Il principe, la fata e l’orto magico
Fiaba pubblicata da: losurdo21
C’era una volta un principe che viveva da solo in un meraviglioso castello ai margini del bosco. L’intera costruzione era avvolta di verde durante il giorno e di nero nel corso della notte. La zona non esisteva sulle mappe al punto che pareva sospesa tra il cielo e le colline. Il posto ideale per uomini e animali che lo raggiungevano volentieri per riposare senza essere disturbati.
Il principe abitava in quel luogo da quando i genitori lo avevano messo al mondo e per lungo tempo lui era stato coccolato da mille attenzioni. Ma dopo che loro si erano trasferiti per motivi di lavoro, era rimasto solo come un eremita. Ben presto la noia lo aveva reso triste al punto che lui contava le ore che pesavano come macigni.
Giornate inutili senza l’amore di una principessa o l’allegria dei giullari.
Giornate deludenti senza la fedeltà della servitù o la forza di un esercito.
Nonostante tutto però lui era felice e considerava la libertà come un bene prezioso da difendere ad ogni costo.
Nelle stagioni di mezzo quando presso il castello giungevano i viandanti da mille cantoni, il principe li riceveva ben contento di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno.
Per rendersi finalmente utile.
Per godere della meritata compagnia.
Allora metteva a disposizione le stanze del castello per accogliere i nuovi venuti e riempiva la dispensa di generi alimentari per soddisfare le prime necessità. Brocche d’acqua fresca e botti di vino dell’ultima vendemmia alleviavano la sete e tutti godevano del trattamento amorevole. Per questo lui non chiedeva sacchi di denaro in cambio, ma solamente sorrisi sinceri e strette di mano amichevoli.
Quando i forestieri lasciavano il castello ringraziandolo per l’ospitalità lui tornava alla vita di sempre, turbato per il fatto di restare ancora una volta da solo. Ma con il cuore gonfio di speranza in attesa che qualcuno potesse bussare di nuovo alla sua porta.
A ridosso della valle e nelle contrade confinanti tutti lo consideravano uomo dalle mille premure, al punto che con il passare del tempo fu soprannominato “Il Principe Gentile”.
Eppure lui restava sempre la persona umile e sincera che sorrideva con gli occhi ad ogni sfida della vita.
Per questo la mattina si alzava di buon’ora e dopo aver preso con sé un sacco e un’ascia, si recava nel bosco per fare provvista di legna da ardere e rifornimento di verdure e cacciagione. Durante le escursioni non dimenticava pane bagnato, pezzetti di carne e frutta per i piccoli amici. E appena gli animali lo vedevano arrivare, scendevano dagli alberi e uscivano dalle tane per andargli incontro. Ben presto iniziava una festa fuori programma che aveva inizio all’alba e terminava al tramonto. Proprio quando l’ultimo raggio di sole si nascondeva dietro la montagna per non farsi trovare.
Una volta il principe aiutò un cucciolo di cerbiatto caduto nella trappola di un terribile boscaiolo dalla barba incolta. Il giorno seguente presso il pesante portone del castello, il giovane trovò una foglia gigante contenente delle bacche dal succo violaceo. Qualcosa che dopo essere spremuto, avrebbe assicurato un dolce nettare da gustare.
Più gradevole di un vino rosso fruttato.
Di certo un regalo meritato per una persona con il cuore grande, che contagiava con la sua bontà la gente incontrata lungo la strada.
Durante la settimana il ragazzo impegnava il tempo libero svolgendo lavori di manutenzione del castello. Bisognava infatti sostituire alcuni vecchi chiodi coperti di ruggine, potare i rovi che intralciavano il passaggio e controllare il tetto per evitare infiltrazioni di acqua piovana.
Ma la cosa alla quale il Principe Gentile dedicava le energie maggiori era la cura dell’orto.
Quel mondo variegato di colori effervescenti, utili a nutrire lo sguardo e donare nuovi aromi all’olfatto.
Un piccolo angolo di terra fertile che lo rendeva fiero del raccolto, quando l’evento più atteso dell’intera stagione si manifestava sotto forma di un miracolo della natura. Carote, pomodori, melanzane, patate e perfino qualche radice avrebbero fatto bella mostra sui tavoli di legno degli immensi saloni del castello. Le verdure sarebbero state conservate in semplici barattoli di vetro, gelosamente custoditi nelle dispense.
Per essere gustate nel momento del bisogno.
Per finire sapientemente cucinate durante gli inverni più freddi.
Come avevano fatto in tempi antichi le persone che lo avevano preceduto. Come amava fare lui da quando era divenuto Principe della Contea.
Nella vita del ragazzo tutto andava a meraviglia fino a quando durante un giorno di ottobre, scoppiò un temporale malefico.
Una violenta tromba d’aria spazzò via qualche vecchia tegola dal tetto del castello. I fulmini caddero dentro al bosco scatenando un incendio improvviso, mentre gli oggetti iniziarono a rotolare travolgendo l’intera zona. I tuoni parevano colpi di cannone che si perdevano in lontananza facendo fuggire gli animali terrorizzati.
Il principe aveva terminato di raccogliere i cetrioli, quando udì una vocina sottile che chiedeva aiuto. Lui mostrò un coraggio invidiabile sfidando le intemperie, ma impiegò molto tempo per capire da dove giungesse il lamento. Dopo una manciata di minuti il giovane si trovò di fronte ad una creatura distesa nel fango, che si dimenava per liberare le zampe e le ali dalle pozzanghere scure. Il piccolo corpo sembrava prigioniero di una macchia di sabbie mobili che lo tenevano intrappolato.
In quell’istante lui aveva bisogno di ragionare in fretta per decidere sul da farsi. Ma l’intensità della pioggia lo consigliò a prendere la fanciulla alata tra le braccia per condurla al riparo.
Lei sembrò sul punto di svenire, forse per la fame o per la paura della situazione. Magari per entrambe le sensazioni, qualcosa che andava oltre le possibili scelte di sopravvivenza.
“Grazie mi hai salvato la vita”, disse la giovane libellula dalle sembianze umane due ore dopo, mentre si sedeva di fronte ad un vassoio di frutta variopinta. “Se non ci fossi stato tu, il gigante cattivo mi avrebbe imprigionata in un luogo lontano da qui e nessuno mi avrebbe trovata per il resto dei giorni”. “Come hai fatto a smarrire la strada?”, domandò il ragazzo con un’espressione colma d’interesse. “Non riesco a ricordarlo. Ora in seguito a questa brutta avventura, credo di aver perso per sempre i miei poteri!”. In poco tempo lei si addormentò coperta di un minuscolo pezzo di stoffa a quadri e scivolò in un sonno profondo. Durante la notte per fortuna non sognò nulla che potesse farle rivivere la brutta avventura che le era capitata, ma riuscì a riposare recuperando le forze smarrite.
La debole fiammella della candela che le faceva compagnia presto si consumò e lei restò al buio della stanza con la finestra chiusa e la porta aperta.
Ogni due ore il principe faceva capolino al suo cospetto e il lieve dormiveglia dimostrava che tutto andava per il verso giusto.
Con il passare dei giorni e dei mesi gli sforzi della dolce fanciulla per aiutare il principe con le sue formule risultarono inutili. I rituali di magia non funzionavano e la delusione per non poter confortare il suo amico cominciava a serpeggiare tra i saloni del castello. Lei appariva sconsolata e quasi sul punto di scoppiare a piangere, ma si tratteneva solo per non dare ulteriori dispiaceri all’uomo. Proprio lui che l’aveva accolta nella sua reggia come fosse la più desiderata delle principesse.
Quando arrivò il giorno del nuovo raccolto, il principe e la fata uscirono dal castello danzando allegramente, ma giunti nelle vicinanze dell’orto trovarono una spiacevole sorpresa. Durante la notte il terreno si era inaridito, le foglie erano cadute dalle piante e la verdura che di solito cresceva in abbondanza giaceva priva di vita.
“Forse non c’è stata acqua a sufficienza”, spiegò la libellula cercando di incoraggiare il principe, “domani andrà sicuramente meglio”. Lui aveva perduto ogni parola e se ne stava per conto suo, con lo sguardo perso nel vuoto e le braccia ciondolanti lungo i fianchi.
Quasi senza fiato e di certo senza forze.
Tornati al castello i due giovani si addormentarono con il cuore gonfio di desideri. Ma nel sonno il principe sognò il gigante cattivo che gettava un maleficio sull’orto e il suo riposo non trovò pace.
Una serie di incubi e sortilegi piombarono nella camera da letto stravolgendo una notte priva di luna. Una notte senza stelle, sguardi di gatto e lamenti di streghe. Una notte che tutti ingannavano a costo di vagabondare senza sosta fino all’arrivo della prossima stagione.
All’alba le finestre si spalancarono nella speranza che il panorama potesse offrire uno spettacolo migliore del giorno prima. Magari le verdure sarebbero tornate al loro posto per invitare al raccolto. I cesti dei contadini delle contrade vicine si sarebbero riempiti in fretta e al mercato della domenica tutti avrebbero proposto un baratto conveniente.
Purtroppo però il sogno fu destinato a sgretolarsi come una manciata di coriandoli.
Un grido riempì il silenzio del castello e quando il principe si avvicinò al vetro, capì il motivo di tale spavento. Dove c’erano gli ortaggi, si notavano solamente gruppi di pietre deformate e il terreno intorno era bruciato. Una devastazione incalcolabile che non poteva essere stata commessa in così poco tempo da una sola persona, per far dispetto o perché non si aveva nulla di meglio da fare.
Come se qualche ora prima birbanti e briganti avessero deciso di inventare uno scherzo di cattivo gusto, distruggendo ciò che il principe da sempre aveva a cuore.
Il suo meraviglioso orto.
Da quel momento in poi lui decise di sbarrare le finestre con assi di legno spesse e chiodi robusti. E il castello restò completamente al buio in una desolazione che avvolgeva le pareti e faceva sembrare tristi anche mattoni e candele.
I lampadari giacevano immobili contro un soffitto grigio, i quadri precipitavano a terra frantumandosi in mille pezzi.
Un clima di rassegnazione che non si era mai vissuto da quelle parti e che nessuno ricordava di aver sopportato.
La dolce libellula avrebbe fatto qualsiasi cosa per disegnare il sorriso sulle labbra del principe. Magari con una matita dal tratto sottile, oppure con un colore indelebile che restasse per sempre.
Ma il poveretto era distrutto nell’anima e nello spirito e non c’era nulla che lo potesse condurre alla ragione.
Nemmeno un nettare prezioso versato in una brocca d’argilla.
O una fetta di pane abbrustolito insieme ad una palla di formaggio.
Neppure un mazzo di profumati fiori di campo legati con un laccio di spighe.
Per dieci giorni il ragazzo si rifiutò di mangiare e dormire. Nessun bicchiere d’acqua si avvicinò alla sua bocca. Sul viso spuntò una barba incolta come un rovo di spine e il corpo cominciò a sprigionare cattivo odore, condannandolo ad un prurito insopportabile. Lui cacciava via quelli che avrebbero voluto offrirgli una parola di conforto. L’unica occupazione che lo teneva impegnato durante il giorno era fissare un soffitto di ragnatele.
A quel punto la fanciulla capì che doveva trovare un rimedio nel minor tempo possibile.
Una notte mentre il principe sfogava il dolore versando un mare di lacrime in una stanza fredda, lei uscì dal castello e cominciò a canticchiare una canzoncina che si perdeva nel silenzio intorno al bosco. Dopo alcuni minuti addosso al suo vestito candido si posò una coccinella, poi un’altra e un’altra ancora. Infine l’aria fresca si riempì di decine di coccinelle che formarono una nuvola di panna colorata, volando fino a dove una volta c’era stato un orto prezioso. Purtroppo le coccinelle da sole non sarebbero riuscite a migliorare la situazione, allora la libellula provò a muovere le ali delicate disegnando infiniti squarci di luce. Subito le rocce si alzarono da terra in mille frammenti confusi, lunghi ciuffi d’erba ricoprirono le zolle circondandole con solide radici e la natura riprese il ciclo naturale.
“Vieni con me.” disse la creatura liberando il principe dal suo immenso dolore, “Devo farti vedere una cosa che ti stupirà, rendendoti felice per il resto della vita”. Quando lui scoprì i colori e la forza di quella verdura gigante, cominciò a saltellare pazzo di gioia e in poco tempo il castello tornò ad essere un luogo sereno.
Pieno di petali profumati e riflessi stupendi che si riflettevano dentro gli specchi dei saloni. Di musica arpeggiante e dolci frasi d’amore cantate dai giullari.
I festeggiamenti voluti dal principe durarono per un mese intero, coinvolgendo gli abitanti dei paesi vicini in gare e staffette con tanti premi per i partecipanti. Grandi e piccini si trovarono a respirare insieme il clima di allegria che per troppo tempo era venuto a mancare.
La fiaba fa parte della raccolta “Le storie di Simal” di Alessandro Biagini