Eric il lupo

Fiaba pubblicata da: Monica F.

C’era una volta, un bellissimo lupo dagli occhi di una cangiante tonalità viola scuro, di nome Eric.

Dall’animo nobile, sognatore ed idealista, il giovane lupo amava comporre poesie con le quali dipingere il mondo intero, cuore romantico, impavido, e forte. Capace coi suoi versi di incantare il creato, riempiendolo di luce e di colore. Amante del gorgheggiare libero e festoso dei ruscelli all’aria aperta, del melodioso sferzare del vento con le sue spire, dello schiudersi lento dei veli dell’alba al nascere, del candore romantico della luna. Sempre col muso rivolto verso il cielo, elegante nel suo incedere. Ritenuto dagli altri lupi del branco, un po’ troppo stravagante per i suoi sogni, e per questo non apprezzato da molti, i quali non vedevano spesso nelle sue poesie un valido esempio, preferendo di gran lunga il destreggiarsi con la caccia e il trovarsi una compagna adeguata, quale dote e maggior pregio per lo splendore della loro razza, e la continuazione della specie, lasciandolo spesso solo, attratti da ben altro che i suoi versi ululati alla luna.

E un giorno, il lupo scorgendo di colpo il sole oscurarsi e l’aria intorno assumere l’odore acre della tempesta, abbassando di filato la coda, cercò subito rifugio nell’incavo di un albero, percependo il cuore battere a mille, e accogliendo sul proprio corpo lo scuotersi della natura, e il tremore possente della terra intorno, spostare radiche e pietre, senza tradire un solo lamento, si ritrovò alla fine della devastazione riverso al suolo, ricoperto di fango, con una zampa spezzata, ridotta ad un grumo di sangue, ma ancora vivo, e respirando forte, rantolò di gioia scoprendosi ancora in grado di rialzarsi, seppur menomato.

“Sono vivo e tornerò a muovermi, pian piano, tornerò a correre di nuovo!  Si, ci riuscirò! Pian piano! E’ così! Perché sono vivo!” ripetè da subito, convinto. E a quelle parole i lunghi rami nodosi, anch’essi scossi alle radici, ammirando la sua forza e la sua tenacia, ripresero vigore, aprendo verso l’alto le loro foglie lucenti.

“Si, ci riuscirò!” rincarava di rimando lui “Ci vuole solo Tempo! Il tempo necessario per rialzarmi! E ce la farò!” soffiava deciso “A suo Tempo!” era il suo unico e solo ritornello, la sua nenia, la sua sicurezza, fonte inesauribile di felicità, acqua pura per il suo cuore.

E cocciuto nulla riusciva a smuoverlo dalle sue convinzioni “A suo Tempo! Tutto ha il suo Tempo! E giungerà anche quello giusto per me!” “E se non dovesse succedere?” arrivavano a tratti, voci al suo orecchio “Se tu non dovessi più farcela a muoverti?”, “Riuscire ad attraversare la Selva?”  

“Questo non accadrà!” sorrideva di rimando lui, drizzando il muso, fiutando attorno, ancora più sicuro, allenandosi storpio, muovendosi fra le rovine, nel silenzio pesante della campagna, componendo i suoi versi con amore “Acquazzone/fra rami di neve/il fischio del vento”  cantando per tutta risposta la sua reazione.

Forte e coraggioso, per nulla datosi per vinto.

E una notte, di colpo, il cuore del lupo mancò di un battito nello scorgere poco lontano, la giovane Beatrice, lupa dal pelo fulvo e gli occhi color dell’ambra, da sempre sua insperabile compagna di giochi, ai tempi in cui erano entrambi solo due lupacchiotti da latte, divenuta anch’ella ormai adulta, intenta ad abbeverarsi placidamente alle sponde del fiume. E arrancando verso di lei, muovendosi con la sua zampa zoppa, le apparve di fianco, sorridendogli timidamente, abbassando gli occhi. “Beatrice! Come stai?…sei tutta intera!” scherzò lui nel vederla, tirandole dolcemente l’orecchio con le zanne in modo giocoso, come faceva sempre quando da cuccioli si incontravano, e lei squadrandolo ricambiò il suo sorriso “Come stai, tu?! Oh, Eric…avevo sentito dire della tua zampa…allora quello che si dice in giro… è vero!”

E il lupo comprendendo di colpo, senza parole, il muto linguaggio del cuore che li legava dalla nascita, annuì “Ma un giorno tornerò a muovermi per bene, a correre!” ringhiò “Te lo assicuro!”

E lei sorridendo a quel suo modo di fare, strusciando il proprio naso contro quello di lui, raspò con gli artigli il terreno, fiera.

“Io posso farcela, non temere per me!” le sorrise lui teneramente “Che ne diresti invece, di salire adesso sull’altura per guardare la luna nuova?” l’invitò ad ammirare insieme la notte, dal punto più alto della Selva.

“Vengo solo…se comporremo di nuovo almeno un haiku!” scodinzolò la lupacchiotta, leccando la zampa  ferita di lui, annusandola per intero “Ti ricordi quando ne facevamo insieme così tanti, sicuri che un giorno, ne avremmo riempito il mondo intero?” ricordò la bella lupa.

E scoprendosi innamorati, senza aver bisogno di scambiarsi null’altro che se stessi, i due si avviarono verso l’altura, uno accanto all’altra “Luna di neve/ dondola sull’altura/ la pallida notte”  scambiandosi versi  all’unisono.

E il giorno seguente Eric, prima ancora che la luce del nuovo mattino avesse compiuto il suo giro, insieme alla bella lupa, scendendo la roccia con sue zampe, in modo più veloce, in una prima timida, insicura corsa, rese partecipe l’intero creato, con l’ululato più potente che si fosse mai udito, dell’arrivo della sua dolce compagna, fra la gioia e  gli auguri di tutti. E da quel giorno Eric e Beatrice non si separarono mai più, e vissero per sempre felici e contenti.



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