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Tutte le fiabe di Silvana

Questa la raccolta personale di Silvana. Puoi contribuire anche tu al progetto "Ti racconto una fiaba" inviando i tuoi testi attraverso l'apposita pagina invia la tua fiaba.

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La fucina degli Dei

Tanto lontano nel tempo e tanto lontano da noi, esisteva un’isola grande quanto un bottone.

L’acqua che la circondava era diamantina, potevi vedere i pesci guizzare nella marina, le alghe galleggiavano come ciuffi d’insalata fresca, e le sfiziose vesti dei celenterati fluttuavano nella vasca. Sul bagnasciuga pullulava la vita, crostacei ci facevano la camminata e i molluschi si ritiravano a mulinello, nella rena piatta come francobollo.

Una varietà di reperti sparsi sulla sabbia, alcuni risalenti all’epoca della bibbia, con i quali ti saresti sbizzarrita nel creare monili, imitando la maniera dei gioielli tribali. Le dune erano un balsamo da respirare, una profusione di piante nane, difese da un groviglio di fusti di qualunque volume, intarsiati da un eccelso cesellatore, da tinte e forme diverse, agghindate le chiome, offrivano alla vista un sovrano vedere.

La fucina degli Dei

helianthus

Helianthus

Tanto tempo fa una farfalla svolazzò intorno alla corolla
di un assonnato girasole e gli disse:
“Ti prego solare fiore, permetti alle mie ali di riposare,
prima del lungo viaggio che devono affrontare.

Non ti sarò di peso, non ti sarò d’impaccio,
leggera mi farò, a mo’ di piumaggio.
Nel ristorarmi ti potrò narrare
il motivo per cui lontano devo andare”.

Helianthus

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La Fata Gelsomina

C’era una volta una contadina che pianse tutte le sue lacrime per la perdita del marito, ma nessuna di esse poté ridarle lo sposo. Così, con il cuore ferito continuò a occuparsi del solo amore rimastole: il loro bambino.

Egli, benché fosse bello come il sole al mattino, aveva un difetto, quello di diventare un mostro appena un no gli veniva detto.

Gli occhi si trasformavano in due uova al tegamino, il naso lungo e rosso tale e quale a un peperoncino.

Le orecchie come cimbali s’ingrandivano e, stonati come coperchi sulla testa, rintronavano.

La bocca spalancava pari a quella dell’ippopotamo che sbadiglia e, i denti, mamma mia, con quelli del pescecane facevano pariglia!

La Fata Gelsomina

vecchina-zoppa

La vecchina zoppa

C’era una volta una vecchietta zoppa che andava mendicando per le vie.

Vide un signore ben vestito e gli andò incontro ma lui, avvedendosene le puntò con cipiglio il bastone da passeggio contro, dicendole: “Io sono duca, stammi lontano stracciona altrimenti di te ne faccio fonduta”

Di colpo il bastone si trasformò in serpente e saettando fece trasalire la gente.

Si avvicinò, allora a una signorina impettita ma quella come ne vide la figura saltò a lato e gracchiando come cornacchia, disse “Io sono contessina non ti avvicinare sporca vecchiettina”.

Pestando il piede lo mise fuori dalla banchina, prese una storta e sedette proprio in mezzo ad una fanghiglia e la folla cominciò a schernirla.

Si fece d’appresso ad una signora imbellata ma non fu meno mortificata, toccandosi al collo, altezzosa disse “Io sono baronessa,lercia vecchiaccia i tuoi pidocchi non faranno festa nella mia pelliccia”.

La volpe che stringeva si animò e corse tra la massa meravigliata ed ella prese a grattarsi come affetta dalla tigna.

La vecchina zoppa

kataplan

Kataplàn

Ti narro la storia di kataplàn.

Gnomo grassottello con barba bianca e rosso cappello,
il quale occultò le origini malinconiche e avare e di notte, con la ramazza sulle
spalle entrava nelle dimore fischiettando un allegro motivetto frammentato da
queste parole:

“Io sono Kataplàn che tutto in fretta fa” (fischiettare)

Così, dando rapidi colpi di saggina, dappertutto spazzava e potevi esser
certa che neanche un granello in nessun angolino potevi trovarvi al mattino.
In alcune case però questa grascia durava assai poco, quando la massaia
diventava indolente e poltrona, allora non si sentiva più il suo allegro
canticchiare bensì modulava la voce in un roco tono di rimprovero, la sua ombra
diventava gigantesca e, minaccioso diceva:

Kataplàn

rosaspina-eltica-contadina

Rosaspina la celtica contadina

Si narra qui la leggenda di due folletti appartenenti alla stessa tribù ma rivali in amore.

Kant sfoggiava la giacchina rossa bordata di sette fili di bottoni e sette bottoni per fila.

La ravvivava ancor di più con il purpureo delle orecchie poiché questo gli accadeva quando, in verità spesso, si adirava, inoltre balzava su di un muro girando a mulinello stando in equilibrio su una delle tre punte del cappello.

A kantaki di file ne restavano tre soltanto per via che si abbuffava e vederlo era un portento.

Di natura pacioccosa, sorridente, canterina, poeta ardito amava sera e mattina quest’unico verso intonare al sole e alla luna: ” Oh sole astro splendente, non mi far cadere un solo dente.

Oh luna che lassù brilli, fammi udire il canto di cicale e grilli”.

La passione che rivali li rendeva si chiamava Rosaspina.

Rosaspina la celtica contadina