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Il Povero Pescatore e il Grande Samurai

Fiaba pubblicata da: Massimo Ferrario

Il mare, quell’anno, non era stato buono: la barca con la quale ogni mattina all’alba il Povero Pescatore partiva per la pesca era stata buttata sullo scoglio all’entrata del piccolo porto durante una tempesta. Ed era andata distrutta. L’uomo si era salvato miracolosamente. Ma la sua famigliola temeva la fame dell’inverno.

Così, si era deciso, anche per le insistenze della moglie. Ed era andato in città per affidarsi alla magnanimità dell’Onorevole Grande Samurai, la cui fama di saggezza e generosità valicava i confini del Paese.

L’Onorevole Grande Samurai aveva ascoltato in silenzio il triste racconto e si era impietosito per la sorte dei tre piccoli e della moglie, che non avevano di che mangiare. Alla fine aveva concesso al Povero Pescatore un prestito. Il Grande Samurai però lo aveva avvertito: «Tra un anno, quando sbocceranno i fiori della primavera e l’aria sarà dolce di profumi, ti aspetterò nel salone del mio palazzo e mi riporterai il dovuto. Non voglio speculare: mi basta quanto ti ho dato, nessun soldo in più. Solo ti ricordo: per me gli impegni sono sacri. Non tollererò ritardi. Voglio la tua parola».

Il Povero Pescatore, commosso, si era inchinato e gli aveva dato la sua parola. Poi aveva ringraziato, benedicendolo per la sua bontà.

A primavera, come d’accordo, il Povero Pescatore si era ripresentato dall’Onorevole Grande Samurai. Aveva il viso triste e contrito. Con la nuova barca che aveva potuto acquistare con i soldi ricevuti in prestito aveva buttato le reti al largo ogni giorno di buon tempo, ma il destino non era stato favorevole: pochi pesci e troppe giornate di mare agitato gli avevano impedito di prendere il largo. La famiglia del Povero Pescatore aveva potuto sfamarsi, ma i soldi ricavati dalla vendita del pesce non erano stati sufficienti per ricostituire la somma del prestito.

«Sono mortificato, Onorevole Grande Samurai, ma ciò che posso restituirti è pari solo alla metà di quanto ti devo. Gli dèi non mi hanno aiutato e la sorte mi è stata nemica. Solo su te posso contare e di ciò non finirò mai di ringraziarti. Ti prego di pazientare. Tutti conosciamo la tua nobiltà d’animo, concedimi ancora un anno e tornerò con i soldi che ti devo e ancora di più».

L’Onorevole Grande Samurai sguainò la spada.

«Ti avevo messo in guardia, Pescatore. Non sopporto che mi si manchi di parola. Considero questo un affronto che va lavato col sangue».

Il Povero Pescatore chinò il capo.

«Hai ragione, Onorevole Grande Samurai. La tua ira è giustificata. Ma l’ultima cosa che io vorrei fare è mancarti di rispetto. Nonostante mia moglie ed io abbiamo risparmiato sul nostro cibo, non ce l’ho fatta a raccogliere l’intero debito. Se vuoi colpirmi con la spada, fallo pure. Ma attendi che l’ira sia svanita. Anch’io, da giovane, studiai le arti marziali e ricordo l’insegnamento del mio maestro: mai usare la spada sotto l’effetto dell’ira.»

L’Onorevole Grande Samurai fissò in viso intensamente il Povero Pescatore per oltre un minuto. Il Povero Pescatore non abbassò gli occhi. Il silenzio, nel salone, sembrava interminabile.

Quindi l’Onorevole Grande Samurai lasciò cadere a terra la spada e si passò una mano sulla fronte, come per scacciare definitivamente l’ultimo cattivo pensiero.

«Aveva ragione il tuo maestro, Pescatore. Anch’io ho ricevuto un simile insegnamento. Ma come vedi me ne stavo dimenticando. Forse non sono così saggio come dicono. E ho avuto bisogno che tu mi ricordassi il comportamento giusto. D’accordo. Ti darò l’anno che mi chiedi. Però ricorda che non ammetto altre eccezioni. Se non mi salderai il debito, userò la spada».

Il Povero Pescatore, rinfrancato per la proroga, riprese la strada del ritorno.

Un mese dopo, il Grande Samurai partì per un lungo viaggio e lasciò a casa la moglie e la madre.

Rientrò in città dopo una settimana, a tarda notte. Scivolò dentro il palazzo in silenzio, per non svegliare moglie e madre. Salì le scale del primo piano in punta di piedi. Si infilò nella camera da letto senza sollevare il minimo rumore. Tutto era avvolto nell’oscurità. Solo una falce di luna, attraverso la finestra, mandava un chiarore argenteo, che colpiva il letto matrimoniale.

Fu allora che il Grande Samurai vide.

Non ci credette. Si strofinò gli occhi, cercò di aguzzare la vista. Ma non erano possibili dubbi: nel letto, oltre alla moglie, dormiva un uomo. Con gli abiti di un samurai.

Fu assalito dalla gelosia, il sangue gli salì alla testa, sguainò la spada dalla cintura, la alzò. Trattenendo il fiato, si avvicinò al letto. Stava per abbatterla di taglio sui due corpi, della moglie e dell’uomo.

Poi, ricordò le parole del Pescatore: «Mai colpire sotto l’effetto dell’ira».

Si trattenne. Inspirò ed espirò profondamente. Più volte. Raggiunse la calma. Allora, deliberatamente, batté i piedi sul pavimento, producendo un forte tramestio. Di colpo, i due corpi sul letto si mossero. La moglie e l’uomo, spaventati, si svegliarono: urlando e tremando. Il Grande Samurai, sempre con la spada sguainata ma abbassata, si rivolse all’uomo, intimandogli di presentarsi.

L’uomo si tolse i vestiti da samurai: era sua madre.

Le due donne riconobbero il marito e il figlio e si strinsero felici. «Che significa tutto questo?», chiese stupito il Grande Samurai. «Stavo per uccidervi…»

La moglie saltò fuori dal letto e si buttò tra le braccia del marito.

«Avevamo paura dei briganti» spiegò. «Così ho chiesto a tua madre di venire a letto con me e di indossare il tuo vestito da samurai. Se fossero venuti, avrebbero creduto che tu eri in casa e non avrebbero osato assalirci.»

Passò l’anno, giunse la primavera con i fiori bianchi e i dolci profumi, e il Povero Pescatore si presentò al Grande Samurai.

Era raggiante. «La fortuna mi ha benedetto, Onorevole Grande Samurai. Ho avuto un’ottima annata, il mare è stato finalmente generoso e ho venduto cassette e cassette di pesce di tutti i tipi e di tutte le taglie. Debbo ringraziare gli dèi, ma anche te, che mi hai aiutato nel momento del bisogno. Ecco, questi sono i soldi che ti devo, e questi sono i soldi in più che voglio darti come segno di gratitudine.»

Il Grande Samurai sorrise e accennò un inchino.

Il Povero Pescatore trasecolò: un inchino a lui da un samurai?

«Tieni pure i tuoi soldi» lo rassicurò il Grande Samurai.

Il Povero Pescatore non capiva.

«Ma il prestito?».

«Non mi devi nulla. Sono io che ti ringrazio. Tu mi hai già ripagato».

Il Povero Pescatore era sconcertato: «Dici che ti ho già ripagato? Ma quando?».

Il Grande Samurai si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, in segno di affetto: «Una notte. Di quasi un anno fa.»

***

Massimo Ferrario, 2007 – Riscrittura di un antico racconto giapponese, segnalato in David Schnarch, ‘The Passionate Marriage’, Henry Holto, New York, 1997 e citato da William Ury, ‘Il no positivo. Come negoziare un accordo senza rinunciare ai propri obiettivi’, 2007, Corbaccio, 2007.



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