L’Elefantessa Vanitosa e il Pappagallo Evaristo
Fiaba pubblicata da: Sapodilla
La prima orchidea gialla e verde si posò sull’acqua senza essere notata, tra le zampotte di Ariosta, l’Elefantessa vanitosa. Seduta sull’acqua bassa a riva, Ariosta continuò a strofinarsi la pelle con una pietra liscia. Dio mio, che pelle rugosa ho stamattina, pensò l’Elefantessa, deve essere l’umidità del Lago. La seconda orchidea nera e rossa fece una spirale attorno alla proboscide di Ariosta e si dondolò, appena notata, accanto alla prima orchidea.
Quasi quasi provo a farmi una doccia di fango, questa pietra liscia serve a niente, pensò ancora tra se l’Elefantessa.
La terza orchidea, bianca e blu, fece come un inchino rispettoso nell’aria e si posò tra le prime due, sempre tra le zampotte di Ariosta. L’Elefantessa inarcò le sopracciglia, fingendo indifferenza aprì piano piano le orecchie e cominciò a roteare gli occhioni, ma si costrinse a non voltarsi. Ora che ci pensava, le era parso da qualche minuto di sentire come un fruscio, una corrente d’aria sopra la sua testa.
Chi mai si permetteva di spiarla mentre era a bagno? qualcuno la spiava davvero! Alle spalle di Ariosta, due occhietti, audaci e timorosi allo stesso tempo, continuavano ad ammirarla stando ben nascosti tra i rami a riva. Sotto quegli occhietti, il beccuccio ardito e fiero del pappagallo Evaristo masticava noccioline assieme a parole di ammirazione per le belle forme dell’Elefantessa, altro che quelle pappagallette dipinte, tutte penne e ossa. Alla fine Evaristo si risolse, spiccò il volo e cominciò a planare davanti ad Ariosta.
− Mia cara, spero che abbiate gradito il mio lieve omaggio floreale, o forse preferite un mazzetto di germogli freschi?
Ariosta sorpresa quasi spaventata raccolse a se le orecchie e la proboscide.
− Eravate dunque voi, come avete osato?− gridò indignata al Pappagallo. Poi furibonda si rialzò dall’acqua e si rifugiò a riva, raggiungendo il placido branco degli Elefanti.
Tutto questo accadeva in un tardo tiepido mattino di sole sul Lago. Durante tutto il pomeriggio, Ariosta, con grande sorpresa del branco, non fece altro che strofinarsi e lisciarsi sui tronchi degli alberi, specchiarsi sulle pozze d’acqua che ristagnavano sul sentiero del branco, guardare in alto tra i rami al minimo fruscio. Nessuno degli Elefanti disse qualcosa di esplicito al riguardo, e poi non c’era di che preoccuparsi, presto i germogli bassi sulle rive del Lago sarebbero finiti e tutto il branco si sarebbe mosso altrove, lontano e ancora lontano. Ariosta avrebbe seguito, non poteva starsene certo sul nido del Pappagallo. E dunque il branco finse indifferenza e continuò a strappare germogli in silenzio. Ma quando Ariosta prese a sbattere le grandi orecchie, correndo verso il Lago e balzando nell’acqua con una gran spanciata per molte volte di seguito, il branco non poté fare a meno di voltarsi a guardarla con grande curiosità. Cosicché Ariosta si sentì in dovere di dare una spiegazione a voce alta
− Avevo bisogno di una rinfrescatina. Cosa pensavate, che volessi imparare a volare per caso?
Naturalmente anche la tribù dei Pappagalli aveva seguito tutta la scena del primo incontro tra Ariosta e Arcobaleno. Se un Elefante è un animale assai serio e riservato, nulla di tutto ciò si può dire dei Pappagalli. La natura ha dotato i Pappagalli di un becco adunco d’acciaio duro, perché possano ben triturare le loro vittime. Da ogni ramo, sulle cime degli alberi, ogni Pappagallo cominciò a spettegolare col dirimpettaio, per farsi sentire da tutti.
− Questa di Evaristo− disse Becco Verde − è stata sempre una famiglia davvero bizzarra. Vi ricordate di Evarista, la sua prima cugina? Si era messa con un Merlo e andava dicendo che un giudice le veniva dietro. Se poi uno le chiedeva conto del becco piccolo e giallo del Merlo, Evarista diceva con convinzione che era a causa del fatto che il Merlo apparteneva all’Alta Corte.
Ora era la volta di Narciso Arcobaleno, che dopo essersi ammirate in uno specchietto le penne della coda, si affacciò a dire
− E allora che dovremo dire del Beato Cocorito, zio di Evarista, quello che voleva far volare le Scimmie con le preghiere, perché divenissero uguali a noi?
Il professor Penneasciutte benevolo ricordò il dottor Sottilbecco, lontano parente di Evaristo, che aveva studiato all’estero e pubblicato il saggio Pappagalli e Scimmie Insieme per un Futuro nella Imitazione.
I Pappagalli andarono avanti così, per ore e ore, il battere e lo stridere dei loro becchi pareva una orchestra di acuti martelletti.
Arrivò il tramonto di quel giorno di sole sul branco degli Elefanti e poi finì anche la tiepida notte che spegne dolcemente i sospiri. A metà del mattino seguente, la ghirlanda di fiori si posò sul capo di Ariosta, ma questa volta non si riscosse sorpresa come il mattino del giorno prima. A bagno nell’acqua, infatti, Ariosta aveva viste riflesse le ali di Evaristo aprirsi da un alto albero e planare lentamente sul suo capo con un cerchio di petali intrecciati tenuto nel becco.
− Una corona per voi, mia piccola regina− sussurrò Evaristo a una delle grandi orecchie di Ariosta.
L’Elefantessa non trovò cosa rispondere, era una situazione davvero insolita, come ci si deve comportare in un caso del genere? Come tutti sanno, gli Elefanti hanno regole precise per ogni circostanza. Nessuno ha mai visto un Elefante improvvisare o comportarsi in modo insolito. Un branco di Elefanti è come un club esclusivo, non ci entra se non si è Elefanti da sempre. Mai si è visto un Elefante correre dietro a un altro animale e neppure salutarlo in verità. Il fatto è però che agli Elefanti succedono sempre le stesse cose, mentre questo intervento di Evaristo era un caso davvero imprevisto, una situazione imbarazzante.
Che strano comportamento, pensava dunque Ariosta. E poi perché proprio con me? Certo che quel suo corto strascico variopinto gli dà un’aria regale, che sia dunque un principe in incognito?
L’Elefantessa in verità ancora non sapeva come comportarsi, se tacere e allontanarsi indignata o rispondere con ferma cortesia. Gli Elefanti vengono guidati in ogni circostanza dalle regole dell’istinto loro proprio, ma dove ti può portare l’istinto quando hai a che fare con un Pappagallo? Non c’erano precedenti. Alla fine si disse che doveva tenere un comportamento riservato, si alzò lentamente dall’acqua con tutta la dignità che poté e si diresse a riva. Si era già quasi pentita e stava per voltarsi quando un tremendo barrito la fece sussultare.
− Mai che sia una maledetta volta che uno possa restare tranquillo allo stesso posto − era il capobranco degli Elefanti che imprecava dando una zampata al tronco dal quale aveva strappato l’ultimo germoglio a tiro di proboscide.
Ariosta rabbrividì nel sentire quel barrito, era dunque tempo che tutto il branco si partisse dal Lago, i germogli da mangiare erano finiti. Il capobranco si mise in marcia per primo, un barrito, due colpi di proboscide nell’aria e via. Poi ad uno ad uno gli Elefanti voltarono le spalle al Lago e si mossero per il bosco dietro al capobranco. Si mosse per ultima Ariosta, ma con uno strano passo, a tratti si fermava e apriva le grandi orecchie a voler cogliere un fruscio. poi si girava fingendo di volersi strofinare su un tronco per asciugarsi la pelle ancora bagnata. Alla fine, per non perdere di vista il branco, Ariosta si rassegnò a trotterellare diritta con la proboscide a terra. L’Elefantessa procedeva in silenzio, quando un germoglio, riscaldato dalla luce del sole caldo, si posò sulla sua schiena e le diede un brivido di piacere. Poi un altro germoglio seguì il primo e altri ancora e altri ancora: Evaristo l’aveva seguita e spezzava i germogli in cima agli alberi, dove il sole e più caldo, per deporli sulla schiena di Ariosta. All’inizio Ariosta sorrideva in silenzio e questo fu sufficiente, ma poi l’Elefantessa non seppe resistere e volta ad Arcobaleno, che le era davanti appollaiato su un ramo, queste parole gli disse
− Signor mio Pappagallo, visto che insistete a seguirmi, non vorreste togliermi questo insetto conficcato tra le pieghe della pelle dietro il mio orecchio sinistro?
Il Pappagallo volò dolcemente dietro l’orecchia di Ariosta fino a sparirvi. Ariosta sentiva le morbide piume e il becco sottile sulla sua pelle e sospirò per una sensazione di lievi brividi. La prossima volta devo asciugarmi meglio dopo il bagno, si rimproverò.
Il Pappagallo uscì da dietro l’orecchia di Ariosta non senza qualche rimpianto. Ariosta lo vedeva volteggiare sulla sua testa, fingendo indifferenza, ma alla fine si risolse a parlargli ancora.
− Ora con questo non vorrei che pensaste che io ho una qualche inclinazione per voi, signor mio cocorito, purtuttavia poiché vedo che vi compiacete di girellarmi attorno e riempirmi la testa di gusci di noccioline, non vi parrebbe di usare meglio il vostro tempo se mi spezzaste una mezza noce di cocco, con la quale io potrei rasparmi un poco le pieghe della pelle?
− Oh− le rispose il Pappagallo− vi rassoderò ben bene mia signora, lasciate fare a me ogni cosa.− E così detto il Pappagallo spezzò una noce di cocco e con un pezzetto tagliente nel becco prese a rasare e raspare la pelle dell’Elefantessa, girandole attorno in cerchi verticali sulla schiena e sulla pancia, con questo provocandole ancora più di un brivido sottile e una consunzione simile a quella che deve provare il formaggio sulla grattugia.
Da allora in poi, quando Ariosta si lamentava per il caldo, Evaristo volava alto e soffiava su una piccola nuvola fino a portarla sopra l’Elefantessa per farle ombra. Gli altri Elefanti del branco per qualche tempo non fecero che lamentarsi, perché non si capiva dove finissero le noccioline che sparivano, ma poi lasciarono correre.
La tribù dei Pappagalli prese la partenza di Evaristo con spirito pratico. Meno Pappagalli siamo più noccioline ci sono, fu il commento di tutti. E questo pose fine al loro spettegolare per il momento.