Amorina

Fiaba pubblicata da: emilio grimaldi

C’era una volta una bambina bella e brava che viveva in una villa con un grande labirinto. Tutti la chiamavano Amorina perché era come un piccolo amore tutto affaccendato verso le persone e le cose che le stavano vicino. Aveva cinque anni e si stava preparando per andare a scuola. Quell’estate la mamma e il papà furono costretti per lavoro a lasciare la casa per un certo periodo di tempo e allora chiamarono una signora perché l’aiutasse ad affrontare i primi giorni di scuola.

La Tata al momento di presentarsi per essere assunta portò lunghe lettere delle famiglie dove era stata. E tutte dicevano che era molto amorevole con i bambini e le bambine. Le lettere avevano tutte la stessa calligrafia. E i genitori di Amorina le chiesero il perché. “Ma perché le ho perse e le ho ricopiate di mia mano avendo una memoria di ferro!” si giustificava.

Anche Amorina aveva una memoria di ferro. Il labirinto che aveva costruito il padre lei lo conosceva ormai a memoria. Tanto che lo insegnò anche al suo pappagallo. Un bellissimo uccellino dal piumaggio bianco e rosso. Aveva la testolina rossa. E tutto il corpo bianco. La seguiva sempre. E Amorina gli indicava i nomi di tutti i fiori del labirinto. Una volta gli confessò pure il suo segreto. Era il profumo delle rose, delle orchidee e delle ginestre che le suggerivano la strada di uscita.

Amorina, che amava dare un nome suo alle persone che incontrava, ribattezzò la Tata: “Gomitolo” per via del fatto che era rotonda come un gomitolo di lana. In realtà, Gomitolo non era così buona come dicevano le lettere che aveva con sé. La sua intenzione era quella di dare alla bambina delle pozioni di veleno che lei produceva per diminuire la memoria e per capire come farla aumentare all’occorrenza. I genitori le avevano detto che era ghiotta di gelati alla fragola. E ogni giorno alla stessa ora le dava un gelato alla fragola con dentro una piccola pozione di veleno che sarebbe durato fino al giorno successivo. Amorina così brava e così premurosa nel ricordarsi le cose belle che faceva per i suoi fiori, il suo pappagallo e gli altri animaletti della casa, iniziò così a perdere punti.

Il pappagallo, che Amorina chiamava “Biancospino” per via del becco raccolto in una testolina rossa, si era accorto che Gomitolo quando veniva il pomeriggio per dare il gelatino alla sua padroncina faceva una smorfia di compiacimento come se l’avesse fatto lei. Ma non lo faceva lei, lo facevano le cuoche della villa. E diceva: “Gomitolo, Gomitolo, cosa hai in testa? Cosa hai in testa? Un laccio?”

Dopo alcuni giorni, a Gomitolo cominciò ad infastidire il comportamento del pappagallo e diede anche a lui un cucchiaino di gelato. Non era molto e neanche poco per il piccolo Biancospino. Intanto nella grande villa il dispiacere per la memoria di Amorina che diminuiva giorno dopo giorno cresceva. E la mamma preoccupata lasciò il lavoro e tornò da lei. Tuttavia, Gomitolo seguitava a somministrarle la pozione.

Anche il papà aveva abbandonato il lavoro. E per festeggiare il rientro dei genitori diedero una bella festa. Ordinarono agli inservienti di preparare una dolcissima torta alla fragola, in onore di Amorina.

Biancospino che si era risvegliato dal torpore della memoria prima delle fatidiche 24 ore, volò verso la stanza di Gomitolo e con il beccuccio a forma di uncino agganciò l’ampollina di Gomitolo e la versò tutta quanta nella grande torta appena sistemata sul tavolo dei festeggiamenti.

La mamma di Amorina invitò tutti alla cerimonia e disse alla Tata di aprire lei il buffet. Era così emozionata Gomitolo che non credeva che da tanto male si potesse ricevere tanto bene. E rigurgitò in un solo boccone proprio la porzione di torta impregnata del suo stesso intruglio.

Gomitolo iniziò a dare i numeri. Si rivolse alla signora dicendo cose senza senso. Del tipo: “Io sono una grande mamma, ma non ho figli. Sono piena di memoria, ma non ricordo nemmeno come mi chiamo.” Il pappagallo ripeteva tutto ciò che sentiva alla perfezione. Alla fine aggiunse: “Ecco l’ampollina di Gomitolo.” La raccolse e la porse ai genitori di Amorina.

Allora capirono l’incantesimo in cui era caduta la loro piccola Amorina. E rinchiusero la Tata Gomitolo nel labirinto andando avanti e indietro come una pazza.

Amorina si riprese completamente dai vuoti di memoria e quando seppe che la Tata era stata condannata a vivere nel labirinto si dispiacque. Per non farla morire di fame di nascosto le portava da mangiare. Quando le andava incontro, la signora le chiedeva sempre: “Chi sei?” E lei non si stancava mai di ricordarle che era Amorina, la sua piccola bambina che doveva accudire prima che iniziasse la scuola.

Dopo circa 3 anni la pozione che cancellava la memoria terminò il suo effetto. E la Tata trovò così l’uscita dal labirinto che la bambina le aveva insegnato.

In tutto questo tempo non si era mai cambiata, mai curata. Quando uscì furono gli altri a non ricordarsi più di lei. Più che un Gomitolo ora somigliava ad un Cespuglio a causa dei capelli arruffati e gonfi e delle unghie nere e lunghe come coltelli.

E così lasciò la villa e si diresse verso la foresta dove vagabondò da sola con i suoi rimorsi.

(Una favola per Elisa)



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