Natale è in ritardo

Fiaba pubblicata da: barbara cerrone

Accadde tanti anni fa in un paese che non saprei dire.

Alle 24.00 in punto del 24 dicembre  il Natale non era ancora arrivato.

Provate solo a immaginare lo sgomento della gente;  i bambini, soprattutto, erano  disperati: piangevano, tiravano per la giacca i genitori,  chiedevano notizie ma di risposte non ne avevano.  E chi poteva sapere il perchè e il percome di quel  ritardo? Non era mai successo!

I Chi l’avrebbe detto?  riempivano l’aria fredda della notte insieme ai Come si fa adesso?  Si  tentava maldestramente di nascondere l’angoscia ai più piccoli cantando canzoni natalizie che però  li facevano piangere ancora di più. Un disastro.

C’era perfino chi spargeva il terrore  sostenendo  che fossero in pericolo  le vacanze!  E in paese una tristezza, sapeste, una tristezza!

Alle 24 e un minuto  fu organizzato in fretta e furia un comitato per sviscerare la questione insieme ad alcuni esperti  della materia.

Ognuno propose la sua tesi,  quella del dott. Giovanpaolo Tiziobene, tra tutte, fu ritenuta la più interessante; sosteneva  che probabilmente qualcuno, o qualcosa, aveva offeso il Natale e che forse  per questo  motivo  non si era presentato all’appuntamento.  Allora tutti  si sforzarono di ricordare una frase, un gesto, qualunque cosa potesse essere stata poco gentile verso il Natale. Ne rammentarono parecchie, in verità.

“Eh, quella volta lì, Giacomo ha proprio esagerato!” diceva uno.

“E due anni fa? Non vi ricordate cosa disse Lisa? E Alice? “ rispondeva un altro.

“Cosa dissero? Cosa fecero, piuttosto! E proprio alla vigilia di Natale” incalzava un terzo.

Insomma, all’improvviso tutti avevano un ricordo, un esempio, qualcosa che confermava la teoria del Tiziobene e accusava il paese di scarso rispetto natalizio.

“Ma ora che si fa?” chiese il pescivendolo che era un uomo pratico e voleva arrivare al sodo, “va bene, forse abbiamo sbagliato ma anche se è così basta rimuginare, bisogna rimediare. C’è un Natale, signori miei, da far arrivare prima che sia Santo Stefano.”

Tutti convennero che aveva ragione, e che se non aveva proprio ragione di certo non aveva nemmeno torto.

C’era tutto un paese in attesa del Natale e a mezzanotte e venti minuti non si poteva più perdere tempo.

L’iniziativa partì da un gruppo di ragazzini. Invece di piangere come i fratelli più piccoli, decisero di prendere in mano la situazione e sentite cosa fecero.

Il più grande, Pierfederico, ebbe una pensata di quelle che ti vengono sì e no una volta nella vita: disse a tutti che se il Natale era stato offeso allora bisognava far qualcosa che lo riconciliasse col paese, qualcosa di natalizio come portar regali senza aspettarsene in cambio, sorridere a tutte le persone,  far riconciliare chi chi aveva litigato, ecc.ecc.

Si mise ai voti la proposta che senza troppi sforzi  passò con larga maggioranza.

Fu nominato un  “messo di bontà”,  un bambino che doveva andare in giro a consegnare regali, elargire sorrisi a destra e a manca, fare gli auguri a giovani e anziani, portare pace fra chi aveva litigato.

Accompagnavano il messo tutti gli adulti che in passato avevano offeso il Natale,  lo trasportavano su una poltroncina tutta rossa e gridavano: “Buon Natale!” a tutti quelli che incontravano per strada.

Andarono avanti così per una buona mezz’ora, finchè non ebbero più fiato e vollero fermarsi per vedere se era servita a qualcosa  la loro originale processione. Macché. Il Natale non si vedeva ancora, nessuna traccia, niente da fare e poco da sperare.

“L’abbiamo perso, abbiamo perso il nostro Natale!” gridarono  in coro tutti quei paesani.

“L’abbiamo perso, l’abbiamo perso!” ripeterono abbassando il capo.

Rimasero così per qualche minuto, con lo sguardo a terra  e le lacrime che scendevano fin sulle labbra. All’improvviso un venticello strano, gelido e allegro, si levò dal fondo della valle; lambì le facce attonite di quella gente costernata e stanca, carezzò i piccoli assonnati e i vecchi infagottati nei cappotti. Sollevò nuvole di terra dai campi addormentati e foglie secche dalle aiole dei  giardini immersi nel silenzio della notte. Poi si placò.

“Cos’è è stato? Cos’è stato?” si chiese tutta quella gente girando gli occhi attorno.

“Che sia…ma no!” mormorarono increduli.

“ Però se fosse lui come si fa? Le vetrine non sono  illuminate, gli alberi non hanno addobbi e non ci sono luci” disse una donna anziana che di Natali ne aveva visti tanti.

“Ma non fa nulla, “ disse un ragazzino, “ che volete che importi? E’ lui, non lo sentite? Non lo sentite, voi?”

La danza del vento riprese, leggera, uomini e donne a un tratto si fecero  leggeri come aria; volavano nel cielo di dicembre e non avevano più freddo né tristezza. Era Natale. Era Natale, finalmente.

Tornando a terra si dissero che in fondo per  il Natale non erano necessari  luci o  alberi addobbati e vetrine a festa.

C’era bisogno solo della loro immensa, incontenibile gioia. E di quella ce n’era in quantità.



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