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Quando le penne si mettono a parlare

Fiaba pubblicata da: Silvia Zanetto

La mia vita, all’inizio, non è stata molto emozionante. Me ne stavo lì in negozio, diritto e serio tra i miei compagni, in attesa che qualcuno si decidesse ad acquistarmi.

Certo, quando un cliente entrava, puntando l’indice verso il nostro scaffale, erano dei begli spaventi: capitare in mano a quel bambino cicciotto con gli occhiali e le lentiggini, ad esempio, significava finire nella spazzatura nel giro di pochi giorni!

Quando la vidi arrivare, la mia padrona intendo, non mi sembrò una persona molto raccomandabile: parcheggiò (si fa per dire) la sua automobile tutta storta, col muso contro il cassonetto , poi accese le quattro frecce e saltò giù dalla macchina come se fosse inseguita da un branco di leoni affamati.

“Non ci voglio andare, a casa di quella sclerata!” dicevo tra me, ma lei inesorabile indicava il portamatite:

“Uno di quei pennarelli sottili… nero, misura 0,1”.

Ero io. Inutile farsi illusioni: i rossi, i blu e i neri 0,2 e 0,05 tiravano un sospiro di sollievo, mentre il cartolaio mi posava sul bancone.

 

“Ecco a lei signora. Due euro e trenta. Le serve una bustina?”

“Digli di sì” pensai io. “Almeno una bustina. Un pennarello come me, non so se mi spiego, nero 0,1 da due euro e trenta, non vorrai mica mettermi in tasca?”

“No, grazie. Lo metto nella borsa”.

Ecco, proprio quel che temevo.

Ora, voi non avete idea di che cosa possa esserci nella borsa di questa donna. Siccome non bada troppo alle mode, e soprattutto le dà noia passare le cose da una borsa all’altra, non le cambia mai e si dimentica gli oggetti per settimane.

Uscendo dal cartolaio, mi infilò in una tasca laterale a contendermi lo spazio con: due caramelle, cinque carte di caramella, un cerotto (fortunatamente non usato), una pastiglia di Moment, una lima per le unghie e la lista della spesa di due settimane prima.

“Perfetto. Sono stato comperato da una disordinata, per di più frettolosa. Se non mi perde nel giro di pochi giorni, chissà gli scarabocchi che mi farà scrivere!”Ma mi sbagliavo. Arrivati a casa, lei mi estrasse delicatamente dalla borsa e mi infilò dentro un astuccio colorato, dove fui finalmente accolto come merita un pennarello del mio calibro. Matite, evidenziatore, colla stick ed altri articoli di cancelleria mi si fecero attorno, lusingandomi con i loro sguardi di palese ammirazione: intuii che dovevo essere io quello più importante, lì dentro.

“Sei tu, il pennarrrello nero, quello che lei utilizza più frrrequentemente” mi spiegò facendo roteare la “erre” la penna rossa (una tipetta davvero carina, devo dire, anche se un po’ rotondetta e soprattutto di una marca concorrente).

“Naturrralmente, anch’io ho il mio rrruolo da non sottovalutarrre, qui dentrrro. Sai… non scherrrzo mica, io. Con me… corregge le verrrifiche!” concluse, piroettando su se stessa per mettere in evidenza la marca scritta sul cappuccio. Se avesse avuto le ciglia, credo proprio che le avrebbe sbattute.

Non ci potevo credere: mi stava facendo la corte! E’ impressionante vedere che penne sfacciate ci siano in giro al giorno d’oggi. Del resto, non poteva neppure diventare rossa per la vergogna, visto che rossa lo era già.

“Quindi, sono stato comperato da un’insegnante: mi aspetta una vita mortalmente noiosa!” rimuginavo tra me e me, quando la sfrontata ritornò all’attacco, sfoderando le proprie doti:

“Sapessi le rrrighe…i segnacci rrrossi, che faccio sui compiti! Specialmente quelli di cerrrti alunni! E poi…” concluse, sbatacchiando le ciglia (che non aveva) “Mi usa anche per annotarrre le insufficienze sul rrregistrrro!!!”

Certo che “registro” con tutte quelle “erre” faceva davvero imprrressione… ops, scusate! Volevo dire impressione.

“Proprio il tipo di ragazza che fa per me, una che si compiace delle disgrazie altrui!” considerai, voltandole le spalle. Girandomi, scorsi una matita molto attempata, che doveva aver fatto un po’ troppi giri nel temperino per poter essere ancora utilizzata.

“E lei chi è?” domandai sorpreso.

“Eh… ero una matita, una volta” mi rispose lei, con quella voce cantilenante e chioccia che hanno i vecchi quando sono proprio vecchi.

“Ero la preferita della padrona, sai, né troppo dura né troppo morbida. Mi usava sempre: per sottolineare i libri di scuola, per gli appunti… ma soprattutto per scrivere.”

“Scrivere?”

“Proprio così. Sei sorpreso? Ah, per ciò che t’ha detto quella!” disse, indicando la penna rossa, che se ne stava imbronciata in un angolo, stizzita perché un bel tipo come me stava a parlare con una vecchietta anziché con lei.

“Non dar retta a quella smorfiosa!” continuò la vecchia matita. “Lei crede che la cosa più importante per la padrona sia tracciare rigacce rosse sui quaderni dei bambini! E vedrai come si pavoneggia, quando c’è qualche insufficienza e tocca a lei annotare il voto anziché a te! Dammi retta, io la conosco da anni, la padrona: a lei, più di tutto, interessa scrivere.”

“Ma che cosa scrive?”

“Racconti… Storie che fanno piangere e storie che fanno ridere… E la maggior parte le ha scritte con me!” concluse, giustamente compiaciuta.

“E anche con me!” aggiunse una vecchia gomma biancastra e striata di grigio, che come età non aveva molto da invidiare alla matita.

“Sì, vecchia mia, ne abbiamo fatto di lavoro insieme!”

“Non capisco! Si scrive con la gomma adesso?” domandai io, sempre più sconcertato. “E poi, voi siete vecchissime. Come mai non vi ha ancora buttato via?”

“Lei scrive, poi cancella, corregge e riscrive. Così si fa” rispose la gomma, con l’aria di una che la sapeva lunga.

“E non ci ha buttate via perché è affezionata a noi.”

In realtà, lo confesso, ero un po’ risentito. Per quanto ne sapevo io, le matite servivano per disegnare, sottolineare. Ma scrivere, quello doveva essere compito mio.

Cominciavo a nutrire dei forti dubbi su quello che avrebbe dovuto essere il mio ruolo.

“Va bene, ho capito… Ma poi, quando ricopia in “bella”, è lì che entro in gioco io, no?”

Le due vecchie si inclinarono l’una verso l’altra e, a parte il fatto che non avevano la bocca, ebbi l’impressione che stessero bonariamente sorridendo della mia ingenuità.

“Veramente… poi li ricopia al computer”.

“NO! Noooooo – o – o – o !”

Ragazzi, voi non avete idea di quanto un pennarello distinto e perbenino come me, da due euro e trenta, voglio dire, nato per una scrittura elegante ed ordinata, possa detestare quella specie di arnese che porta via il lavoro agli onesti lavoratori come me! Avrei voluto andare a cercare questo computer e cacciargli un dito in un occhio… cioè, volevo dire: il cappuccio nello schermo.

“In realtà,” continuò l’anziana matitina “a volte usa anche il pennarello nero, per scrivere. Soprattutto per prendere appunti… E poi vedrai, ti porterà dappertutto.”

“Non parte mai senza di noi” aggiunse orgoglioso l’evidenziatore giallo. “Ci porta sempre in tutti i suoi viaggi!”

“E ditemi: che fine ha fatto il mio predecessore?”

“Quello che non scrive quasi più? E’ in cucina!”

“In cucina? Nel… sacchetto delle immondizie?” chiesi, tremante per quella che sarebbe stata la mia sorte futura.

“No, nel cassetto. E’ in pensione, adesso”.

“Scrive la lista della spesa. E gli appuntamenti sul calendario.”

Mi sentii più rilassato. Forse, non m’era andata poi così male.

All’improvviso, l’intero astuccio fu sollevato, poi ebbi l’impressione di precipitare.

“Che succede?”

“Ci ha messi nella valigetta. Andiamo a scuola”.

Ve lo confesso, ragazzi, fu una mattinata terribilmente, atrocemente noiosa. L’unica soddisfazione fu annotare un bel “distinto” sul diario di un ragazzino, ma mi toccò firmare il registro per cinque volte, riportare i numeri degli esercizi di grammatica e siglare anche due circolari. Ero disperato, credetemi! Poi lei aprì il registro, e mi fece scrivere l’argomento delle lezioni: era una pagina di quelle che piacciono a me, precisa ed ordinata, lei aveva una bella grafia, così mi sentii meglio. Ma non vedevo l’ora di dedicarmi a qualcos’altro.

“Di pomeriggio, si scrivono i racconti?” chiesi alla vecchia matita.

“Qualche volta…. ma più spesso si correggono i compiti, se ne occupa la smorfiosa di quelli”.

“Sì, ma le storie? Quelle che fanno ridere e quelle che fanno piangere?”

“Qualche volta, sì… forse anche oggi, se sei fortunato”.

Dopo un’altra lunga serie di sballottamenti, arrivammo finalmente a casa, dove l’intera valigetta fu sistemata con un colpo finale sotto la scrivania. Poi la padrona la sollevò: “Basta correggere. Oggi si scrive”.

Estrasse l’astuccio e ficcò la valigetta dentro l’armadio: meno male, la conoscevo da un giorno e già mi stava antipatica.

Lei tolse da un cassetto un’agenda piena di appunti fitti fitti, poi mi prese, tolse il cappuccio ed osservò con piacere la mia punta perfetta.

“Pennarello nuovo. E’ ora di inaugurarlo” disse tra sé. “E… se ne facessi il protagonista del mio nuovo racconto?”

Aprì l’agenda e incominciammo a scrivere:

“La mia vita, all’inizio, non è stata molto emozionante. Me ne stavo lì in negozio…”

Mi sentii felice, tanto quanto può esserlo un pennarello. La mia vita aveva uno scopo, ora, e mi veniva da ridere a pensare quanti se ne stanno dimenticati in un portamatite, o chiusi in un ufficio, e non sanno quanto la vita può essere diversa, quante emozioni può dare… anche a un semplice pennarello come me”.

FINE!!!

Silvia Zanetto, da “Sandrino e lo gnomo”, Montedit 2007

 



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