Anche quella mattina Ettore uscì di casa, come sempre, senza una meta precisa.
Ma la sensazione che fosse una mattina diversa dalle altre, che dovesse accadere qualcosa di speciale, la sentiva nell’aria: la fiutava, la rincorreva dietro ai refoli gelidi del vento di tramontana.
Cominciò a girovagare nel bosco senza meta, a fermarsi a ogni angolo di sentiero per osservare l’aria, per accecarsi gli occhi con quella luce bianca che sembrava riflettersi su ogni cosa e rimbalzare verso di lui.
Si fermava e decideva quale direzione prendere in base a un’indistinta sensazione che, come una forza estranea (o almeno così gli sembrava), lo sospingesse avanti.
Non ne conosceva il nome, le fattezze, l’odore, ma percepiva che l’avrebbe incontrata e che questo incontro avrebbe cambiato la sua vita solitaria e vuota.
Il suo piccolo cuore batteva all’impazzata mentre percorreva e annusava la terra umida sotto di sé; una sorta di frenesia d’amore stava avvolgendo il suo corpo infreddolito dall’umido del mattino. Poi, all’improvviso, ecco una traccia… qualcosa di indistinto eppure chiaro: la sensazione che lei fosse vicina, invisibile ancora, ma vicina.
Rimase per un momento immobile, i sensi ritti come antenne, ognuno a captare l’onda su cui era sintonizzato: le orecchie a percepire ogni vago suono di richiamo, il naso ad aspirare ogni effluvio di quell’odoroso mattino, gli occhi mobili a distinguere qualsiasi movimento repentino. Tatto e gusto pronti a scattare al minimo segnale…
Il mondo intorno in quel momento sembrava incantato, quasi congelato in una sorta di estasi degli elementi naturali. Ettore sentiva fortemente la sua appartenenza a quel mondo, eppure avvertiva la mancanza di qualcosa di puro, immacolato, che avrebbe completato la sua povera vita.
Infine, la scoperta: sotto alcune foglie ingiallite cadute dall’enorme e frondoso albero sovrastante, Ettore sentì che pulsava qualcosa, un battito leggero, qualcosa di vivente seppure allo stremo. Cominciò a scavare con la chiara consapevolezza che la sua ricerca stava per avere termine: prima una sorta di crosta liscia al tatto, poi una rotondità di forme che suggerivano sensazioni di dolcezza, infine uno spigolo vellutato.
Mentre scavava, sentiva che quell’esserino indifeso, da un’incredibile lontananza, emetteva un lamento freddo, come se l’aver dimorato così tanto nella terra umida avesse ormai esaurito ogni vitalità. Ettore finì la sua opera di scavo e portò alla luce la castagna, indifesa e ormai morente. Appena la vide, nell’estremo tentativo di salvarla, le si avvinghiò intorno, la ricoprì con il suo caldo tepore di riccio appena uscito dal letargo, ma l’emozione fu così intensa che, mentre la castagna sospirava il suo ultimo gemito, il cuore del povero animale non resse e smise di battere, così, in un estremo abbraccio tra la vita e la morte.
La mattina dopo gli animali del bosco trovarono ancora il riccio e la castagna avvinghiati, e nessuno riuscì mai a separarli; da allora, e per sempre, ogni riccio e ogni castagna rinnovano quell’abbraccio d’amore come suggello di un incontro che ebbe il tempo di vivere di un battito d’ali.
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