L’ultima foglia d’autunno
Fiaba pubblicata da: LiberaMente
Intrufolandosi tra i rami intrecciati di una grande quercia, immersa tra le foglie verdeggianti che affollavano le sue cime, si distingueva per la sua vanità, una foglia particolare: era bella, giovane e rigogliosa. Fiera del suo bell’aspetto, se ne stava tutto il giorno impigrita nel suo comodo giaciglio, lasciando che le sue sorelle facessero il lavoro che le spettava per natura: catturare la luce, liberare ossigeno, e contribuire alla vita della grande quercia.
“Non voglio sprecare la mia clorofilla e sciupare i miei stomi. Voglio essere bella, verde più a lungo delle altre!” pensava tra sé. Così mentre le sorelle, lavoravano per catturare la luce del sole, lei se ne stava distesa a sonnecchiare tutto il giorno.
“Ma tu guarda che pelandrona” mormoravano tra loro le altre foglie lanciandole occhiatacce significative.
Ma la bella foglia verde, non si curava dei loro commenti, e continuava ad oziare, ad ammirare il cielo splendente dell’estate, ad osservare il volo degli uccelli e a plasmare fantasiose immagini con le nuvole.
“Senti un po’, tu!” le gridò una delle sue sorelle. “Ti sembra il modo di comportarsi?”
E lei, in tono pacato rispose: “L’estate sta iniziando, c’è tempo per lavorare! Godetevi il bel tempo pure voi!”
“Sentila!” la schernì l’altra “Ma chi credi di essere! Sei una foglia, e hai un compito preciso!” le urlò contro furiosa. “Non hai rispetto per le nostre sorelle che lavorano? E al grande albero non ci pensi?”.
“Non mi scocciare, farò anche io la mia parte!” e così dicendo, la foglia vanitosa si appisolò indifferente.
L’altra, con una smorfia spazientita le voltò pagina, e da allora, nessuna delle sue sorelle le rivolse più la parola. La fogliolina vanitosa, non avvertendo più rimproveri su di sé, cadde in un profondo assopimento da cui si risvegliò, solo ai primi brividi di freddo che percossero le sue nervature.
Quando si destò completamente, le si parò davanti uno spettacolo a dir poco spettrale. Cosa diamine era successo? Dove sono i bei colori di poco prima? Perché gli alberi erano così rinsecchiti e nudi? Dov’erano le belle chiome lussureggianti intorno? È perché nell’aria non brilla più la vita che colorava l’estate? Le altre querce erano diventate tronchi opachi e grigiastri, con i rami, che come braccia scheletriche di un moribondo si ergevano nodosi e imploranti verso il cielo, quasi supplicassero il tempo di donare loro, qualche altra ora di vita. E le sue sorelle? Ai piedi degli alberi c’era un tappetto di foglie giallognole, rossicce e violacee, mosse solo dal vento che le faceva mulinare all’aria, e fluttuando leggiadre, si adagiavano poco più in là. Sui rami non c’erano che poche foglie morenti, e anche sul suo albero, ne erano rimaste solo poche decine. Allora rivolgendosi a una sorella vicina, le domandò in tono preoccupato:
“Cosa è successo?”
“Nulla” biascicò questa a fatica “Siamo in autunno, e si sta approssimando l’inverno, il bel tempo è finito.”
“Cosa? L’autunno!? L’inverno!? Se mi sono appisolata solo per qualche ora?” protestò incredula la vecchia foglia vanitosa.
“Qualche ora che poi è diventata un’intera stagione, e ora tu…” ma un forte colpo di tosse la fece tremare spezzandole la frase a metà. Si accasciò penzoloni dal ramo senza vita, mentre uno sbuffo di vento, la strappò con gran facilità dalle braccia dell’albero. Roteò docile e sommessa nell’aria, quasi il vento volesse cullarla prima di lasciarla andare; volò fragile per qualche minuto, poi leggera e silenziosa come neve, si posò a terra tra le altre foglie cadute prima di lei.
La foglia osservò la scena atterrita, e guardandosi intorno con angoscia, notò altre sorelle in una coltre gialla e rossastra che copriva una terra infinita di desolazione. Quelle che erano rimaste sui rami, agonizzavano, e ciò non fece che imprimere una maggior riluttanza nell’animo della foglia vanitosa. Non riusciva ad accettare che quello fosse anche il suo destino. No, non era giusto. Lei non poteva. Il suo tempo doveva essere rimborsato; voleva riposare, sì, ma solo per poco, poi si sarebbe data da fare senza sprecare un attimo del suo tempo. Non poteva assolutamente finire come le altre, era un’ingiustizia! Nel frattempo, si piegò a fatica per osservare la sua bella lamina verdeggiante; era sbiadita, e lei lo sapeva, lo sentiva nelle sue intorpidite nervature. Malgrado tutto, circolava ancora un po’ di clorofilla nei suoi cloroplasti, e ciò le diede coraggio abbastanza, da formare dentro di sé un’idea di resistenza: sarebbe riuscita a superare l’inverno fino ad arrivare in primavera, e in quel tempo, si sarebbe impegnata, come hanno fatto prima di lei le sue sorelle.
Rinfrancata da quel suo proposito, si allungò in avanti per esporsi meglio ai raggi del sole, ma, alzando i margini verso il cielo, ne vide solo il suo grigiore: non più l’azzurro dell’estate, non più il sole che illuminava e dava vita ad ogni essere vivente, ma solo, il colore plumbeo delle nuvole, da dove filtrava una fioca e tiepida luce. Ma lei non si lasciò abbattere, e si afferrò al quel suo pensiero di resistenza con tutto il suo volere. Il sole sarebbe ritornato. Doveva ritornare! E lei si sarebbe riscaldata e avrebbe conservato ciò che restava del suo colorito verde, fino alla fine dell’inverno. La sua vita non poteva essere sprecata, e intanto fingendosi moribonda, avrebbe disatteso il tempo.
I giorni però passavano, e il grigiore rimaneva sempre stagnante, lassù, nel cielo di fine autunno. La sua clorofilla si perdeva ogni momento di più, e con essa, anche la speranza iniziò a scolorirsi. Si sentiva sconfitta umiliata, mortificata dalla sua stessa vanità, e ciò fece precipitare il suo stato d’animo, in una specie di torpore meditativo.
“Cosa ho fatto! Cosa ho fatto! “si ripeteva in tono fiacco la foglia vanitosa. La bruma in cui aveva vissuto fino a quel momento, si diradò a poco a poco, lasciando intravedere in tutta la sua ampiezza, la meschinità della sua vita addormentata.
“Avevano ragione le mie sorelle, l’accidia ha portato via il mio tempo. Sono stata una stupida! Pensavo di essere eterna? Cosa ha servito la mia breve e meschina esistenza!”. Una goccia scivolò lungo la sua pagina; forse una goccia di pioggia, o forse una lacrima per immortalare la sua impotenza contro un tempo che sapeva di non poter ingannare come credeva.
E mentre la sua autocommiserazione trovava sfogo nelle sue iterate espressioni, conferendole un’aria inebetita, ecco che un debole raggio di sole, come una carezza fatta con le punte delle dita, fece capolino su di lei. Avvertiva particelle di luce invadere piano le sue nervature e il calore sprigionarsi, come profumo di rose, nei suoi stomi. Ciò bastò per illuminarla nei strati più profondi; il calore, mescolato al vigore che sentì ritornare, resuscitò in lei la vita. Quando si ridestò completamente dal suo intontimento, repentina le attraversò l’intenzione di cogliere quel breve, ma intenso momento di rinascita. Le sembrò di raccogliere in un solo istante, il tempo disseminato lungo la strada, e vivere in un’ora, un’esistenza che credeva ormai persa. Il sole, pensò che le stesse facendo l’unico bel dono che avesse mai ricevuto.
Il bel colorito riprese a rifulgere; riusciva ancora a percepire la linfa della grande quercia scorrerle dentro. Mai, prima di quel momento, si sentiva così intimamente parte del suo albero, e come in una visione onirica rivide l’estate con i suoi tramonti e le sue albe fresche, il grano maturo, il vento caldo frusciare tra i rami, la pioggia estiva dissetare e ripulire terra e aria. Vide il sorriso allegro delle sorelle, l’armonia del tempo che scorreva lento e ordinato. Intuì, con grande gioia, che la grande quercia le stava concedendo ciò che si era persa fino ad allora, e soprattutto le stava dando la possibilità di rendergli ciò che gli aveva sottratto sfuggendo alla sua natura di foglia, per soddisfare solo la sua vanità.
Tutto questo poté ancora sentire fino a quando fu legata alla sua quercia: uno scambio di energia e vita diventando per un eterno istante, un unico vitale respiro.
Il raggio di sole, intanto, si dissolse nella foschia, e con esso, le ultime sfumature di verde, dell’ultima foglia d’autunno, svanirono. Una folata di vento gelido delicatamente la staccò dal suo ramo, mentre lei, con una piega simile ad un sorriso, si lasciò trasportare beatamente, disegnando nell’aria, scherzose linee immaginarie, quasi volesse esprimere la sua riconoscenza al tempo. Poi, il vento l’adagiò candidamente come un bimbo addormento, ai piedi della possente quercia, e lì, felice e grata, per sempre ritornò alla terra.