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Isabella e il mostro

isabella mostro

Tanto tempo fa viveva in un piccolo paese di montagna una ragazza di una bellezza fuori dal comune. Si chiamava Isabella. Non era soltanto bella, ma era anche una bravissima persona. Sempre pronta ad aiutare il prossimo, andava regolarmente dagli anziani del paese che vivevano da soli per fare loro un po’ di compagnia e chiedere se avessero bisogno di qualcosa. Naturalmente non voleva niente in cambio. A volte curava i bambini più piccoli quando un genitore aveva un impegno, o organizzava letture di fiabe in biblioteca per tenerli impegnati.
La sua era una famiglia semplice e modesta, ma erano grandi lavoratori. I suoi genitori erano artigiani: facevano perlopiù ceste e altri oggetti di vimini. Isabella li aiutava spesso a raccogliere i rami caduti dagli alberi nel vicino bosco. Le piaceva trascorrere il tempo tra gli alberi e gli animali che vivevano in quell’ambiente naturale che riteneva meraviglioso. Aveva l’abitudine di parlare con gli animali del bosco e le sembrava che loro la capissero meglio di chiunque altro.
«Cerbiatto, come sei carino», gli diceva teneramente mentre lo accarezzava. Si era affezionata a una famigliola di cervi che la guardavano sempre con gli occhi dolci e le rispondevano con espressioni allegre. Lei canticchiava raccogliendo rami e pensava quanto fosse affascinante e maestosa la natura che la circondava.
Isabella era molto conosciuta nel suo paese, ma era anche invidiata dalle altre ragazze per via della sua straordinaria bellezza. Una volta, mentre faceva il solito giro nel bosco a raccogliere i rami secchi, la notò un fanciullo che passava di lì sul suo cavallo. Rimase ammagliato da quel viso angelico incorniciato da lunghi capelli neri pieni di boccioli naturali che le cadevano sulle spalle diritte. All’inizio lei non si era accorta del cavaliere, che si avvicinò e la salutò.
«Buongiorno. Se mi permette, mi presento. Sono Massimiliano, il figlio del conte Foschi XV», le disse con atteggiamento un po’ altezzoso.
Lei, sorpresa da questo insolito incontro, si presentò a sua volta.
«Che cosa ci fa una bella ragazza come lei tutta sola in questo bosco?» le chiese.
Isabella gli disse il vero motivo della sua presenza e gli chiese di darle del tu, ma poi notò che aveva un fucile appeso sulla spalla. Allora si spaventò un po’. Lui se ne accorse e le disse sorridendo:
«Ah, hai visto il mio fucile. Non ti preoccupare, non sono pericoloso, ma soltanto un appassionato cacciatore».
Isabella gli lanciò un’occhiataccia, ma non volle dirgli subito che per lei i cacciatori erano una specie di briganti. Voleva allontanarsi, ma lui insistette per conoscerla meglio, evidentemente colpito dalla bellezza della ragazza.
«Se vengo anche domani ti troverò sempre qui a raccogliere i tuoi rami?» le sorrise, mostrando i suoi denti perfetti.
«Non so veramente dove sarò domani», gli mentì decisa. Non voleva avere a che fare con uno che uccideva per divertimento gli animali, anche se la prima impressione che aveva avuto era che si trattasse di un giovane simpatico dai modi garbati.
Da quel momento Massimiliano non fece altro che pensare a quella bellissima creatura. Non aveva mai visto una ragazza così in vita sua e non riusciva a distogliere i suoi pensieri da quel visino. Pensò a quanto avessero sempre insistito i suoi genitori sul fatto che doveva trovare una ragazza degna del suo rango, ma a lui non piaceva nessuna di quelle ragazze aristocratiche che venivano a casa sua in occasione di ricevimenti e balli.
Non vedeva l’ora di incontrare di nuovo Isabella e così cominciò a recarsi in quel bosco ogni giorno. A volte la incontrava e a volte no. Lei non volle mai dargli un appuntamento, non gli disse dove abitava.
«Ti sembra possibile che io possa frequentare uno che vi uccide?», domandò Isabella alla mamma cerva, che sembrava aver messo il broncio sentendo quelle parole.
«Mi capisce», pensò Isabella, intravedendo un lampo di paura negli occhi della cerva.
Ma Massimiliano era insistente: cercava in ogni modo di conquistare il suo cuore. Provò a raccontarle barzellette sperando che magari l’avrebbe considerato divertente. Si rendeva conto che lei non era una ragazza aristocratica e i suoi genitori non avrebbero gradito avere come nuora la figlia di modesti artigiani, ma lui se ne era innamorato perdutamente, anche se quell’amore non era contraccambiato.
«Troverò il modo di farle cambiare idea, si innamorerà di me», promise a se stesso.
La cercò ogni giorno in quel bosco. Chiese in giro in paese e non gli fu difficile trovare la sua abitazione. Così si presentò persino ai suoi genitori, ai quali il ragazzo piacque subito.
«Isabella, è proprio un bel ragazzo ed è pure aristocratico. Hai visto come ti guarda con ammirazione? Con lui di sicuro potresti avere una vita agiata e piacevole. Pensaci bene prima di rifiutarlo», i genitori cercavano di convincerla, e pure suo fratello la spingeva a sfruttare quell’opportunità.
«Ma non lo so, non lo conosco proprio bene. Poi è un cacciatore», rispose pensierosa, ma doveva ammettere che Massimiliano aveva un aspetto piacevole e la trattava sempre con rispetto. Così, influenzata dai genitori e dal fratello, accettò di frequentarlo per conoscerlo meglio.
Quando andava nel bosco a raccogliere i rami secchi, di solito si fermava davanti alla famiglia dei cervi che le facevano tanta tenerezza.
«Cara mia cerva, non so se faccio bene a frequentare Massimiliano: non sono sicura dei miei sentimenti. Non so se quello che provo per lui è vero amore o no».
La cerva la guardava in modo confuso e poi si girò verso il suo cervo. Dal suo sguardo si capiva quanto gli volesse bene. Con quel cerbiatto neonato sembravano proprio una famiglia felice.
«Forse con il tempo capirò se Massimiliano è quello giusto per me», si disse.
Adesso Massimiliano frequentava regolarmente la casa dei genitori di Isabella, che erano molto felici sperando che un giorno avrebbe chiesto la mano della loro figlia.
Isabella continuò ad andare nel bosco, ma un giorno notò la cerva con uno sguardo molto triste. Era in compagnia del suo cerbiatto e sembrava che piangesse.
«Che cosa le è successo?», si chiese, perché non aveva mai visto la cerva senza la sua consueta espressione beata e serena.
Ma la cerva non parlava e Isabella non poteva capire il motivo. Anche nei giorni seguenti, quando incontrava la cerva, notava la tristezza nei suoi occhi. Allora si rese conto che il cervo non era più con loro: non l’aveva visto da un po’.
«Sarà successo qualcosa al cervo», si disse Isabella, pensando a quel bellissimo e unico esemplare che aveva il corno destro un po’ più lungo di quello sinistro.
I giorni passavano, Isabella e Massimiliano si frequentavano sempre di più. Arrivò il giorno in cui lui la invitò al castello per presentarla ai genitori.
«Questo è il primo passo che si fa prima di chiedere a qualcuno di sposarti», la incoraggiarono di nuovo i genitori. Ma lei era ancora molto, molto confusa. Anche Massimiliano era preoccupato, perché i suoi genitori non sembravano per niente approvare la sua infatuazione per quella bellissima ragazza, la figlia di un cestaio.
«Mamma, papà, vedrete che vi innamorerete di lei come ho fatto io dal primo momento in cui l’ho vista», disse ai genitori cercando di rassicurarli. In risposta però sentì solo un sospiro della madre e un grugnito del padre.
Così quel giorno arrivò e Isabella giunse alla reggia di Massimiliano. Fu subito colpita dalla ricchezza dell’abitazione e dalla bellezza del giardino. Non aveva mai visto qualcosa del genere e neanche si immaginava potesse esistere. Conobbe i genitori di Massimiliano, i quali la guardavano in modo altezzoso e un po’ curioso. Isabella si sentiva in imbarazzo. Cercò così di parlare e comportarsi in modo che potesse venire apprezzata. Poi Massimiliano volle mostrarle tutta la casa e lei era curiosa di vedere tutto il resto. Ma quando entrò in una stanza enorme iniziò a girarle la testa e quasi svenne.
«Che cosa ti succede, Isabella?», le chiese Massimiliano preoccupato, vedendo la sua espressione smarrita.
«Devo andare via», gli disse con un filo di voce, e scappò dicendo: «Non cercarmi mai più».
Lui, sbigottito, restò a bocca aperta non comprendendo la causa di quell’improvviso turbamento. Isabella era talmente sconvolta che andò via senza salutare i suoi genitori.
«E tu vorresti sposare una ragazza del genere?», gli chiesero subito, evidentemente offesi.
«Non capisco cosa le abbia preso», rispose lui sincero.
Quando tornò a casa, Isabella si chiuse in camera sua e si mise a piangere e piangere. Solo dopo alcuni giorni spiegò ai suoi genitori il motivo del suo comportamento: su una parete in casa di Massimiliano c’era la testa imbalsamata di un cervo con il corno destro più lungo di quello sinistro.
«L’ha ucciso lui», disse con un filo di voce.
I suoi genitori sapevano di quella famigliola di cervi della quale Isabella raccontava spesso le vicende. Allora la capirono e si convinsero che, in fondo, Massimiliano non era il ragazzo adatto: chi stravedeva per gli animali non poteva stare accanto a un cacciatore. La consolarono per giorni e giorni, aiutandola a vincere la tristezza che l’accompagnava. Massimiliano si presentò di nuovo a casa loro e i genitori di Isabella gli spiegarono tutto. Il giovane non riusciva a comprendere le motivazioni e sembrava intenzionato a non arrendersi.
«Conquisterò il suo cuore in qualche maniera», promise di nuovo a se stesso.
Isabella non vedeva l’ora di rifugiarsi di nuovo nel bosco, ma ogni volta che incontrava la cerva le si stringeva il cuore nel petto.
Un giorno, camminando nel bosco in cerca di rami secchi, notò qualcosa di strano. Vide un platano secolare con un tronco enorme ricoperto di muschio. Intarsiata nella corteccia, sembrava ci fosse una maniglia che spuntava attraverso il muschio. Si avvicinò e, guardando bene, capì che sul tronco del platano c’era una porta. Incuriosita, tirò la maniglia e la porta si aprì.
«Oooh», esclamò Isabella quando vide l’interno del tronco. Era una vera e propria casa con mobili fatti su misura: una cucina, un divano, un tavolo con le sedie.
«Ma chi può abitare qui?», si chiese stupita. «Probabilmente un falegname che si è costruito i mobili da solo. Non si possono trovare mobili adatti a un tronco d’albero.»
Ed erano pure mobili belli e fatti bene. La casa era vuota; in mezzo al salone c’era una scala a chiocciola e lei salì: voleva esplorare il suo interno. Con stupore constatò che c’erano due piani di sopra con le camere arredate in modo elegante e con le finestre che si affacciavano sul bosco. C’era pure uno scaffale pieno di libri ingialliti con le copertine di cuoio. Prese un libro a caso e lo sfogliò in fretta, cercando un indizio che la potesse aiutare a capire chi fosse il proprietario della casa.
Era vicina alla finestra quando vide un uomo con una vanga avvicinarsi alla casa. Quando notò la sua faccia, Isabella si spaventò tanto perché vide che aveva un occhio solo in mezzo alla fronte. Aveva proprio l’aspetto di un mostro. Non sapendo cosa fare, si nascose in fretta nell’armadio. Solo dopo si rese conto di avere ancora il libro in mano e lo nascose sotto il maglione.
«Che cosa mi è venuto in mente di entrare in questa casa», si rimproverò, accovacciata nell’armadio. Sperava che il mostro sarebbe uscito presto per poter provare a scappare. Ma lui era giù e sembrava si fosse messo a cucinare. A Isabella, dopo poco, iniziò a mancare l’aria e fu costretta ad aprire un po’ l’anta dell’armadio per poter respirare. Poteva sentire i versi del mostro mentre mangiava ed era sempre più spaventata. Poi lo sentì salire le scale. Il cuore le batteva all’impazzata. Chiuse di nuovo l’anta e cercò persino di trattenere il respiro. Ma il mostro andò diritto verso l’armadio e lo aprì.
Vedendola rannicchiata dentro, il mostro fece un urlo: si era spaventato pure lui.
«Ma tu chi sei? Che cosa ci fai nel mio armadio?» chiese con un tono minaccioso.
Lei si alzò di corsa e scappò via senza dire niente, pensando a quanto spaventoso fosse il suo aspetto. In più era vestito di stracci e pure puzzava.
Nei giorni seguenti Isabella non riuscì a pensare ad altro. «Com’è possibile che viva in quell’albero? Come ha fatto il mostro a costruire quei mobili?», si domandava. Poi, ripensandoci bene, dedusse che, se avesse voluto farle del male, avrebbe potuto benissimo farlo. Poteva prenderla per il collo e strozzarla, ma non l’aveva fatto. Si accorse anche che aveva con sé ancora quel libro che aveva preso dalla mensola e lo mise in fretta in fondo a un cassetto.
Essendo una persona che aiutava sempre il prossimo, Isabella pensò che avrebbe potuto portare al mostro un po’ di vestiti che suo fratello non usava più. Magari, vestito in modo normale, non sarebbe stato orrendo come sembrava.
Ogni tanto, a casa sua, si presentava di nuovo Massimiliano a chiederle di tornare con lui, ma lei lo rifiutava categoricamente, cercando di non pensare al destino di quel povero cervo.
«Non è finita qui», le rispose una volta Massimiliano: non si dava per sconfitto.
Isabella fece quello che aveva in mente. Preparò una borsa con i vestiti vecchi del fratello e si diresse verso il bosco. Naturalmente non aveva detto a nessuno del mostro: le avrebbero sicuramente proibito di andarci.
Era ancora un po’ intimorita, ma decisa bussò al tronco del platano. Questa volta il mostro era in casa e le aprì la porta.
«Di nuovo tu?», disse stupito vedendola. «Non è saggio da parte tua venire da me», aggiunse.
«Vorrei presentarmi. Sono Isabella e le ho portato un po’ di vestiti che le potrebbero magari servire per cambiarsi. Erano di mio fratello, non li usa più», disse, cercando di non guardarlo in faccia mentre parlava. Era proprio brutto, uno scherzo della natura: doveva ammetterlo. Il mostro sembrò emozionato dal suo gesto; Isabella lo percepì facilmente.
«Grazie, Isabella. Se vuoi, dammi del tu», le disse con gratitudine.
«Va bene. Come ti chiami?», gli chiese contenta.
«Mmm… chiamami “mostro”. È quello che sono, lo vedi anche tu. Ma adesso è meglio se vai via.»
«Nasconde qualcosa», pensò Isabella, ma non volle insistere con domande sulla sua identità.
«Adesso devo andare a prendere le radici», disse il mostro e prese la vanga.
«Le radici? A che cosa ti servono?» chiese Isabella con curiosità.
«Le mangio. Non voglio mica uccidere gli animali e nel bosco non trovo nient’altro.»
Allora a Isabella venne di nuovo in mente Massimiliano e il cervo, e pensò che questo mostro fosse tutt’altra persona. Si salutarono e così Isabella andò a cercare i suoi rami secchi e il mostro le sue radici.
Nei giorni seguenti Isabella pensava solo al mostro. Voleva scoprire come avesse fatto a finire dentro un albero: ci doveva pur essere una spiegazione. Decise di portargli un po’ di cibo. Le faceva pena solo pensare che si nutrisse sempre di radici. Così preparò una cesta con tante cose buone e la portò al mostro. Questa volta il mostro la fece entrare in casa. La guardava con tenerezza e a lei sembrò un po’ meno brutto della prima volta che l’aveva visto. Chiacchierarono e Isabella si accorse pure che era piacevole stare con lui. Ne approfittò per fargli qualche domanda più precisa sulla sua condizione, ma lui le disse di non chiederle mai più perché si trovava lì: non poteva dirle niente.
Isabella ogni tanto incontrava nel bosco la cerva e il cerbiatto, che stava crescendo, e le si spezzava il cuore. Continuava a frequentare il mostro che, vestito in modo ordinato, sembrava un po’ diverso da prima. Isabella gli aveva portato anche un pettine e le forbici: gli aveva tagliato i lunghi capelli che toccavano le spalle e così aveva un aspetto sempre più piacevole. Peccato per quell’unico occhio, che le faceva sempre una certa impressione.
Un giorno il papà di Isabella trovò quel libro che lei aveva nascosto nel cassetto.
«Da dove arriva questo libro? Che strano, c’è il timbro della famiglia reale che regnava qui secoli fa», disse stupito suo papà. Isabella non rispose, ma capì che la storia del mostro aveva qualcosa di molto misterioso.
Nei giorni seguenti tutto il paese sembrava spaventato. Si vociferava che nel bosco circostante qualcuno avesse visto un vero mostro. Nessuno aveva più il coraggio di recarsi da quelle parti.
«Bisogna ucciderlo», disse qualcuno alla folla radunatasi.
«Preparate i vostri fucili», disse Massimiliano agli altri. «Lo troveremo e lo abbatteremo, non preoccupatevi. Ci troviamo qui domani mattina e andiamo tutti a cercarlo.»
Quando la notizia arrivò alle orecchie di Isabella, disperata non sapeva cosa fare. Non poteva convincere le persone che quel mostro non era pericoloso e che si era innamorata di lui. Se ne era resa conto solo in quel momento. Così corse verso il bosco per avvisarlo di trovare un altro nascondiglio o di non uscire da quella casa nel tronco dell’albero. Lei avrebbe nascosto bene la maniglia con il muschio in modo che non fosse visibile. Corse a più non posso e lo raggiunse.
«Senti, qualcuno ti ha visto nel bosco e ti vogliono uccidere. Credono che tu sia veramente un mostro pericoloso», gli disse preoccupata.
«Sono un mostro, lo sai anche tu, ma non sono pericoloso. La gente ha paura del diverso. Lo so: mi uccideranno. È stato bello conoscerti, Isabella», le disse accarezzandole i capelli.
«Ma io ti amo», Isabella gli rispose piangendo.
Nello stesso momento in cui Isabella pronunciò quelle parole successe qualcosa di straordinario: i rami del platano iniziarono a muoversi lentamente e l’albero si trasformò in un castello che si riempì di gente. Davanti a Isabella stava un bellissimo principe.
«Mia amata Isabella, hai sciolto l’incantesimo che incombeva su di me», le disse, e la baciò.
Lei lo guardava esterrefatta.
«Ma sei proprio tu?», gli chiese incredula, e gli toccò il viso come per avere la conferma che fosse veramente lui.
«Sì, sono sempre io, un po’ più bello di prima», trovò la forza di scherzare. «Adesso mi posso presentare: mi chiamo Sebastian.»
Anche lui era molto emozionato: non sperava più fosse possibile sciogliere l’incantesimo che aveva lanciato su di lui una donna malvagia tanti anni prima.
«Ma di che incantesimo parli?», chiese Isabella confusa. Si era resa conto che il giovane aveva la stessa voce del mostro e gli stessi occhi… che adesso erano due. Comunque faceva fatica ad accettare così su due piedi quel cambiamento: si era innamorata pur sempre del mostro che era.
Lui le raccontò tutta la storia. Non sapeva quanto tempo fosse passato da allora: aveva perso la nozione del tempo. Una ragazza di nobili origini sembrava invaghita di lui. Si erano frequentati per un po’, ma poi lui si era accorto che lei voleva soltanto diventare una principessa. Non le importava molto di lui: puntava sul suo titolo nobiliare, e lui l’aveva capito. Non poteva continuare a frequentarla perché desiderava incontrare un amore vero. Quando le disse che tra loro la storia era finita, lei andò a lamentarsi con la madre, che aveva poteri magici.
«Ma tu credi davvero che qualcuno si innamorerebbe di te se non avessi questo castello e il titolo nobiliare?», gli aveva chiesto.
Sebastian continuò: «Io risposi di sì. Allora lei, tutta infuriata, mi disse che mi avrebbe trasformato in un mostro e che sarei rimasto così finché una donna non si fosse veramente innamorata di me. E poi sei arrivata tu», le disse con tenerezza.
Isabella riconobbe in lui la dolcezza di cui era rimasta affascinata. Le persone nel castello sembrava non si fossero accorte di niente: continuarono a lavorare normalmente. Sebastian le disse che non vedeva l’ora di riabbracciare di nuovo i suoi genitori.
Il resto della storia potete immaginarlo da soli. Dopo un po’ di tempo Isabella e Sebastian si sposarono e così lei diventò principessa. Massimiliano smise di importunarla e si fidanzò con un’altra ragazza.
Nel bosco Isabella ogni tanto incontrava il cerbiatto di una volta, che si era trasformato in un bellissimo cervo. Anche lui, come il suo sfortunato papà, aveva il corno destro più lungo di quello sinistro. La mamma cerva ormai era anziana e aveva mantenuto per sempre uno sguardo pieno di dolore e nostalgia.
Isabella e Sebastian ebbero una lunga e felice vita insieme.

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