La volpe, la mosche e il ricchio

La volpe, la mosche e il ricchio

Fiaba pubblicata da: Redazione

Sulle piaghe e sul sangue una ferita
Volpe, dei boschi vecchia abitatrice,
fuggendo, si traea quel parassita,
che in linguaggio volgar mosca si dice.

Ed accusava col destin gli dèi,
che a quella fin volesser condannarla…
È dura, che una Volpe come lei
dovessero le Mosche anche mangiarla!

– A sciami ecco si gettano, – dicea, –
su me, che son dei boschi la padrona,
e Dio la coda inutilmente crea,
se di cacciarle adesso non son buona.

È dunque questa coda inutil peso?
Oh! maledica il ciel questo importuno
animal, che ti succhia il corpo offeso
e dovrebbe succhiare un po’ per uno -.

Rispose al malinconico lamento
un nuovo personaggio, il Riccio, il quale
d’infilzare si offriva a cento a cento
le Mosche colla punta dello strale:

– Poveretta, così libero te
da queste bestie che non han pietà…
– No, no, se tu lo fai, povera me! –
gridò la Volpe, – lascia, in carità…

lascia che mangin queste che son piene;
se le cacci dal corpo mio piagato,
un altro sciame subito ne viene
più feroce che ancor non ha mangiato -.

Aristotele aggiunse un po’ di frangia
a questa fiaba e disse per morale
che il mondo è pien di gente che ci mangia,
cortigiani, avvocati e gente tale,
che nel paese nostro mangian meno
solo quando ciascuno ha il ventre pieno.



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