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Tutte le fiabe di Mina

Questa la raccolta personale di Mina. Puoi contribuire anche tu al progetto "Ti racconto una fiaba" inviando i tuoi testi attraverso l'apposita pagina invia la tua fiaba.

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La nuvola e la duna

Racconto popolare rielaborato da Paulo Coelho.

Una nuvola giovane giovane (ma è risaputo, la vita delle nuvole è breve e movimentata) faceva la sua prima cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri. Quando passarono  sul grande deserto del Sahara, la altre nuvole, più esperte, la incitarono: “Corri, corri, se ti fermi qui sei perduta”. La nuvola però era curiosa, come tutti i giovani, e si lasciò scivolare in fondo al branco delle nuvole, così simili ad una mandria di bisonti sgroppanti.

“Cosa fai? Muoviti!” le ringhiò da dietro il vento. La nuvoletta però aveva visto le dune di sabbia dorata: uno spettacolo affascinante….. e planò leggera leggera. Le  dune sembravano nuvole d’oro accarezzate dal vento. Una di esse le sorrise. “Ciao”,  le disse. Era una duna molto graziosa, appena formata dal vento, che le scompigliava la luccicante chioma. “Ciao. Io mi chiamo Ola”, si presentò la nuvola. “Io Una”, replicò la duna. “Com’è la tua vita lì giù?”. “Be’….sole e vento: Fa caldo ma ci si arrangia: E la tua?”. “Sole, vento e grandi corse nel cielo”.

La nuvola e la duna

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La pecora settantadue

Sono la pecora numero settantadue. Lo so con certezza perché questo è il numero dipinto con la vernice sul mio posteriore. Per facilitarsi il compito di contare le pecore, il pastore ha scritto un numero sul  dorso di ogni pecora.  Così so anche che siamo in cento.

La numero cento è una pecora che stilla boria da ogni ricciolo di lana. Credo abbia il numero cento solo perché è quella con il di dietro più grosso.

Ma io sono la settantadue. Significa che non sono tra  le prime quando il gregge si muove, né  sono tra le ultime. Sto in mezzo, affogata nella mediocrità assoluta. In realtà non sono nessuno. Sono sfruttata, come le altre: portano via la lana, il latte e anche gli agnellini. Sono un animale. Servo a produrre e basta.  Ho lo stesso valore dello steccato dell’ovile.

La pecora settantadue

meriggio-sud

Meriggio al sud

Terra riarsa
bruciata , selvaggia.
Vento bollente
sferzante, spietato.

Bianche facciate
infuocate dal sole,
finestre serrate
a sbarrare il calore.

Strade deserte
un silenzio tombale
e il sole i suoi dardi
continua a lanciare.

Poi a sera  il tramonto
fa il mare indorare
e il sole pian piano
si va a coricare.

Meriggio al sud

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La saggezza dei vecchi

Ulivi, alberi antichi
dai tronchi rugosi,
contorti, scavati

fedeli riproduzioni
di uomini vecchi,
stanchi, bruciati dal sole
che siedono
sulle panchine delle piazze.

Entrambi attendono
senza fretta 
lo scorrere delle stagioni

La saggezza dei vecchi

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Il profumo dell’inverno

C’erano una volta, tanti e tanti anni fa, tre bambine. Erano tre sorelline che si volevano molto bene e abitavano, con la loro famiglia: papà, mamma e nonna, in una vecchia casa nel cuore di una piccola e graziosa città.

Era una casa a tre piani che stava su perché si appoggiava alle altre case vicine che, come lei, erano piene di acciacchi. Erano delle vecchie, nobili signore un po’ decadute e senza possibilità di restauro per quell’epoca. I muri erano scoloriti, scrostati, un po’ rigonfi per l’umidità che veniva dai pluviali rotti. Le finestre con le griglie screpolate, non sempre chiudevano e per di più bisognava usare molta prudenza perché un colpo più forte avrebbe potuto scardinarle.

Ogni piano aveva tre finestre che si aprivano sulla via e una era finta, non si sa perché.

L’ingresso del vecchio stabile era una piccola porticina che dava su un lungo e stretto corridoio di mattonelle bianche e nere dal quale si dipartivano le scale. C’era nel corridoio un caratteristico odore stagnante a causa del retrobottega dell’oste e del formaggiaio. In fondo all’angusto corridoio, dietro ad una cancellata perennemente chiusa, vi era un cortiletto infossato nei muri delle case adiacenti. Quel cortile racchiudeva i sogni di libertà di quelle bambine, costrette a guardare dall’alto uno spazio a loro sempre negato.

Il profumo dell’inverno

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Il mare sa cantare

Una linea blu che bacia l’azzurro del cielo. E’ il mare. Un’immensità liquida dalle tonalità cobalto e poi indaco, smeraldo e azzurro. Spruzzi di spuma bianca accompagnano le onde, talora gentili che accarezzano, altre volte forti che schiaffeggiano o violenti che travolgono.

Ha carattere il mare: impetuoso, irascibile, cattivo e poi, come un amante pentito, dolce, carezzevole, morbido e caldo.

Un alito di vento già gli fa cambiare colore, una brezza lo increspa, una folata lo gonfia e lui ridiventa furioso, rabbioso, incontenibile.

Nero come la sua anima, in un attimo tutto travolge, tutto disperde, ingoia e sbriciola  ributtando gli avanzi della sua ira sulle spiagge.

Il mare sa cantare

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La fiaba di Peter e Annie

In un angolo riparato del bosco, Peter,  un vecchio con la barba bianca e il viso grinzoso,  sta seduto su un sasso coperto di muschio. Guarda  malinconico davanti a sè senza nulla vedere. Una scintilla di luce passa nei suoi occhi umidi. Sta  rivedendo come in un film gli attimi belli e brutti della sua vita.  Le sensazioni che prova sono tangibili nelle espressioni  del suo volto.

Si rivede  bambino: in una grande casa colonica addetto al governo degli animali delle stalle oppure  curvo  sotto enormi fascine di legna caricate  sulle sue spalle esili. Continuamente sgridato  per qualsiasi cosa giusta o sbagliata che facesse, nessuno teneva conto della  sua età – era un bambino  – che faceva quello che poteva e  nel  modo in cui era capace.

La madre di Peter  era morta dandolo alla luce e di ciò lui se ne era fatto carico come se la colpa di quello che era avvenuto fosse soltanto sua. Il padre si era poi risposato con una donna che non l’aveva mai amato e che palesemente lo trattava male a differenza di come amava i propri figli – i suoi quattro fratellastri.

La fiaba di Peter e Annie