Ciccio, il bambino poverello

Fiaba pubblicata da: emilio grimaldi

C’era una volta un bambino poverello che andava ogni mattina a scuola a piedi. La sua casa era distante circa 3 chilometri e Ciccio li faceva guardando di qua e di là. I genitori erano poveri.

Il padre non lavorava da molto tempo e la mamma si inventava ogni giorno qualcosa di buono da cucinare per tutta la famiglia. Erano cinque figli. Tutti grandi. Avevano 18, 17, 16, e 14. Ciccio era il più piccolo, e aveva solo sei anni. Quando venne al mondo fu una sorpresa per tutti. Per i genitori per primo, e poi per gli altri che non si aspettavano che i Siciliano desiderassero un altro figlio data la difficoltà di trovare lavoro per il papà. Era muratore, carpentiere e anche giardiniere. Faceva tante cose ma nessuna in quel periodo faceva stare tranquillo lui e la sua famiglia. E meno che meno poteva permettersi un’automobile per accompagnare quel figlio portato dalla cicogna per caso ma proprio per questo voluto più bene degli altri.

Era il mese di gennaio e faceva molto freddo. Lui indossava una giaccone lungo lungo. Prima di lui era stato dei suoi fratelli e adesso era suo. Ma gli stava grande. L’orlo di sotto doveva stare sotto le ginocchia e invece gli toccava quasi le scarpe. Anche queste malconce. Avevano un buchetto a ridosso del mignolo. Sia a destra che a sinistra. E Ciccio faceva attenzione a ritirarlo sempre dentro altrimenti il freddo dal mignolo passava alle altre dita dei piedi. Poi dai piedi alle gambe. E dalle gambe alla pancia e alle braccia, gli raccomandava la mamma. Ogni passo lo spingeva all’indietro.

I compagni di scuola accompagnati dai genitori, invece, sfrecciavano con le loro macchine sulla strada e dal finestrino ogni mattina gli davano il buongiorno. “Scarpetta bucata”, “Ci sono i lupi, stai attento”, oppure i più cattivi gli lanciavano i resti dei frutti o le confezioni dei biscotti che sgranocchiavano in auto.

Ma lui era non era triste. Quel viaggio era una continua scoperta. Dagli alberi che giorno dopo giorno gli regalavano colori e profumi diversi. Dal verde e dal giallo e rosso della primavera al marrone dell’autunno. Ma anche l’inverno aveva i suoi colori. Il griglio e il blu del cielo riflettevano sui tronchi soprattutto durante le ore mattutine. E poi gli odori copiavano un po’ i colori. Più colorata era la stagione più profumi regalava. Naturalmente anche la brutta stagione aveva i suoi profumi. La terra, per esempio, non tutti sanno che profuma. Quando piove il suo odore impregna ogni angolo del mondo circostante di acqua e vita.

Ogni mattina la stessa storia. I compagni si divertivano a prenderlo in giro. E lui che non ci badava più di tanto. Anzi, ne approfittava per vedere e sentire sempre lo stesso mondo ma ogni giorno più ricco e forse più bello del precedente.

Una mattina Ciccio andava per la sua solita strada verso la scuola. Da lontano intravide una macchina ferma. Immaginava fosse quella di qualche suo amico, ma non sapeva di chi. Man mano che si avvicinava la sagoma dell’auto prendeva sempre più forma. E anche gli occupanti. Il padre e il suo piccolino. Era Salvatore, proprio quello che gli buttava i bozzoli delle mele. Erano indaffarati a farla ripartire. Dall’auto fuoriusciva del fumo che inquinava l’armonia della natura e sciupava l’arcobaleno in bella vista agli occhi di Ciccio.

Quando lo incrociò, Salvatore non resistette alla tentazione e anche quella mattina gli buttò la buccia di una banana. Ciccio non rispose alla provocazione. La prese e la depositò vicino al tronchetto di un arbusto di alloro che in quel punto fungeva da siepe tra la strada e la casetta vicina.

Salvatore gli chiese: “Che fai?”

E Ciccio rispose: “Lo sai che le bucce sono il cibo prelibato delle piante? Hanno già la terra ma ogni tanto come noi hanno bisogno anche di un po’ di carne.”

“Ma che dici? Le bucce come carne… per le piante…”

“E’ vero. E sono sicuro che quando saremo più grandi anche le maestre ce lo insegneranno.”

“E come fai a saperlo prima allora?”

“Perché me lo ha detto il mio papà che ama le piante.”

“Non ci credo!”

“Vuoi vedere?”

“Cosa?”

“Come si distinguono le piante che hanno mangiato carne dalle altre?”

“E va bene!”

“Per farlo però devi venire a scuola con me.”

“A piedi?”

“Sì.”

“Ma sei pazzo?”

“Fa come vuoi,” rispose Ciccio un po’ infastidito.

Salvatore provò ad aiutare il padre ad aggiustare il motore, ma inutilmente. Si era rotta la vasca del dell’olio e mai l’avrebbero potuta rimettere a posto. Era necessario il trasposto con il carro attrezzi in un’officina per rifarla funzionare.

Dopo un po’ Salvatore si convinse e raggiunse Ciccio che aveva già fatto già centro metri.

Erano vicini vicini adesso e il poverello raccontava al piccolo ricco dei colori che in quel mese di gennaio la natura sprigionava. Quali i profumi. E soprattutto quali gli alberi, i fiori o le semplici piante che avevano mangiato più carne e che anche durante la fredda stagione sembravano effettivamente più forti e più promettenti per la prossima primavera.

Salvatore rimase affascinato da tanta bellezza. Ringraziò Ciccio di avergli fatto passare una insolita  mattinata.

E il giorno dopo fu tutta la classe ad accompagnare Ciccio da casa a scuola.

Era come se il poverello avesse arricchito quelli che si illudevano di esserlo già.

Una favola per Elisa



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