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La leggenda del grande suricato

Fiaba pubblicata da: marco.ernst

C’era una volta…

Ma c’è tuttora, una specie di piccoli mammiferi, i suricati.

I suricati sono piuttosto piccoli, lunghi e con le zampette corte; a loro modo, sono animali felici: mangiano, si riproducono, giocano fra loro, cose semplici, ma che li fanno contenti.

Vivono in famiglie – tribù abbastanza numerose, tutti nella stessa tana sotterranea; alla mattina escono, si stiracchiano, un po’ come fanno gli uomini, ma loro non lo sanno, si scrollano per rimettere a posto il pelo, magari per pulirlo da terra e foglie morte e poi cominciano la loro giornata.

Ora, loro non vanno al lavoro, né in ufficio, ma svolgono quotidianamente un lavoro importante, sette giorni su sette, trecentosessantacinque giorni all’anno (ma naturalmente loro non hanno né orologi, né calendari, né il nostro concetto di tempo: per loro è : buio – chiaro, caldo – freddo. Pioggia – sole).

Il loro lavoro è procacciarsi il cibo, portarlo ai cuccioli, alle femmine che allattano, a quelle gravide.

Escono dalla tana, fiutano l’aria (caldo – freddo, pioggia – sole) anche se dove vivono loro non fa quasi mai freddo, almeno di giorno e piove ben poco, dopo cominciano a scorazzare nel loro territorio e fare provviste da riportare in tana anche se, beh, uno spuntino sul luogo…

Sono dunque allegri, simpatici e felici… almeno sarebbero felici se non ci fossero loro, i due nemici giurati: l’aquila e la volpe.

Poveretti, anche loro devono nutrirsi, ma perché non di bacche, frutti, semi, radici? Perché devono essere dei predatori e i suricati le loro prede?

Così, a volte, qualcuno non torna alla tana ed allora tutti diventano tristi, non sono più così felici della loro semplice condizione.

Suri, non è più un cucciolo, ma nemmeno un adulto: un adolescente, diremmo noi, e come è giusto per la sua età ha voglia di vedere, conoscere, imparare.

Così Suri quando esce per andare in cerca di cibo, a volte si perde, va oltre il territorio, esplora… e poi torna a mani, pardon, a zampe vuote. Però impara tante cose che gli altri suoi coetanei e neppure i vecchi sanno.

Una mattina Suri uscì dalla tana, annusò l’aria fresca di rugiada, vide che tutto era tranquillo e partì in cerca d’avventura; c’era una zona che ancora non aveva esplorato giù, verso la foresta.

Accidenti, pensò quando vi giunse, che alberi enormi che ci sono qui, ed ebbe un po’ paura dei pericoli che l’oscurità del bosco potesse nascondere, ma andò avanti, perché aveva quello spirito d’avventura indispensabile per evolversi.

Ad un certo punto la foresta si aprì in una radura, che era stata creata da un fulmine, ma lui non lo poteva sapere, e qui lo vide: il grande suricati!

Era solo un tronco spezzato dalla saetta, ma che pareva proprio, per quei curiosi scherzi che a volte fa la natura, uno di loro, solo che era enorme, solo che era… su due zampe!

Suri tornò lesto alla tana e, quando tutti furono rientrati, si mise in mezzo ai grandi e ai saggi e parlò: “Sentite – disse – domani dovete venire con me, perché ho trovato il padre di tutti noi, il grande suricati!”.

Al che tutti risero di quell’ingenua fantasia del giovincello, ma alcuni decisero di andare con lui a vedere, il giorno seguente.

La mattina dopo, mentre i bottinatori andavano a fare scorte di cibo, una delegazione dei capi tribù seguì Suri verso la foresta.

Se fosse stata una delle sue fantasie, se avesse fatto perdere loro solo del tempo, al ritorno si sarebbe preso un bel morso sul sedere per punizione.

Il giovane ritrovò la strada, la radura; più volte dovette tornare indietro perché i vecchi non tenevano il suo passo, ma alla fine tutti giunsero al tronco – suricati.

“È vero, disse il più anziano, sembra proprio uno di noi, solo che non si muove, è grande  e non ha due zampe”.

“Stolto che sei! – lo rimbeccò Suri, beccandosi un’occhiataccia per la sua impertinenza – non è che non ha due zampe, è che sta in piedi!”.

E così dicendo anch’egli si mise sulle zampe posteriori e sul sedere per stare più comodo.

Poi ci provarono tutti e non era né difficile, né scomodo.

“Sì, ma a che può servire tutto ciò, questa posizione? Cosa ci vuole dire il nostro antenato?”.

“Ma come, non capisci? – intervenne di nuovo Suri – in questa posizione possiamo meglio vedere arrivare l’aquila, la volpe, possiamo annusare l’aria e non la terra, così saremo più sicuri!”.

“Sì, ma lui è alto, noi siamo molto più piccoli”.

“E noi diventeremo alti” s’intestardì Suri.

Tornati alla tana, appena fuori e intorno all’ingrasso, il piccolo suricati costruì con le zampette una piccola montagnola di terra, poi vi salì in cima e si mise su due zampe.

Si sentiva 9importante, ora tutta la tribù lo guardava ammirato per tanto ingegno.

Suri guardò l’orizzonte: “Eccola, gridò, ecco l’aquila!”.

“Ma noi non vediamo nulla!” dissero dal basso i suoi compagni; pii un’ombra oscurò il sole, tutti scapparono, Suri aveva ragione, Suri aveva salvato tante vite, Suri era un eroe!

Tanti anni son passati: Suri ha avuto dei figli, dei nipoti ed ora non c’è più, ma tutti, adesso hanno imparato a stare di sentinella su due zampe e se arrivano l’aquila o la volpe… un fischio e tutti dentro al sicuro in tana.

Come tanti eroi sconosciuti, Suri ha lasciato dietro di se qualcosa d’importante, ha visto là dove gli altri non vedevano per cecità, per ottusità.

Ancora adesso, ogni tanto, i suricati si spingono fino alla foresta a salutare e ringraziare il grande suricati e a ricordare Suri.



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