Gambacorta

Fiaba pubblicata da: emilio grimaldi

C’era una volta un bambino con una gamba più corta dell’altra. Gli adulti non ci facevano caso, mentre i compagni lo prendevano in giro. A scuola quando i compagni lo incontravano gli mettevano un piede di traverso per farlo inciampare. E quando giocavano per le strade lo invitavano a giocare ma solo per umiliarlo. Lo chiamavano Gambacorta.

Tra i suoi compagni c’era Pallapalla, un ragazzone poco più alto di lui, ma molto più in carne. Era così tondo che da lontano sembrava una palla da pallacanestro. E anche il colore arancione che preferiva nei vestiti era indicativo del tipo di palla a cui rassomigliava. Pallapalla non perdeva occasione per molestare Gambacorta. Ma Gambacorta nulla poteva contro la sua mole. Aveva sempre la peggio e piangeva, piangeva, piangeva. Nel corridoio della scuola quando si sentiva qualcuno urlare per il dolore era lui, Gambacorta. Mentre Pallapalla se la svignava a gambe levate. Si dice per dire. Le sue gambe, infatti, sembravano delle asticelle penzolanti dalla massa molliccia della sua pancia.

Quando arrivavano i maestri a soccorrerlo non diceva mai che era stato il compagno a fargli male. Diceva sempre che era caduto da solo. Non voleva sentirsi più debole degli altri e non voleva nemmeno che lo pensassero.

Per strada e nei corridoi Pallapalla vinceva sempre Gambacorta. Ma tra i banchi, durante le lezioni, Gambacorta non aveva rivali. Era molto intelligente e molto veloce. Finiva i compiti prima e meglio degli altri. La sua preparazione metteva in difficoltà finanche i maestri perché bastava che questi aggiungessero qualcosa di personale, che esulava dal testo scolastico, che Gambacorta se lo ricordasse. E poi lo riportava nei compiti con tanto di citazione del maestro Tizio o Sempronio.  Era un piccolo genio sia nelle materie matematiche che in quelle letterarie. Se era vero che aveva una gamba più corta dell’altra era anche vero che aveva un cervello più grande degli altri. Pallapalla invece era un perfetto asinello. Tuttavia l’appellativo che i compagni preferivano per chiamarlo era sempre Pallapalla perché lo ritenevano più simpatico di “asino” o di “bue”, per esempio, nomignoli che comunque dimostrava di meritare.

Un giorno il maestro di matematica, Chiodofisso perché era magro come un grissino, anzi un chiodo, e fermo e risoluto come i numeri, diede l’ultimo compito in classe dell’anno scolastico. E i numeri parlavano chiaro: bocciatura sicura per Pallapalla e promozione con lode per Gambacorta se le cose fossero rimaste uguali. I genitori di Pallapalla non volevano che il loro figlio ripetesse l’anno e il giorno prima lo avevano fatto nero. Era sempre una Pallapalla, ma con l’aggiunta di macchie scure e sul viso e sulle braccia.

Nessuno volle aiutarlo. Nemmeno il suo amico del cuore, un certo Polifemo perché stava sempre con un occhio chiuso. Si dividevano tutto, anche le merendine durante la ricreazione. Tuttavia, quel giorno, non si sa per quale motivo Polifermo si irrigidì in quel modo. A Pallapalla non rimase che chiedere aiuto a Gambacorta. Gambacorta non sapeva darsi una ragione nel vedere Pallapalla rivolgersi a lui con una faccina triste e implorante. Per essere più credibile scrisse una cosa su un pezzo di carta, l’appallottolò e glielo lanciò. C’era scritto: “Perdonami. Ti prego! Non lo faccio più. Però, aiutami, ti prego. E se qualcuno ti farà del male io ti difenderò.”

Gambacorta s’intenerì. Scrisse degli appunti su un foglio e chiese di andare in bagno. Passò davanti al suo banco e fece cadere quella che era la salvezza per Pallapalla. Chiodofisso assistette alla scena e chiamò entrambi alla cattedra.

“Chi è stato a dare il compito all’altro?”

Gambacorta, che era bravo con i numeri almeno quanto Chiodofisso, fece il calcolo dei compiti pregressi di Pallapalla. E solo un “10” avrebbe salvato il suo ex nemico. Senza batter ciglio rispose: “E’ stato Pallapalla – mi scusi, volevo dire: Antonio – a dare il compito a me”.

“Sei sicuro?” chiese  Chiodofisso che alzandosi sembrava implorasse un martello sul capo tanto era rigido e categorico.

“Sì!” replicò Gambacorta. Pallapalla rimase stupito. E si mise a piangere. Era la prima volta che lo faceva davanti agli altri. Polifemo, Giraffone, Orecchione, Nasone, Ballaballa, Ranocchiella, Vaccarella, Manone, Unghienere, Topina e Testone, tutti attendevano con apprensione il responso di Chiodofisso.

Grazie al “10” recuperato in piena zona cesarini Pallapalla raggiungeva il sospirato 6, il primo voto utile per la promozione. E la media di Gambacorta con lo striminzito “4” dell’ultimo minuto scendeva a “8”.

Pallapalla per l’emozione e per la dura lezione di Gambacorta esplose di gioia e prese Gambacorta sulle spalle. E urlò:

“Ha una gamba più corta, ma ha il cervello più grande della mia pancia.” Facendo ridere tutti.

“D’ora in poi sarò il suo amico più fidato perché mi ha dimostrato di volermi più bene di tutti voi nonostante tutte le volte che l’ho fatto cadere.” E diventarono seri.

Chiodofisso chiese a Pallapalla.

“Cosa vuoi dire? Che il compito te lo ha fatto lui?”

“No, lei è Chiodofisso. Gambacorta invece sarà prossimo premio Nobel della matematica!”

“Andate via, altrimenti vi boccio a tutti e due!” intimò.

Squillò la campanella. E scapparono via.

Pallapalla accompagnò Gambacorta fino a casa sulle sue spalle.

“Le gambe, la pancia, le orecchie, gli occhi. Più grandi o più piccoli. Niente reggono il confronto con la testa. Con il coraggio dell’intelligenza” rifletté.



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