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La paura di Piccolo Uomo

Fiaba pubblicata da: Massimo Ferrario

Il sole se n’era andato di colpo, il vento aveva raccolto in un attimo sulla montagna nuvole nere gonfie di pioggia, e subito aveva cominciato a tuonare e lampeggiare. Poi, si era scatenato l’iradiddio. La luce livida delle saette squarciava il cielo in un susseguirsi di guizzi che sembravano non avere fine.

Piccolo Uomo, raggomitolato vicino alla parete della capanna, si teneva le orecchie tappate, la faccia e gli occhi nascosti nelle ginocchia: non ricordava di avere mai avuto tanta paura.

Grande Vecchio, abbandonato sulla poltrona, fumava la pipa e lo osservava con un sorriso di tenerezza.

Poi, come d’incanto, i lampi e i tuoni cessarono e si sentì solo la pioggia battente, violenta come fosse grandine, che si rovesciava sulle piante e sul tetto della capanna, con il vento che sibilava spazzando il pianoro e infilandosi nei viottoli dei boschi.

La luce della candela tremolava, a riprova dei numerosi spifferi che circondavano le due finestre della stanza. Finché una folata di vento fece piombare la camera al buio.

A Piccolo Uomo scappò un gridolino.

Grande Vecchio si alzò, riaccese con calma la candela e mentre riprendeva il suo posto fece cenno a Piccolo Uomo, se lo desiderava, di avvicinarsi. Lui evidentemente non aspettava altro: gattonando, si rannicchiò accanto alla poltrona e gli abbracciò le gambe, immobilizzandosi.

Rimasero ambedue così, senza parlare, per un quarto d’ora.

Poi, il frastuono della pioggia e il sibilo del vento cedettero e all’interno della stanza fu silenzio. Piccolo Uomo, lentamente, si staccò dalla poltrona di Grande Vecchio, togliendogli le braccia attorno alle gambe: aveva gli occhi bassi mentre si rialzava e cercava l’angolo opposto della stanza. Grande Vecchio se ne accorse, ma non fece domande, aspettando che fosse lui a parlare.

Infatti Piccolo Uomo si decise. E si confidò.

«Ti ammiro, Grande Vecchio. Un giorno sarò mai come te?».

«Come vorresti essere, Piccolo Uomo?».

«Non dirmi che non hai visto, Grande Vecchio.».

«Hai avuto paura. E’ questo che vuoi dire?».

Piccolo Uomo lasciò passare qualche secondo prima di sospirare.

«Sì.».

«Anch’io, Piccolo Uomo.».

«Tu hai avuto paura, Grande Vecchio?»

«Certo. Sembrava un inferno. La natura è vita, ma anche morte; bellezza, ma anche tragedia. E l’uomo è piccola cosa di fronte a essa, specie quando si scatena con tutte le sue forze.».

«Io però non mi sono accorto della tua paura.».

«Forse, a un certo punto, se n’era andata via.».

«L’hai scacciata: anch’io avrei voluto, ma non ci sono riuscito. Continuavo a dirmi che non dovevo aver paura, che era sciocco averla, e invece…».

«Capita a molti, Piccolo Uomo. E soprattutto agli adulti, contrariamente a ciò che pensano i bambini.».

Piccolo Uomo rimase zitto, rimuginando fra sé. Grande Vecchio immaginava che sarebbe arrivata la domanda.

«Ma tu, Grande Vecchio, come hai fatto a farla andar via, la tua paura?».

«Una volta non riuscivo, poi ho imparato.».

«E’ difficile?».

«Ora meno. Forse potrà cominciare ad accadere anche a te, la prossima volta».

«Basterà che dica alla mia paura di andarsene?».

«No, questo non basterà. Anzi».

«E allora cosa dovrò fare?».

«Accettarla: se non la rifiuterai, sarà più facile che lei stessa ti lasci».

***

Massimo Ferrario, Paura, 2001 – Anche in ‘Mixtura 2002’, a cura di M. Ferrario, Dia-Logos, Milano, dicembre 2001.



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