volo, vibrando le ali trasparenti e leggere e andò a raccogliere un ricciolo caduto dal tetto di una casetta: “di questo passo, finirà per sciogliersi tutto quanto…” mormorò.

La fatina volteggiò nel bosco finché giunse al castello della regina Morgana. Al centro del Regno della Bontà, si trovava l’immensa dimora in mattoni di biscotti al burro, finestre di glassa, balconi e ringhiere di stecche di vaniglia e guglie di riccioli di cioccolato. Quando Tracy arrivò, si fermò sospirando e una lacrima le scivolò sulla guancia alla vista del castello. I biscotti si sbriciolavano lentamente, la glassa si scioglieva sulle stecche di vaniglia e i riccioli di cioccolato cadevano a terra spezzandosi in un tonfo secco. Preoccupata per la sua regina, bussò tre volte alla porta e aspettò che un piccolo folletto le venisse ad aprire.

“Buongiorno elfo Grammyt, vengo per avere notizie della regina”

“Oh fata, la regina sta molto male, se non accadrà qualcosa al più presto, temo per la sua vita”

“Fatemela incontrare”

“Sta riposando fata…”

“Non è il riposo che la rimetterà in sesto. Ditele che la fata del torrente di latte è qui”.

Il folletto salì per la scalinata di marzapane e pochi istanti dopo fece capolino da una porticina di zucchero indicandole con la mano di seguirlo. Tracy entrò nella stanza illuminata dalla luce soffusa che filtrava attraverso le crepe dei biscotti. La regina Morgana giaceva nel suo letto, avvolta in lenzuola di sfoglia sottile, ricamate da riccioli di glassa.

“Piccola Tracy…” sussurrò con la voce rotta dal magone.

“Vostra maestà” rispose Tracy inginocchiandosi di fianco al letto.

“Non state in pena per me…non mancherà molto alla fine del nostro regno. Vedi, tutto inizia a sgretolarsi e a sciogliersi sotto l’ombra dell’odio. Rifugiatevi voi che siete in tempo, andate a nascondervi nei sogni e nelle speranze…io resterò qui e me ne andrò con tutto questo…”

“No! Non fuggiremo mai lasciandovi sola. Non è nascondendoci o rassegnandoci che ci salveremo”.

Con queste parole nel cuore la regina, rimasta sola, ebbe un barlume di speranza, mentre osservava il tramonto scendere sulle distese dolci.

Intanto, nel Regno della Crudeltà, gli orchi facevano festa, brindando in calici di sangue al loro Re Zurfus. Il torrente di lacrime attraversava il Bosco della Perdizione, dove alberi di pietra dalle foglie d’oro accecavano chiunque passasse di lì smarrito; non vi era luce nel Regno della Crudeltà ed esse si nutrivano del loro ingannevole luccicare. Il castello era una fortezza fatta di ossa, le finestre lacrime congelate, le guglie grida pietrificate trasformate in grifoni. Gli orchi non conoscevano il profumo della dolcezza che inebriava il Bosco della Bontà; si nutrivano dell’odore della paura, del dolore, della crudeltà. Un tempo, quando il Bosco Incantato si estendeva senza confini, non vi erano che piccole pietre. Poi, man mano che i sogni e le speranze vennero sopraffatti e resi deboli dalla mancanza di amore, gli orchi iniziarono a moltiplicarsi, rubando sempre più spazio alla Bontà. Essi si nutrivano dei cuori infranti, dei desideri perduti, tagliavano le ali alle speranze e le gettavano via.

Le fate, al contrario, sanno bene quanto sia difficile nutrirsi, a questo Mondo, di dolcezza e bontà.

Quella notte Tracy radunò tutte le sue compagne, creature del Bosco Incantato. C’erano Yuly, la fata pralina; Puffy, la fata cremina; Sunny, la fata speziata, e Coffy, la fata confetto. Ognuna di loro aveva portato il proprio amuleto da offrire e presto la radura si coprì di praline di cioccolato croccanti, quadratini ripieni di crema, tavolette alla cannella e confetti grandi come uova. Tracy accompagnò il tutto da caraffe di latte e cacao.

“Oggi ho visto la Regina Morgana”. Le fate la guardarono impazienti. “Sta molto male”.

Il silenzio che seguì portò una brezza fresca e tutte si avvolsero sotto le loro ali.

“Il Regno della Crudeltà sta rubando sempre più il nostro spazio, il castello inizia a sgretolarsi e la regina se ne sta rinchiusa, sofferente, nella sua stanza”.

“Dobbiamo aiutarla…” mormorò Yuly “Ma come?”.

“Bombe speziate sugli orchi!” inveì Sunny “ E confetti giganti sulle loro teste!” la seguì Coffy.

Ma Tracy le rimproverò. “No! Ragazze dobbiamo salvare il nostro Regno, non piegarlo alle loro condizioni! Non dobbiamo entrare il guerra. Il vincitore non avrà premi e il vinto non smetterà di combattere”.

“Ma allora Tracy come pensi di sconfiggerli?”.

“Non dobbiamo sconfiggerli, dobbiamo fargli sentire il bisogno di ciò che non hanno”.

Le fate si guardarono perplesse.

“Non sentono il bisogno della dolcezza perché non la conoscono, ma una volta che l’avranno incontrata non potranno più farne a meno”.

“Ma Tracy, non hanno un animo buono, non la riconosceranno, non gli interesserà e la eviteranno”.

“Anche la crudeltà ha un anima, basta colpirne il punto debole, proprio come fanno loro con la nostra Bontà. Si aggrappano ad ogni ricciolo di sconforto e distruggono. Così noi faremo a loro”.

Per tutta la notte organizzarono la loro missione, preparando le pozioni più dolci. Raccolsero i semi di cacao, li tostarono, li miscelarono al latte del torrente e trasformarono il tutto in cioccolatini e mousse deliziose. Prima di partire, si strinsero in un abbraccio e volgendo lo sguardo al castello dissero all’unisono:

“La dolcezza di una carezza, la forza di un bacio, il trasporto di una passione…nulla resiste alla più buona tentazione, a colui che il male ha in sé,nessun rimedio migliore di te!”

E un enorme fiore di cioccolato aprì i suoi petali in mezzo a loro. Le fate sistemarono il proprio amuleto intorno al collo: una versione in miniatura del fiore.

“Questo fiore è la nostra forza, dobbiamo tornare prima che si sia sciolto e non senza aver adempiuto al nostro compito”.

Sbatterono le ali e si alzarono in volo; sorvolando il Bosco Incantato, risalirono il torrente di latte e si tuffarono tra le nuvole di zucchero a velo. In lontananza, i colori e i profumi della dolcezza lasciavano spazio alla nebbia fitta che segnava il confine con il Bosco della Crudeltà. Penetrarono nella coltre facendosi luce con la nebbiolina di zucchero che sprigionavano dalle loro ali e scesero in picchiata attraverso le pietre. Di tanto in tanto lasciavano cadere riccioli e gocce di cioccolato come una pioggia benevola sopra l’aridità. Seminarono praline e confetti sui sentieri, sulle sponde del torrente di lacrime, al di fuori delle case degli orchi e versarono cioccolato fuso tutt’intorno al castello inebriando l’aria di un profumo caldo e nebuloso.

Gli orchi non poterono fare a meno di volgere il naso all’insù, incuriositi da quella brezza che mai avevano annusato, un odore penetrante al quale era impossibile sottrarsi e fare a meno di respirare. Si guardarono fra loro emettendo strani grugniti e con aria perplessa uscirono dal castello e iniziarono a vagare per il Bosco.

“Aaaahrg!” esclamarono quando i loro piedi sprofondarono nella crema densa. Raccoglievano incuriositi le strane palline, le scrutavano con i loro occhi scuri, le annusavano avvicinandole al nasone rosso e con una smorfia per il dolce profumo le scagliavano contro alberi e pietre. Gli orchetti cercavano di catturare le fatine con i retini, ma loro volteggiavano intorno alle loro teste, posandosi di tanto in tanto sulle loro spalle sussurrando parole incomprensibili. Si intrufolavano fra le loro gambe facendoli sgambettare e capitolare con il naso in quello che per loro era fango, ma un fango morbido, vellutato, che avvolgeva le dita bitorzolute e li ricopriva a fiotti. Come ipnotizzati, caddero all’unisono inebriati dall’aroma della crema che si riversava tutt’intorno al castello.

In quel momento, Yuly si fermò a guardare il portone spalancarsi e comparire l’Orco Zurfus incappucciato nella sua vestaglia scura. Il cielo si oscurò e una fitta pioggia cadde sul bosco sciogliendo e lavando ogni traccia di cioccolato.

Prima che questo accadesse, però, un piccolo orco se ne stava in disparte a guardare i suoi compagni sprofondare; staccò da un ramo una foglia d’oro e la mise in bocca, senza accorgersi che una goccia di cioccolato vi era caduta sopra ricoprendola. La rigirò sotto la lingua sgranando gli occhi, la spinse sul palato succhiandola e la ingoiò senza masticarla. Un silenzio godurioso gli illuminò gli occhi e mentre zigzagava nel bosco ubriaco di dolcezza, raccoglieva le praline assaporandone la consistenza e gli aromi.

Con le ali bagnate e abbattute dalle gocce pesanti della pioggia, le fate dovettero fermarsi a terra, strette fra di loro su una pietra. L’orco si avvicinava sempre più e i tonfi pesanti dei suoi passi facevano crepitare le ossa e sgretolare i vetri di lacrime.

Il grosso fiore di cioccolato sperduto nel regno della Bontà iniziava a sciogliersi e man mano che l’orco si avvicinava, i suoi petali si afflosciavano sull’erba.

Il ghigno malevolo sul suo volto fece rabbrividire le fatine che si strinsero in un abbraccio.

“Cosa pensavate di fare nel mio Regno? Credevate forse di battervi?”. E una risata fragorosa e assordante dilagò nell’oscurità. L’orco staccò una foglia d’oro e la mostrò alle fate.

“Abbiamo abbastanza forza da opporvi resistenza per giorni e giorni”.

Sulla foglia lentamente si svilupparono le immagini del regno della Realtà: armi, guerre, violenze e sogni infranti si srotolavano tra gli uomini, nel loro Regno.

“Vedete? Abbiamo sempre modo di nutrirci, a volte sono loro stessi ad aprirci le porte e lasciarci via libera!”.

Il fiore si era ormai quasi del tutto sciolto, non ne restava che una montagnetta fusa, ma in quel momento arrivò Morgana.

“Ti sbagli orco Zurfus”. Le fate spalancarono le ali alla sua vista.

“E’ vero, gli uomini sono molto deboli, ma non avrebbero ragione di vita senza la nostra esistenza.

Voi li muovete come burattini accecandoli con inganni e smanie illusorie di felicità. Noi li rendiamo vivi, gli facciamo battere il cuore con sogni, speranze e sentimenti indispensabili alla loro esistenza”.

“Ah, quanti ne perdete in questa oscurità, quanti vengono a raccogliere le nostre foglie d’oro!”.

Morgana mostrò il suo ciondolo, lo aprì e ancora una volta le immagini del Regno della Realtà apparvero davanti a loro: ed ecco lacrime che diventavano sorrisi, sospiri di angoscia che si tramutavano in gemiti di felicità, occhi chiusi che si aprivano sul fronte di una speranza, un sogno, un desiderio che un giorno si sarebbe avverato.

La dolcezza asciugò le lacrime, sciolse la durezza delle pietre, riscaldò l’atmosfera con la sua brezza.

Fate ed orchi capirono di essere veri solo l’uno con l’esistenza dell’altro.

Non si invocherebbe l’aiuto di una fata se non ci fosse un orco a spaventarci.

A volte la fantasia e il sogno sono l’unico rifugio.

A volte non ci accorgiamo neppure di avere davanti agli occhi una fata…o un orco.



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