Aspettami mamma

Fiaba pubblicata da: MARISAGI

Aveva da poco smesso di piovere e tra le nuvole scure e qualche sprazzo di azzurro l’arcobaleno spiccava nitido nel cielo incorniciando come un’aureola la montagna che si ergeva scura all’orizzonte.

Emily era alla finestra e guardava con occhi sognanti, velati da una vaga malinconia, quell’arco perfetto. “Che bei colori!”, pensava, ” come sarebbe bello camminare su quel sentiero fatto di colori e di luce ! Che gioia sarebbe avere le ali e volare verso l’arcobaleno e vedere dove inizia e dove finisce! Come sono fortunati gli uccelli, loro possono volare e andare ovunque, perché io non posso ? ”

Quante storie le aveva raccontato la madre sull’arcobaleno e quanti sogni avevano fatto insieme. Se fossero riuscite ad arrivare lì avrebbero incontrato le fate, gli elfi, gli unicorni bianchi come la neve e avrebbero giocato con loro, trascorrendo gioiosamente il tempo.

Poi la mamma si era ammalata. Prima di morire le aveva detto dolcemente che ora avrebbe avuto le ali per arrivare all’arcobaleno e da lì avrebbe vegliato su di lei insieme alle sue amiche fate e lì l’avrebbe aspettata, tra quei meravigliosi colori e quella luce abbagliante. Cominciò così da quel momento a chiedere ossessivamente a suo padre di portarla dove nasce l’arcobaleno, dove sua madre la stava aspettando. Il papà, disperato, le aveva spiegato che quelle erano solo favole e che la mamma non era lì dove lei pensava, ma la bimba non gli credeva. Poi il padre si risposò con Marion, l’ amica della mamma sempre presente nella loro vita soprattutto durante la sua malattia, ed anche a lei Emily pose le stesse domande ricevendo le stesse risposte.

Emily, però, continuò a credere ciecamente a quello che le aveva detto sua madre.

Marion era una persona buona e dolce che aveva cercato di conquistare la sua amicizia e il suo affetto ed Emily aveva ricambiato i suoi sentimenti gentili e si rattristava molto quando anche lei diceva che la madre le aveva raccontato solo favole e non la realtà.

La bimba, a dispetto di quanto le dicevano gli adulti, continuava a fare domande perchè desiderava ardentemente andare dove sua madre l’attendeva giocando con le fate.

Un giorno Marion, stanca delle sue continue domande, le disse che l’arcobaleno nasceva nel bosco ai piedi della montagna nera che si vedeva all’orizzonte spiegandole che quella montagna era tanto lontana e praticamente irrangiungibile per una bambina di sette anni. La bambina si rabbuiò in volto e Marion nel vederla così avvilita e depressa per quello che aveva detto, per rallegrarla, le preparò i dolcetti che le piacevano tanto, ma notò con tristezza che Emily si sforzava di sorridere solo per farla contenta.

Guardò con apprensione gli occhi malinconici della bimba che amava come se fosse sua e cominciò ad osservarla con discrezione, senza farsi notare, poichè era preoccupata per lei.

Da quel giorno Emily non chiese più nulla e conservò i suoi sogni nel cuore mentre svolgeva pensierosa i piccoli compiti che Marion le affidava.

Tra i suoi doveri c’era quello di raccogliere la legna secca da bruciare nel camino d’inverno e riporla in ordine nella legnaia. Quando il tempo era bello, perciò, girava nei dintorni della loro vecchia casa in cerca di ciocchi che deponeva ordinatamente in un carrettino che il papà aveva costruito apposta per lei. Quando era pieno tornava a casa, lo svuotava deponendo nella legnaia i pezzi di legno raccolti e se era presto e non era stanca usciva di nuovo a cercarne altri . La bimba era felicissima del compito affidatole. Le piaceva girovagare senza meta e poi pensava che camminando molto avrebbe irrobustito le sue gambe e che un giorno non lontano avrebbe potuto affrontare il lungo viaggio verso l’arcobaleno.

Nel suo peregrinare le capitava di incontrare cerbiatti, lepri, scoiattoli con cui si metteva a chiacchierare convinta che la capissero perché mentre lei parlava la guardavano con i loro grandi occhi, immobili per un attimo, e poi via veloci per la loro strada. C’era però un animale che l’affascinava più di tutti ed era un superbo cavallo bianco che vedeva spesso vicino un ruscello che scorreva in un campo al limitare di un boschetto. A volte, quando non era già lì, lo aspettava per un po’ nella speranza di sentire la terra tremare per la pressione dei suoi zoccoli in corsa e di vederlo arrivare con la criniera al vento ed il pelo lucido e splendente sotto il sole. Seduta su un sasso sotto un albero Emily osservava rapita ed estasiata quell’animale possente, selvaggio e, soprattutto, libero.

” Come deve essere bello essere forti e liberi !”, pensava.

Giorno dopo giorno la bimba sceglieva un sasso sempre più vicino al ruscello e quando il cavallo bianco come la neve arrivava Emily cercava di rimanere immobile nella speranza che si abituasse a lei. E così fu. Mentre i primi giorni la guardava vigile e ostile, col passare dei giorni non solo non le mostrava alcuna ostilità ma anzi andava a bere senza problemi vicino a lei che sedeva composta e immobile.La prima volta che fu così fiducioso da avvicinarsi alla bambina fino a sfiorarla mentre era intento ad abbeverarsi, il cuore di Emily cominciò a battere all’impazzata e i battiti erano talmente forti che temette spaventassero l’animale con il loro rimbombo. Comunque la bimba non si mosse mentre l’animale le sovrastava accanto e si rese conto che ormai non era considerata un nemico.

Un giorno, facendosi coraggio, con mano tremante lo accarezzò aspettandosi di finire schiacciata dall’animale che, però, si limitò ad un piccolo nitrito. Emily divenne più audace, si alzò e lo accarezzò sul collo con movimenti lenti e lunghi. Il cavallo si girò e la guardò ed Emily capì che aveva trovato un amico.

Il loro divenne un appuntamento fisso, Emily trascorreva ore felici con il suo amico. Nella sua mente il cavallo le era stato mandato dalla mamma per farla andare all’arcobaleno ed un giorno prese il coraggio a due mani, si arrampicò su delle rocce e da lì salì sul cavallo selvaggio che sorprendentemente accettò la sua invadenza. Ora bisognava indicargli la direzione, ma ingenuamente la bimba pensò che il cavallo doveva saperla dato che le fate e la sua mamma lo avevano mandato da lei. Il cavallo, però, dopo un attimo di incertezza si avvicinò al ruscello e ricominciò beatamente ad abbeverarsi.

“Cosa fai su quel cavallo Emily? Può essere pericoloso.” La bimba sobbalzò nell’udire la dolce voce di Marion che si era materializzata silenziosamente alle sue spalle.

“Marion, devo andare da mamma, lei mi ha mandato il cavallo perchè le mie gambe sono troppo piccole per arrivare all’arcobaleno”, rispose la bambina cercando di spiegare le sue ragioni.

Marion aveva notato tanti piccoli cambiamenti in Emily nei giorni precedenti e, preoccupata, aveva cominciato a seguirla. Sapeva che quello era un momento delicato, tacque per un momento cercando con cura le parole da dire e poi: “E tuo padre? Non pensi al suo dolore se tu vai via? Già ha perso tua madre, se vai via anche tu cosa farà? Forse tua madre ti ha mandato semplicemente un amico con cui giocare”.

“Ma lei mi aspetta !” Ribattè Emily.

“Sì,”rispose Marion affettuosamente” ti aspetta, ma non intendeva che tu dovessi andare via subito. Ha detto che insieme alle fate avrebbe vegliato su di te e poi, quando sarebbe arrivato il tuo momento, lei sarebbe stata lì ad accoglierti. C’è tempo per questo. Perchè non porti a casa il tuo nuovo amico, abbiamo tanto posto. Ne avrai cura e giocherai con lui, vedrai che il sentiero del tuo arcobaleno può nascere anche a casa nostra se il tuo cuore lo vuole”.

Emily la guardò indecisa se crederle o meno, ma gli occhi di Marion erano buoni, sapeva che lei e sua madre erano state amiche da bambine ed era sempre stata una presenza affettuosa nella sua vita perciò scese da cavallo e mano nella mano, insieme, si avviarono verso casa, Marion, la bimba e il cavallo bianco.

In fondo aveva ragione Marion, nessuno sa dove nasce l’arcobaleno, può nascere ovunque, basta avere occhi e cuore per vederlo, e mamma, la sua dolce mamma, avrebbe vegliato su di lei sempre e l’avrebbe aspettata.



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