L’ultima fetta

Fiaba pubblicata da: turiupensaturi

Piccola storia sulla Nutella, la varicella e la mafia.

Papà, facciamo merenda? Ottima idea, la solita? Si. Nutella per me e marmellata di pompelmo per te.

Esatto. Riscaldo il pane. Tu prendi il resto e portalo a tavola.

E’ diventato un rituale. Il nostro momento speciale. Solo nostro. E’ meraviglioso condividere, con il proprio figlio, attimi eterni. La vita è proprio bella anche se detto e descritto così sembra uno spot della Mulino Bianco.

Non siamo perfetti, ma adesso è così. Io e Jacopo, facciamo merenda, come io e mio padre poco tempo fa. E’ tutto pronto. Jacopo con la sua fetta di Nutella, io con la mia marmellata di pompelmo, Adele in cucina che prepara la cena. La vita, può andare pure in vacanza. Scendo. Prendo il prossimo, grazie.

Papà, ma a te non piace la Nutella? Per la verità, quando ero piccolo mi piaceva e pure tanto. Adesso preferisco la marmellata della mamma.

Bho, io non la capirò mai sta cosa che prima una cosa ti piace e poi no.

Hai ragione Jacopo. Ahahahah, hai ragione.

Sbang! Spesso Jacopo mi affonda con le sue parole dirette. Un gancio in pieno viso, da Cassius Clay, KO.

I bambini ti sbattono la verità in faccia. Ti spiazzano. Ti lasciano in silenzio.

Quando hai deciso che preferivi la marmellata alla Nutella? Quando hai capito che la Nutella non ti piaceva più? Ti ricordi quando? Si. Ricordo benissimo.

Certo che ricordo. Ricordo tutto.

Jacopo quando mangia la Nutella non smette di fare domande. La sua curiosità si amplifica. Gli si apre l’appetito, il buco nello stomaco diventa voragine che devo riempire con i miei racconti, storie e aneddoti, per saziare la sua fame di conoscenza e di curiosità. Vuole che gli racconti della mia infanzia. Di quando d’estate lavoravo con mio padre a raccogliere mandorle, o ancora, più piccolo, quando mi portava con se durante la raccolta della zagara. O quando la mamma e le mie sorelle piegavano le lenzuola e, io, sotto, sognavo di volare mentre il profumo di bucato riempiva tutta la casa. E quando, per rubargli una risata, gli raccontavo di quanto ero goffo e sbadato da piccolo. Di quella volta che tornai a casa piangendo perché mi avevano rubato la bici ma, invece, distratto dal gioco, l’avevo dimentica davanti alla Putia della signorina Veturia. Infine di quella volta che tornando a casa da scuola caddi a terra per colpa del vento forte. Arrivai a casa triste e con le ginocchia sbucciate e gli occhi umidi e mio fratello mi disse: a prossima vota nde taschi mettiti i petri. Ahaahh! Spesso, molto spesso, i ricordi sono più belli della realtà. I ricordi sono come abbracci a cuscini puliti, che sanno di buono, un attimo prima di prendere sonno. La realtà è abbandonarlo quel cuscino la mattina presto. Spesso, molto spesso, mi sarà capitato in passato e credo sia capitato a tante altre persone, in questo non ho l’esclusiva, la realtà dormiva nel mio stesso letto.

Di spalle, girata dall’altra parte, a una carezza da me e allo stesso tempo così lontana. La realtà è una donna accanto che non riconosci più. Sono fortunato. Adele è sempre lì. Tutte le mattine quando mi sveglio è bello scoprire una nuova realtà che è molto simile e anche meglio del bel ricordo all’abbraccio del cuscino prima di prendere sonno. E’ bello scoprire che è lei quella che cercavi da mai. Svegliarsi la mattina osservando la donna che ami, mentre dorme. Rubare gli sguardi di mio figlio e scoprire che ogni giorno è più simile a me più di quanto potessi immaginare. Vedere la foto sul comodino di Adele con Jacopo in braccio. Il sorriso dentro gli occhi di una mamma, con in braccio il figlio. Quell’essere così minuscolo con lo sguardo rivolto alla donna, che già sa, che amerà per sempre. Non esiste opera più bella. Raffaello, Michelangelo, Leonardo, Picasso chi cazzo siete. Mi sento in pace e tutti i brutti pensieri evaporano dentro un cirrocumulo di serenità.

Mi fermo adesso. Prendo il prossimo, grazie.

Se lo ricordi benissimo che aspetti? Racconta.

Ok. Ti racconto di un uomo normale. Un siciliano come te, che, facendo semplicemente il suo lavoro, è diventato un eroe senza la consapevolezza d’esserlo. Non potendo minimamente immaginare di diventare un esempio per tanti. Lo sarà anche per te quando sarai più grande o chissà magari alla fine di questa storia. Ti parlerò della mafia che non è solo una parola che al suono può sembrare dolce e morbida, anzi è l’opposto. Magari a scuola l’avrai già sentita.

Si, la maestra ci ha detto qualcosa. Ho capito che è una brutta cosa. Forse siamo ancora troppo piccoli.

Allora provo a spiegarti io cos’è.

Ti ricordi quando stavi male perché eri tutto pieno di puntini addosso? Si certo, avevo un prurito e non riuscivo neanche a dormire. E’ quella la mafia? No, no. Sto cercando di farti un esempio. Varicella. Quel prurito che non ti faceva dormire era un’infezione che avevi preso forse a scuola. Si chiama Varicella.

E cosa c’entra la mafia? Aspetta, non avere fretta. Ricordi? Sembrava come se qualcuno si fosse divertito a riempire il tuo corpo con dei puntini. Si era messo li, con il pennarello rosso, mentre dormivi e aveva cominciato dalla fronte fino ad arrivare alla punta dei piedi. Eri tutto pieno. Non era uno scherzo. Era un contagio. Si diffonde anche con un colpo di tosse o uno starnuto. Il giorno dopo, abbiamo chiamato il dottore che ti ha prescritto la cura e dopo qualche giorno tutto è passato.

Si, ma la mafia? La mafia è tipo la Varicella. Si contagia in giro. Nelle scuole, nei bar, nelle piazze. Ovunque. Solo che, se sei contagiato dalla mafia, non hai prurito addosso e non sei pieno di puntini rossi e non passa in pochi giorni.

Papà ma perché non chiamano il dottore? I mafiosi, così si chiamano i malati di mafia, non vogliono guarire. Credono di star bene, anzi cercano in tutti i modi di fare ammalare gli altri. Diventano come dei mostri brutti e cattivi.

Più cattivi di Goblin? Chi è Goblin? Goblin è il cattivo supercriminale nemico di Spiderman.

Bravo. I mafiosi sono come Goblin. Vogliono sempre avere ragione, ma con la forza e se qualcuno cerca di contrastarli diventano cattivi come Goblin.

Allora bruciano le macchine e rompono le vetrine dei negozi come Goblin quando si arrabbia? Si, proprio così, ma anche peggio.

Sono più cattivi di Goblin? Non posso crederci, mamma mia, sono proprio dei mostri allora.

Si, sono proprio dei mostri. Solo che sono bravi a nascondersi. Se ad esempio bruciano una macchina, lo fanno di notte e di nascosto da tutti. Se mettono una bomba in un negozio o in un bar, fanno in modo che non li veda nessuno. La gente sa che sono stati i mafiosi ma non sa chi di loro sia stato.

Come è successo al bar dello zio. Fanno tutto di nascosto e non vanno mai in giro da soli.

Papà, sono dei fifoni allora? Fifoni e vigliacchi, Jacopo. Vigliacchi.

Ma la Polizia, i Carabinieri non sanno chi sono? Non li possono mettere in carcere? Alcuni di loro vengono arrestati. Purtroppo, sono ancora tanti i mafiosi da mettere in galera. E per metterli in carcere bisogna avere le prove. Per questo ci sono degli uomini che studiano e lavorano per smascherare i mafiosi, ma non solo quelli che mettono le bombe o bruciano le macchine o uccidono le persone, come il fratello del tuo compagno di classe. Questi uomini semplici vogliono mettere in carcere soprattutto i capimafia. Quelli che comandano e decidono quale macchina bruciare, chi uccidere.

Io ti racconto di un uomo che aveva il suo sogno nel cassetto, come tanti.

Però il cassetto non riusciva a contenerlo, tanto era grande questo sogno.

Allora lo mise sopra la mensola in maniera tale che fosse ben in vista. Non poteva dimenticarlo. Era sempre li. Un uomo e il suo sogno. Sconfiggere la mafia. Ti racconto di un uomo che ha combattuto la mafia, un supereroe, proprio come Spiderman. Un siciliano che combatteva il male. Come il dottore che ti ha dato la cura per la Varicella.

Solo che, dopo aver combattuto per anni la mafia e aver fatto incarcerare tanti mafiosi, è rimasto solo, solo con pochi amici fidati. Solo davanti al mostro che combatteva da anni. E da solo non vinci. Non va come nei film e nei cartoni. Nella vita, quando sei solo, non vai da nessuna parte. Sei solo un uomo solo. Solo contro i mostri. Non hai i super poteri. Se ti sparano, muori.

Muori come in passato sono molti altri uomini che hanno combattuto la mafia. Muori ammazzato come Peppino Impastato che la mafia l’aveva dentro casa e a pochi passi da dove abitava. Come Mauro De Mauro e Giuseppe Fava che denunciavano nei giornali le atrocità che la mafia compiva. Come Boris Giuliano e Ninni Cassarà, della squadra mobile di Palermo. Muori come Il Generale Dalla Chiesa e il giudice “ragazzino”, Rosario Livatino. Muori come Libero Grassi.

Muori, con un boato, come il magistrato Rocco Chinnici, muori come sono morti più di 5.000 persone solo perché non erano come loro. Non erano mafiosi e lottavano per non esserlo.

Jacopo rimase in Silenzio.

Adesso ti racconto quando ho smesso di mangiare la Nutella. Non ricordo l’ultima volta che l’ho mangiata, ma, ricordo benissimo il momento esatto in cui non l’ho più mangiata.

Ero tornato a casa dal campo. Avevamo vinto ma non aveva fatto goal.

Addosso, la maglia della squadra con cui giocavo in quel torneo, strisce verticali rossoblu, pantaloncini blu. Il numero 8 cucito dalla nonna sulla maglia e sui pantaloncini. Allora si cucivano con ago e filo, non come adesso che vengono stampati. Quando la nonna mi cuciva il numero sulla maglia, e lo toccavo, gioivo come quando segnavo un goal. Sono entrato a casa con una fame che solo a 13 anni puoi avere.

Non ho avuto più quell’appetito. Chissà dov’è andato a finire. A casa mi aspettava il trofeo, il mio premio partita: la fetta di pane caldo con la Nutella.

Certo che ricordo. Ricordo tutto.

Il nonno Corrado, mio padre, sbarbato di fresco fumava la sua Nazionale senza filtro. La nonna ‘Nzina in cucina. Seba, mio nipote giocava con il cavallo a dondolo. Io, guardavo la Tv, distrattamente. Il mio interesse era rivolto al coltello affogato nella Nutella che si accingeva ad accarezzare la fetta di pane sdraiata sul tavolo. Il mondo, davanti alla spalmata della Nutella sulla fetta di pane caldo, si ferma. In un certo senso, andò così. Forse non si fermò il mondo, ma io si e come me, anche altri milioni di persone. La Nutella aveva perso. La boccia cadde a terra e io, con in mano il coltello con la lama color cioccolata, avevo un cratere nello stomaco. Un cratere più grande di quello che avevo davanti a me.

Certo, ricordo.

Ricordo il vuoto, l’odore dei peperoni arrosto che la nonna stava preparando per cena. Il respiro, affannoso, del nonno e il suo eterno odore di dopobarba.

Ricordo il cigolio del cavallo a dondolo di legno che cavalcava tuo cugino Seba.

Ricordo il tonfo della boccia a terra e il rimbombo della sconfitta.

BUUUMMM.

Certo che ricordo.

Rivolgendo lo sguardo a mio padre dissi: Non è possibile. Papà, non è possibile, non può essere vero.

Abbiamo perso ancora una volta – Sentenziò mio padre.- Siamo bravi a farci del male. Chissi semu i siciliani, bboni pi farini mali tra nuiautri.

Aveva ragione mio padre. Chissi semu. Gente senza reazione, accomodanti.

Alla fine ci abituiamo a tutto, come ci si abitua ad un dolore, che porti fino alla fine dei tuoi giorni. Cerchi in qualche modo di convivere con il tuo male: Tanto non cambierà mai niente, mai.

E quando c’è qualcuno che vuole cambiare lo stato delle cose, noi tutti rispondiamo così: ma cu ciù fa fari. Chissu mala fini fa.

Chissu.

Prendiamo le distanze, cerchiamo di non dare un nome, un volto, quasi a cercare di non affezionarci troppo: tantu mala fini fa.

Da quel giorno non ho più mangiato fette di pane caldo con la Nutella. E’ cambiato il gusto. Amaro, di terra bruciata, di asfalto, cenere, di sconfitta.

Ingredienti diversi. Dov’erano finiti la nocciola e il sapore di pane caldo? Erano esplose su quell’asfalto, bruciate, vicino alle pietre, al cielo impolverato della A29, accanto a Giovanni, al suo sogno nella mensola, alle lamiere, a due passi da Francesca, allo sgomento, accanto a Vito, a un passo dalla speranza smarrita, al futuro negato di Rocco, tra le macerie, alla paura nell’ultimo sguardo di Antonio. Ed io ero con loro, pensando ai loro ultimi pensieri. Per fermarlo hanno usato un potente esplosivo, come per il suo amico Paolo, ammazzato qualche mese dopo. Paolo che sapeva di morire ma continuava a lottare contro il mostro. L’hanno ammazzato mentre andava a trovare sua madre. Anche lui con il sogno ben in vista sulla mensola. Hanno fatto esplodere una macchina piena di un potente esplosivo che a Palermo hanno sentito tutti.

BUMMMM! Erano circa le sei del pomeriggio. Le 17.58 del 23 maggio 1992. La Tv accesa, la fetta di pane caldo nuda, sdraiata sul tavolo, la boccia spiaccicata nel pavimento, la Nutella che colava dal coltello, la mensola bruciata e i sogni andati in fumo, e i siciliani che avevano perso un’altra occasione.

L’occasione si chiamava Giovanni Falcone.

Jacopo, sguardo fisso e deciso : Papà, io non voglio smettere di mangiare la Nutella.

Io, orgoglioso come non mai: Bravo Jacopo, sei grande, sei già grande.

 



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