Un angelo a Kabul

Fiaba pubblicata da: Rosa Maria

Era un pomeriggio come tanti, con i miei amici giocavamo a rincorrerci per le strade di Kabul. Mamma mi aveva avvisato di fare attenzione ma io come al solito non ero stato a sentirla. Ogni giorno mi ripeteva sempre le stesse cose; ero stufo di sentirmi dire “sta attento potrebbero attaccare il paese all’improvviso”. “Perché un bambino dovrebbe stare attento – mi dicevo – voglio vivere all’occidentale, giocare libero per strada e non stare attento a nulla. Tutti i bambini corrono, cadono, si sbucciano le ginocchia o altre sciocchezze simili, nessuno di loro sta mai attento o bada al male che potrebbe farsi”. Ero solo un bambino, incosciente, com’era giusto che fossi.

All’improvviso, mentre rincorrevo Mohamed, fui accecato da una luce abbagliante, chiusi gli occhi un istante, e appena li aprii mi trovai circondato da tantissimi bambini e altre tante persone. Mi sentii spaesato, avevo l’impressione di non conoscere nessuno e di non essere più a Kabul. Alcuni istanti dopo udii una voce che mi diceva:

«Samuel ciao come stai? Ti ricordi di me?»

«Certo che mi ricordo, sei Alì, andavamo a scuola insieme qualche anno fa. Ma dove siamo? E soprattutto come sono giunto fin qui?» Risposi.

«Seguimi». Mi disse.

Mi alzai da terra, non riuscendo a capire cosa ci facessi a terra e perché tutti mi guardavano come volessero dirmi qualcosa, e seguii Alì. Mi portò ai margini della strada, mi accorsi che dovevamo essere in cima a una montagna, perché riuscivo a vedere altri paesi all’orizzonte. Eravamo proprio in alto, mi sembrava quasi di essere in cielo. Alì mi diede una pacca sulla spalla e mi disse :

«Questa è la ruota della vita, vieni a farci un giro. Da qui puoi vedere il mondo. Guarda: c’è gente che vive ai margini».

«Quali margini?» Risposi.

«Quelli della società».

«E chi li ha costruiti?»

«La mente, per non farli vedere agli occhi».

«E gli occhi non li vedono?»

«Nella maggior parte dei casi, no, non li vedono».

«Non li vedo. Non vedo margini. Cosa c’è al di là di questi?»

«Non li vedi perché nella tua anima di bambino non esistono. Sono mattoni che vengono su pian piano, man mano che si cresce. A un certo punto diventano muri e non ti permettono più di vedere al di là, ma tu puoi comunque scegliere di guardarci, o almeno provarci. Cosa vedi, dimmi?»

«Vedo delle persone».

«Uomini o donne? E di che nazionalità e ceto sociale?»

«Non lo so, vedo solo delle persone. Da qua non riesco a distinguerle».

«Vedi bene. Sono solo delle persone. Sai perché non riesci a distinguerle?»

«No, perché?»

«Questa è la ruota della vita da qua su vedi il senso, tutto il resto è un misero dettaglio».

«Cosa intendi, spiegati meglio?»

«Secondo te perché gli uomini si fanno la guerra?»

«Bella domanda, me lo sono chiesto tante volte anch’io. Forse la risposta un bambino non può darsela. Non sono mai riuscito a capirne il motivo, mia madre dice che è perché sono troppo piccolo ma crescendo ho iniziato a credere che un motivo valido non c’è. Forse per questo non riesco a trovarlo».

«Ha visto che ti sei risposto da solo? Un motivo valido non esiste, esistono motivazioni più o meno importanti, ma nessuna è un buon motivo per farsi la guerra. In gran parte gli uomini sono spinti da interessi economici. Sai cosa sono le colonie?»

«No, non lo so. Ma inizio a pensare che non siano nulla di buono».

«Pensi bene. Le colonie sono città occupate da una popolazione diversa da quella nativa. Il popolo che le occupa ne entra in possesso e ne stabilisce le leggi, generalmente a proprio favore e a svantaggio della popolazione che le abita. In genere si tratta di territori in origine economicamente meno sviluppati di quelli dello stato dominante. Tutto qua. Da secoli e secoli, gli uomini “colti” , delle varie nazioni, fanno a gara per arricchirsi a discapito di chi quei paesi li vive. Come se il mondo appartenesse a qualcuno. Il mondo è di tutti, o almeno cosi dovrebbe essere. Ma io sono solo un ragazzino come te, non ho una laurea in economia, forse per questo riesco a cogliere il valore vero delle cose, perché prima di attribuirgli un valore economico gliene attribuisco uno morale, etico, civile. A sentir loro sarò solo un bambino, ma dove sta la grandezza delle loro azioni? Anch’io come te con il tempo ho iniziato a pensare che non esista un motivo valido, e che l’unica causa è l’avarizia degli uomini mascherata dietro incomprensibili paroloni, che negli anni hanno ingannato tutti gli abitanti politiche e trattative di stato – affari esteri – etc. etc. Insomma cosa ci raccontano? O meglio perché non ci spiegano e non ci lasciano vivere delle nostre risorse anziché rubarsele e schiavizzarci? È per questo che non ci mandano a scuola, sin da piccoli ci chiamano al fronte. Bambini soldato, bambini che non sanno nulla, né cosa combattono né perché si battono, ma credono di saperlo. Sono convinti che libereranno il paese, credono che combattere sia un bene e sia giusto. Io invece so che bisogna gettare le armi e impugnare la parola, solo discutendo un problema si potrà arrivare a una soluzione, continuare ad ammazzarsi non serve a nulla. Ma farglielo capire agli altri. Non ci fanno neanche frequentare le scuole perché hanno paura, i libri liberano il pensiero e il pensare rende liberi».

«Mi sa che hai proprio ragione. Ma adesso vuoi spiegarmi dove siamo e come ci siamo finiti?»

«Salta e tuffati a terra come se il terreno sotto di noi fosse un materasso».

«Saltare? E per quale motivo?»

«Fallo e basta».

Saltai tuffandomi sul terreno, allora mi accorsi che era soffice.

«Non mi sono fatto nulla, è morbidissimo qui, perché?»

«Siamo su di una nuvola. Guarda giù, cosa vedi?»

«Il mondo, dall’alto, come se fossimo sulla cima di una montagna. Non mi sbagliavo, siamo in capo al mondo?»

«Già, siamo in capo al mondo, perché siamo diventati degli angeli. Oggi Kabul è stata attaccata dai guerriglieri, ecco perché sei finito qui».

I miei occhi si colmarono di lacrime. Pensai a mia madre e a ciò che mi aveva detto: «Stai attento, mi raccomando». Ora che sono diventato un angelo voglio che le parole di mia madre, che sono quelle di ogni mamma, arrivino ai soldati e a chi fa la guerra:

«Mi raccomando state attenti, mentre noi giochiamo, o dovremmo, voi giocate con la vita di noi bambini».



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