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Il regno di Sgrammatica

Fiaba pubblicata da: Alessandro Gioia

Nel paese di Sgrammatica, i guardiani con le zucche come testa,
da mesi già facevano gran festa, e non per via del calendario.
Era stato abolito in tutto il regno il famoso dizionario.
“Non si usa percké è pezante e ci si stanca bresto!”

Questa la grande scusa che, con un annuncio pieno di errori, usarono a pretesto.
Chi scriveva emozzione con due zeta era ben voluto.
I congiuntivi si usavano oramai di nascosto, persino in uno scantinato.
E per leggere in segreto si usavano candele al profumo di vaniglia.

Ogni libro che si restituiva, come premio due barattoli di miele d’ape.
A molti sgrammatichesi conveniva: ” Meglio miele che passar leggendo le serate.
“Qual’ è” con l’apostrofo era di moda, chi lo usava spesso vinceva dei gran balocchi:
orsacchiotti , carillon e soldatini di legno antico, poi triciclo e biciclette di color pistacchio.

Accade dopo un po’ di tempo una strana cosa: a furia di parlare strano nessuno li capiva
e rimasero da soli, la città ormai sfiorita perse ogni iniziativa.
Furono costretti a riaprire il Museo dei Libri per studiare un’altra volta.
Tutte le lettere dell’alfabeto, i verbi e le coniugazioni, così il troncamento e l’elisione
respirarono un bel poco, persino le più ignorate: le preposizioni articolate.
“Tutt’al più” ritornò al suo posto, come sempre, e meno male che fu così deciso,
persino i signor Accenti Acuto e Grave fecero pace, poi ognuno dove conviene, e senza confusione.
E in cucina il ritorno all’ordine fu seguito: la mozzarella sulla pizza e lo zafferano nel risotto, e fusi di pollo al peperone.



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