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Voglio guardare in faccia la luna

Fiaba pubblicata da: piera.arcostanzo

La sua stanza era piena di giochi.

Ce n’erano per tutti i gusti e di tutte le fogge: bambole e bambolotti, lavagne e gessetti colorati, chiodini di plastica, pentole e fornelli, …ma ciò che più la divertiva era andare sull’altalena.

Questa passione era nata in Federica fin dai primi mesi di vita, quando la nonna, portandola al Villaggio della Gioia a vedere le caprette e gli agnellini che pascolavano, si soffermava con lei nel parco per godersi l’aria salubre dei pini.

La piccola le si aggrappava stretta strettae insiemesi abbandonavanoal rilassante dondolio dell’altalena. Quando poi giungeva il momento di andarsene,Fefè – così veniva soprannominata familiarmente Federica – cominciava a frignare, per poi sbottare in un sonoro pianto, allorché la nonna la sedeva nel passeggino per riportarla a casa.

“Piccola mia, torneremo presto, te lo prometto! Vedrai, faremo di nuovo tanti giri meravigliosi!” le sussurrava con dolcezza la nonna, coprendola di baci. Fefè, certa che la promessa sarebbe stata mantenuta, si asciugava le lacrime con la manina e si rasserenava .

Il parco del Villaggio era il posto meraviglioso in cui nonna e nipotina, cullate dal dolce rollio dell’altalena, si abbandonavano ai sogni più fantastici. Il cigolio delle catene scandiva il ritmo delle oscillazioni che ,man mano che la bambina cresceva, diventavano sempre più ampie e veloci. Aggrappata a lei ,con gli occhi socchiusi, Fefè ascoltava le melodiose canzoni e le filastrocche che nonna Piera le sussurrava amabilmente nelle orecchie.Col passare del tempo il balbettio iniziale della bimba aveva ceduto il posto ad un linguaggio comprensibile e comunicativo; il monologo della nonna si era trasformato in un dialogo aperto e vivace con la nipotina. Tra loro era nato un legame forte, una solida complicità che rendeva speciali i momenti in cui stavano insieme.

“Nonna, spingi più forte…voglio volare più in alto!

“E vai, piccola mia! Andremo fino in cielo!” gridava la nonna distendendo e ritraendo le gambe per dare maggiore vigore alla spinta.

“Nonnina, che bello,! Voglio raggiungere il sole!” strillava entusiasta la bimba.

“Tesoro mio, è troppo distante. Catturerò per te il profumo del vento! ” rispondeva la nonna allungando una mano verso l’alto. Poi porgeva il pugno socchiuso sotto il nasino di Federica e la invitava a inspirare.

“E’ delizioso nonnina! Dammene ancora un po’!” e socchiudeva gli occhi per assaporare meglio la magia del momento.

“Nonna, andiamo su quella nuvola bianca?

“Piccola mia, la nuvola è fredda, potremmo buscarci un bel raffreddore! E’ meglio che stiamo qui.

“Allora spingimi più in alto… voglio toccare la punta di quell’albero” e indicava il gigantesco pino che rifletteva la sua fresca ombra sull’erba del parco.

Nonna Piera, rossa in viso e ansimante, spingeva con tutta la sua forza. Sapeva che non avrebbe potuto soddisfare la richiesta della bambina, ma si sforzava ugualmente per dimostrare alla piccola che ci stava mettendo tutto il suo impegno per farla felice.Man mano che la velocità cresceva ,le catene dell’altalena cominciavano a vibrare con maggiore intensità, diffondendo intorno un crescente cigolio. Federica gridava felice, mentre i suoi capelli, scompigliandosi, si disponevano a raggiera attorno al suo viso, conferendole l’aspetto di un girasole che insegue la carezza del suo astro.

“Accipicchia! Sono una nonna senza giudizio!”meditava tra sé Piera. E un pensiero pungente si insinuava nella sua mente.

“Se qualcuno ci vedesse andare così forte e lo riferisse ai suoi genitori… sicuramente la bambina finirebbe dritto filato al nido!

In preda ai sensi di colpa, cominciava a mollare le spinte e a strisciare i piedi sul terreno per rallentare la corsa.L’idea che le venisse sottratta la piccola, a causa della sua imprudenza, le dava una strana sensazione di smarrimento.Avrebbe potuto rinunciare a tutto, fuorché alla compagnia della sua adorata nipotina.

Le stagioni intanto, come il corso della vita, seguivano inesorabilmente il loro ritmo. L’estate calda e spensierata aveva ceduto il posto ai capricci dell’autunno piovoso; l’inverno gelido, poi, aveva trascinato con sé le sue notti buie e infinite. Federica, costretta in casa per lunghe ore, rimpiangeva le allegre corse sull’asse oscillante.Se passava in macchina davanti al parco del Villaggio della Gioia, alzava furtivamente la manina e mandava un tacito e nostalgico saluto nella direzione dell’alto pino, accanto al quale l’altalena stazionava, immobile e abbandonata, come un vecchio monumento caduto nell’oblio. La piccola trascorreva le sue giornate in casa sfogliando libri illustrati, disegnando, colorando, ascoltando musica e canzonette. A volte, nel primo pomeriggio, se il tempo lo consentiva, scendeva in cortile a giocare a pallone con Anes e Ahmed, due ragazzini di origine bosniaca, suoi carissimi amici. Ogni tanto però si sentiva annoiata e stanca e niente più sembrava divertirla.

“Mamma, non so cosa fare. Mi stufo! Voglio andare sull’altalena!

“Siamo in inverno, piccola mia; fuori c’è la neve e fa molto freddo!

“Ma quando finisce l’inverno?

“Siamo appena a dicembre, tesoro ! Ci vorranno ancora alcuni mesi. Vieni a sederti accanto a me, sul divano: ti leggerò la storia di Cappuccetto Rosso.

“E va bene, mamma!” rispondeva accucciandosi sulle ginocchia di mamma Mary, come un gattino che cerca le coccole.

A Federica non era consentito guardare la televisione, come fanno normalmente molti bambini quando non sanno cosa fare. I suoi genitori, infatti, erano convinti che la tv potesse inibire nella figlia lo sviluppo della fantasia e veicolasse in lei messaggi inopportuni e diseducativi. La tv, in casa Giacmul, si guardava solo di sera, dalle 20 alle 20,30, quando andava in onda il telegiornale oppure, tassativamente, quando veniva trasmessa una partita giocata dalla Juve. Mamma Mary e papà Marco, di solito, ascoltavano e commentavano le notizie del giorno sbrigando i lavori di casa, mentre Federica, seduta sul grande tappeto colorato, continuava a trastullarsi con i suoi giochi. La piccola sembrava indifferente alle parole che provenivano dalla magica scatola luminosa ; in realtà, come un’antenna sensibilissima, captava fedelmente tutto ciò che veniva emesso. Ma il telegiornale, si sa, trasmette spesso notizie negative e raccapriccianti, così la piccola cominciò a pensare che il mondo fosse popolato da orchi spietati che uccidono la gente, da ladri spregiudicati che entrano nelle case di notte e di giorno, da streghe malvagie che abbandonano i bambini dopo averli malmenati… Era spaventata e non voleva più dormire da sola nella sua cameretta.

“Mamma, ho paura…. Voglio dormire nel lettone con te e papà!– implorava tra le lacrime ,mentre la mamma le infilava il pigiama.

“Che cosa ti spaventa così tanto, tesoro?

“Ho paura che stanotte qualcuno mi porti via!” spiegava singhiozzando

“Stai tranquilla piccolina, noi siamo qui, con te. Non ti lasciamo sola!” rispondeva mamma Mary stringendola tra le braccia per rassicurarla.

“Mamma, ti prego, stammi vicino! Tienimi la mano finché non m’addormento!” supplicava Federica con gli occhi imploranti. E la mamma non si allontanava da lei fin quando le sue palpebre si abbassavano e il suo respiro si faceva regolare .

La stessa scena si ripeteva quasi tutte le sere, lasciando sgomenti i suoi genitori che non sapevano darsene una spiegazione plausibile.

La primavera, intanto, cominciava a fare capolino. Finalmente le giornate iniziavano ad allungarsi. Nell’aria si avvertiva quell’invitante tepore che induce ad aprire le finestre.Dal cortile giungevano i richiami allegri di Anes e Ahmed che giocavano a pallone. Federica, seduta a tavola, impaziente di concludere la cena, ingoiava grossi bocconi di frutta. Aveva fretta di andare sul balcone a vedere i suoi amici.Chissà se i suoi genitori ,ora che aveva quasi tre anni, le avrebbero permesso di raggiungerli ?

“Mastica bene, piccola, o finirai per non digerire!

“Va bene papà” e intanto si agitava nervosamente sulla sedia

“Ho finito. Posso uscire sul balcone?

“Prima devi lavarti i denti.Vuoi che la carie te li buchi tutti?

Federica avrebbe voluto protestare, ma sapeva benissimo che avrebbe solo peggiorato la sua situazione. Volò perciò nel bagno, si spazzolò velocemente i denti e, di corsa, raggiunse il balcone.

“Fefè, vieni anche tu a giocare con noi? ” le gridarono Anes e Ahmed appena la videro spuntare

“Mamma, papà … posso scendere in cortile a giocare?” chiese Federica affacciandosi alla porta della cucina con tono implorante.

“Va bene, piccola. Ma non starci troppo e soprattutto…non fare imprudenze!

In cortile riceveva come al solito l’abbraccio caloroso dei suoi amici che, essendo più grandi di lei, avevano nei suoi confronti un atteggiamento tenero e protettivo, a volte, persino troppo assecondante

 Federica prese l’abitudine di trovarsi con loro ogni sera .Rientrava in casa per dormire stanca morta, ma serena e soddisfatta. Le uscite serali con gli amici avevano il potere di fugare gli incubi che l’avevano tormentata durante l’inverno. Gli orchi, le streghe e i ladri era finiti tutti imprigionati nella tv, che ora, anche di sera, rimaneva buia e muta. Anche Marco e Mary ,dopo aver rassettato sommariamente la cucina, seguivano Fefè in cortile. Seduti sul bordo della fontana di pietra che c’era in giardino, s’intrattenevano con Subhija e Berjamin, i genitori di Anes e Ahmed.Mentre facevano quattro chiacchiere insieme, tenevano sott’occhio i bambini che giocavano spensierati sull’erba. Accanto a loro c’era anche Martina, la sorellina di Fefè.La nuova arrivata, la piccola Martina, aveva pochi mesi e se ne stava tranquilla nella carrozzina a dormire; se per caso accennava a svegliarsi ,mamma e papà istintivamente muovevano la culla, così la piccola riprendeva il sonno interrotto.

Federica era felice, ma non aveva dimenticato la magia dei suoi voli sull’altalena, nel parco del Villaggio.

“Nonna, quando possiamo tornare sull’altalena?” ripeteva frequentemente.

“Presto, tesoro, ti porterò presto!

“Nonnina, se andiamo una volta di sera, possiamo afferrare la luna?

“Ma certo, piccola mia! Raccoglieremo anche un fascio di stelle luminose!

La nonna sapeva di non mentire, giacché la fantasia può tutto. Sarebbe bastato dire alla bimba di chiudere gli occhi e la luna e le stelle sarebbero scese dal cielo per loro.

L a primavera portò con sé anche il terzo compleanno di Fefè. Mamma Mary preparò per lei una bellissima festa alla quale parteciparono parenti ed amici. Federica, raggiante come il sole, accoglieva gli invitati distribuendo baci e abbracci a tutti. Per l’occasione indossava uno splendido vestitino fuxia ” la tinta da lei preferita ” dono della sua madrina; calzava un bel paio di scarpette che nonna Anna le aveva regalato per la ricorrenza. Sul tavolo della cucina troneggiava una splendida torta alla crema rivestita di panna, nella quale la piccola festeggiata aveva infilato, di nascosto, un ditino per un primo furtivo assaggio.

“Accipicchia, che buona!” esclamò soddisfatta ” Non vedo l’ora di mangiarmene una bella fetta!” Con l’indice aveva spianato il buco, ma ormai si vedeva benissimo che qualcuno, in quella torta, ci aveva messo dentro lo zampino.

Man mano che gli invitati arrivavano, Fefè spacchettava i regali che le offrivano. Esultante di gioia correva qua e là per la cucina mostrando con orgoglio a tutti il nuovo dono che le era stato consegnato.

“E’ bellissimo! Grazie!” e così dicendo stampava un sonoro bacio sul viso di chi glielo aveva donato.

L’ultimo invitato si presentò a mani vuote. Federica lo accolse con sguardo stupito e deluso. Poi, con l’innocenza che è propria solo dei bambini, esclamò: ” Padrino, ti sei dimenticato di portarmi il regalo?

Gli occhi le si riempirono di lacrime. Il pensiero che proprio lui, suo padrino, si fosse scordato del suo compleanno la addolorava. Sì, … proprio il suo adorato padrino si era dimenticato di lei! Non era possibile! Fefè non riusciva a darsene pace.

La festa le sembrava ormai rovinata, quando Francy, sollevandola in braccio, le disse con inesprimibile dolcezza:

“Sei proprio una sciocchina ! Come potrei dimenticarmi di te?” E tenendola stretta stretta la condusse sul balcone. In mezzo al giardino, tra erba, emergeva un voluminoso pacco. Era avvolto in una robusta carta marrone; su di esso spiccava un seducente fiocco rosa.

“Ecco il mio regalo! Vedi quanto è grande? Come avrei potuto portartelo in casa?

“Voglio andare subito a vederlo!” rispose la piccola precipitandosi verso la scala. E raggiunto il giardino si gettò sul pacco e cominciò a strappare con foga la resistente carta che lo avvolgeva. Appena il contenuto fu visibile Federica, esaltata da ciò che aveva appena scoperto, lanciò un urlo di gioia:

“Evviva ! Evviva! E’ bellissimo, grazie padrino!” e così dicendo, con un balzo fulmineo, s’aggrappò al collo di Francy.Lo abbracciò, lo baciò, lo accarezzò. Le sembrava di toccare il cielo con un dito.

“Scendete tutti a vedere: è arrivata l’altalena! Venite, venite a vedere!” urlava scatenata la piccola per richiamare l’attenzione delle persone che erano in casa.

La sua gioia era contagiosa.In un attimo tutti gli invitati furono in giardino, accanto al grande pacco. I loro sguardi non erano tanto puntati sull’altalena, quanto sull’espressione di esultanza che s’irradiava dal volto di Federica.

La festa si protrasse fin verso la mezzanotte. Federica s’addormentò più tardi ancora. La gioia che sentiva dentro di sé le impediva di prendere sonno. Prima di chiudere gli occhi si era nuovamente avvicinata alla finestra per godere ancora una volta del suo meraviglioso regalo.

Il giorno successivo papà Marco, con l’aiuto immancabile di nonno Osvaldo, s’apprestò a montare l’altalena. Federica s’aggirava attorno a loro come una vespa intorno alle rose. Impaziente di vedere il risultato finale, li subissava di domande alle quali padre e nonno rispondevano con calma, sorridendo. Per renderla partecipe dei lavori, nonno Osvaldo le chiedeva di sporgergli i bulloni, le pinze, il martello… Fefè collaborava con entusiasmo, soddisfatta di dare il suo significativo contributo per il compimento dell’opera. Dopo un’ abbondante ora di lavoro, finalmente quel mucchio di corde, pali, sedili, ferraglie… assunse la forma di una bellissima altalena. Appese alla massiccia trave centrale pendevano quattro robuste corde che sorreggevano due diversi sedili. Uno “destinato ai bambini più piccoli” aveva la forma di un cestello dotato di sbarra di protezione anteriore; l’altro, più sobrio e lineare, era costituito da un asse piatto, sprovvisto di ripari.

“E’ bellissima!” esclamò Federica guardando l’altalena con la stessa passione con cui un artista contempla la sua opera più riuscita– Voglio provarla subito!

Infilò le sue piccole, agili gambette nel cestello verde e arancione e, spinta da papà Marco, cominciò a dondolare nell’aria.Era raggiante. Ora avrebbe potuto lanciarsi sull’altalena ogni qual volta lo avesse desiderato.

Ai tepori della primavera seguirono le giornate lunghe e afose dell’estate. Durante il giorno la canicola rendeva pressoché impossibile sostare nel giardino. I sedili dell’altalena scottavano sotto i raggi cocenti del sole ed emanavano uno sgradevole odore di plastica.La sera invece era delizioso farsi cullare dal vento fresco con gli occhi rivolti alle stelle che brillavano nel cielo.

“Mamy, ho finito di mangiare.Posso scendere in cortile?

“Va’ tesoro. Noi ti raggiungeremo tra un po’

Federica scese le scale con la velocità di un uccello in volo. Giunta davanti alla porta della famiglia Alekic bussò vigorosamente.Era il segnale d’intesa col quale ogni sera chiamava all’appello i suoi due amici. Ahmed uscì di casa con la bocca piena; Anes si strofinò le labbra passandoci sopra il palmo della mano.

“Stasera voglio cambiare altalena. Ho deciso che mi “lancerò” su quella dei grandi” sentenziò Fefè con un tono che non ammetteva replica, sedendosi sull’asse piatta.

I due fratelli si guardarono in faccia accennando ad un sorriso.Pensavano che Fefè stesse scherzando.

“Chi di voi mi spinge per primo ?” domandò la piccola guardandoli negli occhi con un tono di sfida.

“Ma tu sei impazzita!” replicò Anes che tra i due era il più giudizioso ” Scendi subito di lì. Se vuoi che ti spinga, vai nel cestello!” e indicò con l’indice teso l’altra altalena.

“Nemmeno per sogno! Io stasera andrò su questa!” ribadì Fefè aggrappandosi con maggiore forza alle corde. ” Sei solo un fifone! Chiederò di spingermi ad Ahmed, che è più coraggioso di te ! ” disse cercando di colpirlo nell’orgoglio personale.

Ma Anes, che era un ragazzo avveduto, non si scompose. Rientrò in casa lasciando suo fratello a gestire la scottante questione.

“Ahmed, per favore… Voglio provare come si sta su questa altalena!”Fefè lo implorava con occhi così supplicanti che alla fine, per il ragazzino, fu quasi impossibile rifiutare.

“Sei proprio una rompiscatole! Vuoi sempre fare di testa tua!” disse bonariamente Amed. Poi, per accontentarla, cominciò a darle delle lievi spinte.

“Più forte… più forte ! Non fare il “pappamolle”! ” Stasera, voglio guardare in faccia la luna!” strillò la bimba mentre allungava e ritraeva le sue scattanti gambette.

“Tieniti stretta! Potresti cadere!” le intimava preoccupato il ragazzo.

“Che bello, Ahmed! Mi sembra di essere una rondine ! ” gridava la piccolina ignorando le raccomandazioni che le venivano fatte.E intanto agitava paurosamente i gomiti per imitare il volo degli uccelli.

Ahmed, vedendola così felice, si fece contagiare dalla sua esultanza.Dimenticò del tutto l’inesperienza della bimba e cominciò a lanciarla sempre più in alto. Per dare maggiore vigore alle spinte, si aggrappava con le mani al duro sedile, staccandosi da terra con i piedi. L’altalena vibrava spaventosamente.Un brivido percorse il corpo di Fefè. La piccola cominciava ad avere paura, ma non aveva il coraggio di ammetterlo.

Ad un tratto un urlo spaventoso squarciò la quiete di quella sera d’estate.L’altalena volteggiava nell’aria, ma di Federica non c’era più traccia.

“Aiutooo! Aiutooo! Venite subito, vi prego! Correte!” urlava a squarciagola Ahmed.Il suo viso era verde per il grande terrore. Gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite. Cominciò a battere i pugni sulla porta di casa per sollecitare i genitori ad uscire.

“Fefè è sparita! Non c’è più! Correte! Sbrigatevi!” Era straziato e annichilito dallo spavento. Cosa mai poteva essere successo alla piccola Fefè? Dove mai poteva essere sparita?

I genitori di Federica, raggelati dall’urlo, capirono al volo che qualcosa di tremendo stava succedendo in cortile.

“Fefè, Fefè… La nostra piccola Fefè… Signore mio, aiutaci!” Gridò straziata mamma Mary, adagiando in gran fretta nella carrozzina la piccola Martina che, fino a quel momento, stava succhiando il latte al suo seno.

Papà Marco, bianco come un cencio uscito dalla candeggina, scese i gradini con la velocità di un capriolo inseguito dai bracconieri. Mamma Mary, al suo seguito, invocava con disperazione il nome della figlia.

“Fefè, la mia piccola Fefè…Che fine ha fatto la mia bambina !Voglio la mia bambina! Ridatemi la mia bambina! ” il suo urlo straziava il cuore.

L’angoscia che l’ attanagliava era così forte da farle perfino scordare la piccola Martina, rimasta incustodita. Subhija le si avvicinò con delicatezza per offrirle un po’ di conforto. Mary, assorbita dal suo affanno, non la sentiva nemmeno. Nessuno avrebbe potuto capire fino in fondo il suo dramma.

Berjamin, accorso vicino ad Anes, lo interrogava per capire cosa fosse accaduto. Il ragazzo piangeva come una vite potata fuori stagione. Tra i singhiozzi balbettò alcune parole incomprensibili che indussero il papà a desistere dall’impresa.

“Guardate, guardate lassù!” gridò ad un tratto papà Marco indicando con la mano il tetto della casa.

“E’ lei ! E’ proprio lei! E’ la nostra Fefè! ” esclamò mamma Mary volgendo lo sguardo in alto.

Federica, catapultata nel cavo dell’antenna parabolica, sembrava un uccello nel nido. I suoi piedini svettavano dai bordi di quell’insolito “guscio”, mentre con un manina alzata lanciava segnali di aiuto. Dunque la piccola era là ed era VIVA!

“Stai tranquilla, piccolina, non muoverti. Verrò subito a prenderti!” cercò di rassicurarla suo padre sentendola piangere. Ma la bambina, spaventata, continuava ad agitarsi ,facendo ondeggiare paurosamente l’antenna. Ad un tratto l’asta che la sosteneva si piegò e il “guscio” si adagiò paurosamente sulle tegole, facendone scivolare alcune.

“Aiutooo! Adesso cade! Cade! ” gridavano dai balconi dei piani superiori gli inquilini del vicino palazzo.

Marco e Mary cercavano di imporsi la calma per tranquillizzare con le loro parole la piccina che stava in pericolo sul tetto. Ahmed, in ginocchio vicino alla fontana, implorava l’aiuto del cielo per la piccola amica. Il ragazzino non si perdonava di aver dato ascolto ai capricci di Fefè.Se fosse potuto tornare indietro… Certamente avrebbe seguito l’esempio di suo fratello. Ma ormai era tardi per i ripensamenti.

Subhija intanto, uscita di casa imbracciando un grande materasso, lo collocò sul marciapiede, in direzione del probabile punto di caduta della bambina.Berjamin invece, arrivato a passo spedito con una lunga scala snodabile sulle spalle, l’appoggiò alla grondaia, vicino al punto in cui stava Federica.

“Sto arrivando, tesoro! Non ti preoccupare, verrò subito a prenderti!” diceva con dolcezza papà Marco mentre saliva la traballante scala a pioli. Berjamin da terra cercava di dargli sicurezza tenendole ferma la scala, che sottoposta al peso di Marco vibrava ad ogni scalino che saliva.

“Finirà di cadere anche lui !” commentavano gli spettatori dai balconi, quasi si trovassero al cinema.

Finalmente le mani di Marco si aggrapparono alla grondaia.Con una vigorosa spinta il papà di Federica si alzò sul tetto. Sotto i suoi passi le vecchie tegole cominciarono a scricchiolare; qualcuna si incrinò. Marco si impose di procedere cautamente per non esporre a ulteriori pericoli la sua adorata bimba.

“Fai in fretta, papà! Vieni a prendermi ! Ho tanta paura!” gridava Federica tra i singhiozzi.

“Sono qui, tesoro! Sto arrivando! Stai tranquilla, papà è vicino” la confortava Marco.

Quando infine la raggiunse, la piccola gli si aggrappò al collo e glielo coprì di baci e di lacrime.

Marco allora si sedette sulle tegole e la coccolò dolcemente per rassicurarla. Desiderava che la bambina si calmasse, prima di intraprendere la pericolosa avventura della discesa in due.

“Tesoro mio, stai calma! Ti porterò presto dalla mamma” le diceva accarezzandole delicatamente i capelli.

“Avrebbero dovuto chiamare i vigili del fuoco !– sentenziava il coro degli spettatori dai balconi.

Il momento era drammatico. Se almeno quelli se ne fossero stati zitti!

“Lanciatemi su una corda !– urlò Marco” Legherò a me la bambina, così potrò avere le mani più libere” spiegò frettolosamente. Dopo pochi minuti Berjamin era già in cima alla scala. Con una perfetta mira, lanciò la fune a Marco che avvinghiò a sé Federica.La piccola, nelle braccia del papà, si era tranquillizzata e non piangeva più .

“Tesoro, chiudi gli occhi e appoggia la testolina sulla mia spalla. Faremo come Babbo Natale quando scende dal camino!” le sussurrò il papà stampandole un grande bacio sulla fronte.

In cuor suo tremava, ma non poteva permettersi di dare spazio ai ripensamenti.

Mary, a lato della fontana, con lo sguardo perso nel vuoto, sembrava la statua della Pietà Rondanini.

“Signore mio, concedimi questa grazia! Fa’ che la mia bambina ritorni a me sana e salva ! Ti prego, fai che possa riabbracciare la mia piccolina!” e intanto rigirava nervosamente tra le mani il fazzoletto bianco che Subia le aveva dato per asciugarsi le lacrime.

Giunto sul bordo del cornicione Marco tentò di posare il piede sul primo piolo. La scala cominciò a vibrare. Tutti trattennero il respiro.Non urlarono per non scoraggiare il procedere del salvataggio. Per ritrovare l’equilibrio Marco s’aggrappò al cornicione: alcune tegole scivolarono .Piombarono a terra con grande fragore, sfiorando Berjamin che si trovava sotto la scala. Marco tentennò nuovamente, ma alla fine riuscì ad assestarsi e pian piano conquistò il suolo. Fu un’esplosione di lacrime e di gioia. Fefè volò tra le braccia di mamma Mary che riprese pian piano il suo colorito. Ahmed scoppiò in un pianto convulso che nessuno riusciva a calmare. Aveva trattenuto le lacrime fino a quel momento; ora bisognava dar sfogo alla tensione. Berjamin e Subhija si abbracciarono commossi. Papà Marco, come un eroe dimenticato, si avviò verso le scale per raggiungere la piccola Martina. La bimba, ignara del dramma che si era svolto in cortile, dormiva tranquilla e beata nella sua carrozzina.Il papà la guardò con una tenerezza indescrivibile e, commosso dal suo candore, le accarezzò le guance asciugandosi furtivamente una lacrima.

Anche gli spettatori abbandonarono i balconi per continuare tra le mura domestiche un lungo e dettagliato commento sulla sfiorata tragedia.

Il giorno successivo ognuno riprese il proprio ritmo e la propria normalità. Fefè per un po’ di tempo guardò con sospetto l’altalena. Non aveva il coraggio di avvicinarsi. Un bel giorno però la rividero dondolarsi incantata sulla magica asse. Teneva gli occhi socchiusi: stava di nuovo guardando in faccia la luna. 

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