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L’orgoglio e la superbia

L’orgoglio e la superbia

C’era una volta, sotto un rigoglioso bosco, un fiorente villaggio abitato da folletti magici. Vivevano tutti quanti allegramente in compagnia guidati dal loro maestoso re. Solo un folletto viveva distante dagli altri, il Folletto Dispettoso. Un tempo era considerato da tutti un eroe, per le sue numerose gesta, ma la sua superbia e la sua arroganza lo portarono su un’altra via, tuttavia il destino aveva altri piani in serbo per lui.

Una notte, l’allarme del villaggio suonò. “Mio re! Mio re!”, il messaggero gridava correndo verso il palazzo, arrivatoci venne accolto e fatto accomodare: “Che

succede?” disse il re. “Un’enorme minaccia incombe sul villaggio, mio re…” “Non lasciarmi col fiato sospeso: parla!” l’elfo prese un respiro e con voce flebile rispose: “Mio re, un Castoro, grande quanto cento foletti, ci sta raggiungendo… e ha bisogno di sfamarsi”. Il re, sbalordito, dopo un attimo di silenzio ribatté: “Fai evacuare tutti, raduna le truppe e falle schierare

davanti alle porte. Siamo in stato d’allarme”.

Il mattino seguente regnava il silenzio, nessuno fiatava, erano tutti terrorizzati. Anche il Folletto Dispettoso era venuto a conoscenza dello stato di emergenza. Per troppo tempo il suo lato cattivo aveva dettato legge, questa volta fu il suo cuore a decidere per lui, lasciando che la parte combattiva e coraggiosa venisse fuori. Durante uno dei

suoi precedenti viaggi in superficie, aveva conosciuto una saggia lucertola, famosa nel bosco per i suoi poteri magici. Lei sicuramente aveva la soluzione per sconfiggere                                      il                                      Castoro Mangiafolletti. Così, il pomeriggio stesso si incamminò. Sapeva che per  arrivare  lì  in cima doveva

passare per il tunnel dei vermi, superare il labirinto delle formiche e attraversare il Fiume Senza Fine.

Camminando pensava:”Cosa ne sarà di me? Cosa penseranno di me? A loro importa di me?” Il desiderio della gloria iniziava a bussare al suo cuore, voleva ritornare ad essere il migliore del villaggio. Ma tutto d’un tratto le sue supposizioni vennero interrotte dalla comparsa di una banda di vermi. Eccolo, in tutta la sua grandezza, il tunnel:”Che ci fai da queste parti folletto? Da qui non passano molti visitatori…” Un verme domandò. “Devo raggiungere la superficie per arrivare dall’anziana lucertola

perché ha un’arma per sconfiggere il mostro che vuole distruggere la nostra fiorente città.” Gli rispose il Folletto. Con tono da sbruffone, un altro dei vermi gli disse.” Ah sì? Te vuoi passare? Se vuoi salire in superficie dal nostro tunnel dovrai prima vedertela con noi.” Scelta sbagliata, l’eroe Folletto richiamò dal profondo la grinta e la combattività che da tempo erano state rinchiuse. E allora, con la mano piena di calli, prese un arco appeso alla sua spalla sinistra e una freccia dalla faretra che aveva dietro la schiena. Uno dopo l’altro caddero a terra i vermi, storditi dai colpi, e troppo velocemente si avvicinarono ai piedi dell’eroe chiedendogli perdono. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Il Folletto li guardò negli occhi e

ridendo sguainò fuori la sua spada, la paura fece riprendere i sensi ai vermi che scapparono via. Sventato quindi il pericolo, il guerriero ripose le sue armi e con tranquillità entrò nel tunnel. Durante il tragitto ripensò al suo glorioso passato:”Mi mancano i numerosi banchetti tenuti in mio onore e le ricompense che ricevevo ogni volta. Mi manca la mia vecchia casa dove ogni abitante del villaggio veniva a trovarmi per ringraziarmi del lavoro svolto per la comunità, omaggiandomi con doni di ogni tipo. Ma soprattutto l’ammirazione che gli altri provavano per me”. Sebbene la sua parte umana stava venendo fuori, la sua parte oscura prevalse:”No, io sono il folletto più meritevole di tutti e questo quindi mi spetta di diritto. Rispetto agli altri, io sono un vero duro”. Arrivato dalla parte opposta, scoprì che c’era un’altra inaspettata sorpresa: si ritrovò di fronte alla dimora delle formiche magiche. L’unica differenza tra le formiche normali e loro era la dimensione: questi insetti neri erano più grandi del normale. Rimanevano però sempre piccine piccine. Se lui si trovava davanti alla

casa delle formiche, voleva dire che si trovava nell’ultimo strato del terreno e questo significava che dopo sarebbe giunto in superficie. Il Folletto Dispettoso prima di entrare in quel piccolo grande mondo, lesse l’insegna posta lì all’ingresso:”Perdete ogni speranza o voi ch’entrate”. L’Eroe Folletto rimase sì spiazzato da quelle parole, ma gli crearono anche una fastidiosa sensazione di dejavù. Si fece forza ed entrò. Passavano i minuti, passavano le ore. Mesi? Anni? Chi lo poteva sapere? Era impossibile arrivare in superficie: ogni tanto vedeva dei gruppetti di formiche passare, quindi decideva di seguirli. Piccole, sì, ma veloci come la peste. Svoltavano prima un angolo, poi un’altro, e il Folletto si trovava ancora da solo. Non c’era più niente da fare. Aveva fatto tutto per niente. “Oh, per la barba del grande re, sono rovinato. Quale onore, quale gloria, quando tornerò al villaggio sarò chiamato lo scemo del paese. Ma non può accadere tutto ciò, il villaggio sarà distrutto dal Castoro. Io poi come ci torno al villaggio? Ci sarà mai una via d’uscita? Ho fallito”.

Ma quando tutto sembrava ormai perduto, eccola lì, la sua salvatrice.

Una piccola formica, ancora più minuta delle altre per la sua giovane età, gli si avvicinò in modo gentile ed educato e gli chiese:”Tu sei un forestiero? Ti sei perso? Hai bisogno di un aiuto per uscire ed arrivare su in superficie?” Il Folletto, disperato, scoppiò a piangere:”Sì devo arrivare lassù”. Farfugliò. La formica si inchinò e guardò

l’eroe: quest’ultimo saltò sulla schiena della sua nuova amica, si asciugò le lacrime e sorrise, una nuova parte del viaggio era iniziata.

Dopo qualche centinaia di giri, i due arrivarono alla fine del formicaio. “La capanna della saggia lucertola è ormai vicina”. disse il Folletto. Prima di andarsene abbracciò la formica e le propose:”Ti senti in grado di continuare l’impresa insieme a me? Saremmo una grande coppia tu ed io! Io sarei il cavaliere e tu il mio destriero, che ne dici?” La formica, senza neanche pensarci, accettò la sua proposta.

E al villaggio?

Al villaggio si respirava un’aria di terrore, l’evacuazione non era andata a buon fine, c’era stato un incendio che aveva rallentato di troppo i tempi e quindi mandato in fumo tutta l’operazione, di conseguenza decisero di aspettare il mostro lì dentro il villaggio. E aspettarono, e aspettarono, e aspettarono. Niente di niente. “Magari ha cambiato meta” si diceva. E l’allegria tornò dopo poco. E partì poco dopo. Un urlo a mezzanotte, “Eccolo! Eccolo!”. Le porte vennero chiuse, ma i soldati non erano

abbastanza coraggiosi per uscire. Qualcuno fece il suo nome:”Il Folletto Dispettoso, lui ci sa fare coi mostri”. Ma dove era finito?

“Ah, che bella la luce. Che buona l’aria che si respira qui in superficie. Ogni volta che torno qui mi meraviglio sempre di più”. Basta stupore, ora è il momento di entrare in azione. Il Folletto teneva per mano la formica, lei era abbastanza intimorita dalle mosche passanti per via dei loro 5 occhi. Passarono per il bosco “degli alberi che toccano il cielo” e superarono il grande giardino onirico, dai fiori con colori così sgargianti che sembra di trovarsi in un sogno quando ci si ferma a guardarli. Si fermarono sulla riva del Grande Fiume o Fiume Senza Fine. Unirono due rametti per costruire una barca e salparono per raggiungere l’altra sponda. Lo aveva fatto il Folletto, una sola volta, anni fa, voleva agguantare il tesoro di un’aqui…L’altra storia può aspettare, perché un’onda gigantesca si abbatté sulla

piccola piccola barca dei due avventurieri, la barca si ribaltò, loro caddero in acqua, la corrente li spingeva, la formica stava affogando e, e…Buio.

4 giorni, da 4 giorni il Castoro Mangiauomini assediava il villaggio. Il re decise di scendere a patti:”Senti mostro, hai fame? Ti farò scegliere 1 folletto! Te lo prendi bello cicciotto così ti sfami, che ne dici? Affare fatto dai”. Il Castoro ruggì:”Lo prendo come un sì”. Ma chi scelse? Sfortunato o sfortunata? Per beffa del re, venne scelta sua figlia. Tra pianti e grida il sovrano supplicò il Castoro di scegliere qualcun altro, ma con un altro ruggito fece capire di essere

categorico, o lei oppure distruzione. La principessa era spaventata sì, ma perlopiù offesa perché il Castoro le aveva dato della grassa in poche parole.

Il Folletto si risvegliò dal suo lungo sonno, era seduto steso su un letto, pensava fosse tutto un sogno, ma il letto non era suo, e affianco al letto si trovava la saggia lucertola:”Oh, ti sei svegliato!”. Esclamò. L’eroe spaventato chiese:”La formica?” “Quale formica?” Rispose la vecchia. Una lacrima si appoggiò al suolo. Tic.

E allora la Lucertola domandò:”Perché sei qui mio vecchio amico?” “Una minaccia incombe sul mio villaggio: un mostro minaccia la vita di noi Folletti” “Ho qualcosa che fa al caso tuo allora!”. Tirò fuori da una scatola impolverata una campana. Gli spiegò che la campana poteva fermare il tempo se fatta suonare a mezzanotte, e per un minuto tutto si sarebbe fermato. In quel tangente di tempo avrebbe potuto uccidere il Castoro:”Sono le 23.50. Tieni: questa pozione ti riporterà al villaggio in un nanosecondo, o forse è meglio dire, un folletto secondo!”. Il Folletto pensò nello

stesso istante che forse il lato cattivo poteva uscire fuori per un’ultima volta, ma solo per un istante lo pensò. Bevve il succo e venne catapultato alle porte del villaggio.

Il Castoro era pronto a mangiare la folletta in un sol boccone, sotto le facce

rabbrividite degli altri abitanti del villaggio, ma un grido attirò la sua attenzione:”Eccomi                                              Castoro!” Esclamò il Folletto. Il mostro buttò a terra il pasto e sbattè la coda, via al combattimento.

Subito il Castoro tentò di prendere con le mani il Folletto, ma era dispettoso quanto agile, si muoveva velocemente. Bastava aspettare altri trenta secondi, e il tempo si sarebbe fermato.

29,28,27,26,25,24,23,22,21,20  e  il

Castoro lo colpì. Lui stordito si stese a terra e quindi fu afferrato dal mostro, aprì la bocca, avvicinò la mano e…il tempo si fermò. Silenzio. Il Folletto aveva riacquisito i sensi e decise che non c’era tempo da perdere. Prese la sua spada e tagliò la coda la coda del Castoro, poi prese una tenda e la mise sui grandi occhi dell’animale e infine scagliò una freccia dritta nel suo addome. Passato il minuto il tempo riprese a scorrere e il Castoro si accasciò a terra. Era fatta, aveva vinto.

Tutti gli altri folletti corsero ad abbracciarlo, la principessa gli diede un bacio sulla guancia. Il sogno era diventato realtà. E così tutti vissero felici e contenti.

Classe 1A del Liceo Ariosto di Ferrara

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