Sassolini di baci
In un bosco passeggiando vedo un vecchio seduto su un piccolo sgabello di legno lo guardo lui mi sorride mi chiama con voce calma mi dice vieni ragazzo ho una cosa per te apre il… Sassolini di baci
La più completa raccolta di fiabe, favole e racconti brevi che parlano di "saggezza", tra le migliaia inviate da tutti gli autori di "Ti racconto una fiaba".
In un bosco passeggiando vedo un vecchio seduto su un piccolo sgabello di legno lo guardo lui mi sorride mi chiama con voce calma mi dice vieni ragazzo ho una cosa per te apre il… Sassolini di baci
Il sole se n’era andato di colpo, il vento aveva raccolto in un attimo sulla montagna nuvole nere gonfie di pioggia, e subito aveva cominciato a tuonare e lampeggiare. Poi, si era scatenato l’iradiddio. La luce livida delle saette squarciava il cielo in un susseguirsi di guizzi che sembravano non avere fine.
Piccolo Uomo, raggomitolato vicino alla parete della capanna, si teneva le orecchie tappate, la faccia e gli occhi nascosti nelle ginocchia: non ricordava di avere mai avuto tanta paura.
Grande Vecchio, abbandonato sulla poltrona, fumava la pipa e lo osservava con un sorriso di tenerezza.
Un giorno di tanti anni fa, non so dove o non si sa, un ometto curvo con il bastone cercava la sua felicità.
“Mi scusino lor signori, siate gentili, ho perso un qualcosa di prezioso: i miei anni, la mia serenità, i miei ricordi, erano tanto cari!”
Così diceva ai passanti intenti ad ammirare le vetrine dei negozi che vendevano a cuor sincero, cento, mille o più balocchi.
“Ma buon uomo, la felicità è una goccia piccola in mezzo a tante gocce, c’è chi la trova in un secchiello, chi nel fondo di un oceano. La felicità può essere di chi la crea, come fosse un grande artista. Chi è felice solo con un sogno, anche inventato, chi mangiando un panino, solo con una fetta di prosciutto. Chi facendo il farabutto, ma quella non è felicità, è illusione.”
Piccolo Uomo e Grande Vecchio avevano passato il pomeriggio a far legna nel bosco, su tra le alte montagne. Ormai le ombre della sera si allungavano: l’aria si era infreddolita e il sentiero aspettava per il rientro. Bisognava caricare i tronchi sul carro.
Piccolo Uomo era contento: aveva maneggiato la sega e la scure come Grande Vecchio, senza risparmiarsi. Ma la fatica, ora, ce l’aveva tutta stampata in faccia.
Grande Vecchio lo osservava, silenzioso: i suoi occhi sorridevano e facevano trasparire un affetto dolce e morbido come il leggero sole di primavera.
Piccolo Uomo sembrava seduto in quella posizione da sempre: fissava, gli occhi persi nel vuoto, il fuoco che crepitava e sfolgorava di faville. La notte era fresca, non fredda, e la fiamma creava tutt’attorno un dolce tepore.
Grande Vecchio, più in disparte, espirava ogni tanto larghe volute di fumo: piccole nuvole che si allargavano lente quasi a nascondere la lunga pipa. Ogni tanto si faceva questo regalo, dopo mangiato e prima del sonno: una fumata di buon tabacco forte, aspro e duro come lo spuntone di una roccia.
Ad un certo punto, Piccolo Uomo ruppe la sua ipnosi.
«E’ male sognare, Grande Vecchio?».
Grande Vecchio manifestò stupore: «Che domanda strana, Piccolo Uomo: forse qualcuno te l’ha fatto credere? ».
Cominciavano ad alzarsi le prime luci, e Grande Capo Orso-Lucente era uscito dalla tenda.
Lentamente, aveva abbracciato con lo sguardo l’orizzonte, passandosi una mano sul braccio, e aveva aspirato l’odore dell’aria: diceva pioggia e vento.
«Sì», disse fra sé, «l’inverno è alle porte. E sarà un inverno freddo».
Diede un ordine secco: «Subito 50 indiani a fare legna nel bosco».
Poi, chiamò Penna Bianca, uno dei bambini del campo a cui era più affezionato e del quale più si fidava.
C’era una volta un imperatore che aveva tre figli che gli volevano un gran bene.
Il primogenito si chiamava Karl, il secondo Kali e il più piccolo Koan. L’imperatore era malato da tantissimi anni e, per cercare di guarire, aveva chiamato i migliori medici da tutto il mondo alla sua corte. Stanco dei vani tentativi di sconfiggere la malattia, si rassegnò e decise di prendere le medicine che gli aveva prescritto il medico che gli era sembrato fosse il migliore.
Un giorno si mise a riflettere a lungo sul fatto che ognuno dei medici che l’avevano visitato aveva prescritto una cura diversa da quella di tutti gli altri, e si chiese: “Ma se due medici prescrivono due cure differenti, non è possibile che uno dei due sbagli cura? E se i medici che mi hanno visitato hanno tutti prescritto cure diverse, non potrebbe essere che abbiano sbagliato tutti? Forse è per questo che non riesco a guarire, mah, speriamo mi stia sbagliando”.
Piccolo Uomo viveva ormai da due mesi con il Grande Vecchio delle Montagne.
Gli piaceva, la mattina appena sveglio, aspirare l’aria pura dei ghiacciai; sentire, appena il sole avvolgeva dolcemente le piante, il profumo intenso dei boschi; camminare lentamente, durante il giorno e soprattutto al tramonto, in vetta alla vallata e vedere, da lassù, gli uomini piccoli della città, che correvano indaffarati come formiche impazzite. E poi, non avrebbe mai smesso di ascoltare, la sera accanto al fuoco, il Grande Vecchio che raccontava, con la sua voce calda e antica, vecchie storie di divinità e folletti.
Ma il Grande Vecchio aveva insistito. L’estate si stava concludendo e Piccolo Uomo doveva riprendere la sua normale vita di bambino: i genitori, la scuola, i compiti a casa, i giochi con gli amici.
Piccolo Uomo era molto triste. Avrebbe contato i giorni: fino alla prossima estate.
Lo zaino era pronto e Piccolo Uomo stava per indossarlo.
Piccolo Uomo era salito sulla Montagna Più Alta e finalmente era di fronte al Grande Vecchio della Terra.
«Ciao, Grande Vecchio» disse Piccolo Uomo. «E’ tanto che cammino e le mie gambe non mi reggono più. Ma il mio problema è enorme e solo tu mi puoi aiutare».
«Davvero?».
«Certo. Giù in città, tutti dicono che sono un bambino e che debbo imparare. Se faccio domande, si irritano: mi rispondono che un giorno capirò e che adesso non è il momento di sapere. Che quando sarò cresciuto, e finalmente sarò uomo, avrò tutte le risposte che cerco. Ma io voglio crescere adesso. E non voglio diventare un uomo. Voglio diventare come te».
«Come me?» domandò il Grande Vecchio.
«Sì, come te» rispose Piccolo Uomo.
«E come sarei io?» domandò il Grande Vecchio.
Molti anni fa viveva nella steppa un allevatore di bestiame di nome Gajan.
Aveva una bellissima figlia, Miriam. La fama della sua bellezza si era sparsa anche in paesi lontani. Quando compi diciotto anni, il padre pensò di darle marito. Le chiese:
– Mia cara figlia, che uomo desideri sposare?
– Un uomo che sia al tempo stesso il più ricco e il più povero – rispose Miriam.
Gajan mandò in giro per tutta la regione i suoi servitori perché facessero conoscere ai giovani il desiderio di Miriam, e perché coloro cui la notizia interessava si facessero avanti.
Un elefante
dichiara, pungente:
-Son mica grasso,
son solo ingombrante!-
Lente rispondono
le tartarughe:
-Se fossimo svelte,
vedresti che fughe!-
Conclude invece,
il gufo saggio:
-Dovreste godere
di quello che avete!
L’incontro di Celestino Mingherlino col mago Barbabè fu simpatico e curioso.
Celestino era malaticcio, si era beccato da poco uno di quei fastidiosi virus parainfluenzali, cioè che non sono ancora influenza vera e propria, ma poco ci manca.
Il povero Celestino, che per tutta la sua lunga vita non si era mai buscato più di un raffreddore, si sentiva proprio giù.
Sembrava che il suo proverbiale ottimismo l’avesse abbandonato.
Era a letto con un febbrone da cavallo, il naso tappato e gocciolante, gli occhi cisposi e lacrimanti, e un tossone da far invidia al tuono.
La gente del paese lo aiutava sollecita, poiché Celestino era benvoluto da tutti.