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Tutte le fiabe che parlano di "pescatori"

La più completa raccolta di fiabe, favole e racconti brevi che parlano di "pescatori", tra le migliaia inviate da tutti gli autori di "Ti racconto una fiaba".

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Pescatori di perle

Nella lunga notte sotto una grande luna. Silenti barche, navigano con vele bianche. In silenzio la ciurma attende le reti. In mare getta e tende. Sarà preziosa la pesca. Ognuno da quel che sa dare.… Pescatori di perle

pescatori di perle

Pescatori di perle

Nella lunga notte sotto una grande luna. Silenti barche, navigano con vele bianche. In silenzio la ciurma attende, le reti In mare getta e tende. Sarà preziosa la pesca, Ognuno da quel che sa dare.… Pescatori di perle

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Il mare

Il Mare era di buon animo. Era calmo. Rideva. Giocava con la misteriosa luna tirandosi su e lasciandosi cadere giù. Il sole lo colorava di cento colori e delle fasce d’argento lo facevano prezioso; ed ora il mare voleva che tutti gli entrassero dentro… .che giocassero con lui. Ormai erano giorni che non era più arrabbiato. Accarezzava all’ancora le barche abbandonate. Voleva essere amato. Capito. Rispettato.

Voleva essere capito innanzitutto! Rispettato quand’era arrabbiato! Lo aveva sempre detto, raccomandandosi al buon senso. Quel giorno aveva pianto a lungo. Per un’ intera notte! e poi ancora altre notti.

Il mare

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Il figlio del mare

In un paese lontano, sulle rive del grande oceano, i pescatori con le loro barche affrontavano ogni giorno le onde minacciose per pescare un po’ di pesce.

Con loro partiva sempre Medjo un giovane dai capelli rossi, forte e coraggioso che i pescatori avevano soprannominato “Figlio del mare”.

Medjo non aveva una barca sua e il suo sogno più grande era proprio quello di possedere un veloce battello da pesca tutto suo per affontare da solo il mare aperto.

In attesa che questo sogno si avverasse, egli seguiva i pescatori in mare, li aiutava a tirare su le reti cariche di pesci, oppure scompariva tra le onde nuotando sempre più lontano dalla riva.

Il figlio del mare

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La festa dei morti // Giovanni Verga

Nella collina solitaria, irta di croci sull’occidente imporporato, dove non odesi mai canto di vendemmia, né belato d’armenti, c’è un’ora di festa, quando l’autunno muore sulle aiuole infiorate, e i funebri rintocchi che commemorano i defunti dileguano verso il sole che tramonta. Allora la folla si riversa chiassosa nei viali ombreggiati di cipressi, e gli amanti si cercano dietro le tombe.

Ma laggiù, nella riviera nera dove termina la città, c’era una chiesuola abbandonata, che racchiudeva altre tombe, sulle quali nessuno andava a deporre dei fiori. Solo un istante i vetri della sua finestra s’accendevano al tramonto, quasi un faro pei naviganti, mentre la notte sorgeva dal precipizio, e la chiesuola era ancora bianca nell’azzurro, appollaiata come un gabbiano in cima allo scoglio altissimo che scendeva a picco sino al mare. Ai suoi piedi, nell’abisso già nero, sprofondavasi una caverna sotterranea, battuta dalle onde, piena di rumori e di bagliori sinistri, di cui il riflusso spalancava la bocca orlata di spuma nelle tenebre.

La festa dei morti // Giovanni Verga