finestra

La finestra di dietro / 5

Fiaba pubblicata da: Redazione

L’incanto fu rotto dall’incedere lento e inconfondibile. Lo sferragliare del ferro di cavallo del cavallo del cavaliere cavalcante del regno del re regnante. Nero il cavaliere, nero il cavallo, nere le bardature, nere le briglie, nera l’armatura e nera l’arma. Lo scemo del villaggio, che fu un tempo genio, era l’unico a chiedersi perchè fosse chiamato Il Cavaliere Nero.

Conosciuto anche come Cavaliere Guastafeste per la capacità innata di apparire nei momenti meno opportuni, il Cavaliere Nero si divertiva a scorrazzare con la sua corazza cercando capannelli di gente uscita dalle capanne su cui sbrodolare il proprio ego.

Il re continuò come se niente fosse a baciare con gusto la propria regina.

Il ciambellano ingoiò la propria ciambella di tutta fretta, per paura che il Cavaliere Nero la infilzasse con la sua lancia nera.

Lo scemo continuò a chiedersi l’origine di quel nome originale.

Il popolo cascò nella trappola fascinosa del fascino del Cavaliere Nero. Ululò tanto forte da svegliare il re e la regina dal torpore del bacio.

“Il cavaliere, il cavaliere”, urlavano tutte le donzelle ammiccando.

“Il cavaliere, il cavaliere”, urlavano gli ubriaconi brindando.

“Il cavaliere, il cavaliere”, urlava il ciambellano trangugiando.

“Nero, Nero, …”, faceva eco lo scemo del villaggio, ormai smarrito nel suo dubbio.

Il Cavalier Guastafeste, scese destro alla destra del destriero. Ammiccando alle donzelle, brindando con gli ubriaconi, trangugiando una ciambella del ciambellano, confermò: “Nero, per servirvi, vostra regal maestà del regno”.

‘Chi t’ha chiamato’, pensò il re tra sè e il re regnante, sè stesso medesimo. “Benvenuto!”, esclamò la sua anima ligia al ruolo di reale re regnante.

Il Cavaliere Guastafeste, senza macchia e con l’unica paura di sbiadire il proprio neronero, proclamò con una fierezza che sbigottiva i bigotti: “ho saputo che c’è una finestra d’aprire, io e la mia spada nera siamo qui per questo!”. Quella spada sguainata, tutta nera, a dire la verità spaventò parecchio i bigotti, ai quali bastò quel preambolo per rimbigottirsi.

‘Perchè brandirà la spada quando c’è una splendida maniglia a portata di mano?’, pensò di nuovo il re tra sè e il re regnante sè stesso medesimo. “Che splendida spada!”, lo lodò il re con quella regal ruga d’assenso in mezzo alla fronte, proprio sotto la regal corona reale.

Tutto bello imbrodato, il Cavalier Guastafeste si levò la superflua armatura neranera e sfoggiò un completo neronero in velluto del regno. E fu dèjà vu:

Il muro tiene, la finestra tiene, la spada tiene … il Cavaliere Guastafeste ride e tira più forte.

Il muro tiene, la finestra tiene, la spada tiene … il Cavaliere Guastafeste sorride e inizia a sudare.

Il muro tiene, la finestra tiene, la spada tiene … il Cavaliere Guastafeste s’acciglia e diventa paonazzo.

Il muro tiene, la finestra tiene, la spada tiene … il Cavaliere Guastafeste deluso molla la presa.

Guardinghe le guardie sorrisero nella follia del “mal comune mezzo gaudio”.

Coda tra le gambe, rimise l’armatura e destro salì da destra sul suo destriero.  Sinistramente s’allontanò il Cavaliere cavalcando un cavallo neronero sbiadito dall’imbarazzo.

‘Non ha visto la maniglia’, penso tra sè e il re regnante sè stesso medesimo il re regnante. E lo sguardo fu di nuovo lì.

… to be continued …

L’insidia del Cavaliere Guastafeste è di quotidiana attualità. L’immagine che sovrasta la persona, la soluzione pronta che sa di cibo precotto. L’illusione che si trasforma in un moscio dèjà vu (narrativo, ma sopratttutto, di fatto).

E il Cavaliere è sempre nero e senza macchia, con la paura folle che possa esistere una prima volta nella quale a sbiadire sia lui e non il suo cavallo. Ma finora non è mai successo.



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