Giuditta e l’assassino di libri

Fiaba pubblicata da: Lauretta

Era una notte molto buia. Non c’era nemmeno la luna a rischiarare le strade. Ed era molto, molto fredda.

Giuditta se ne stava nascosta dietro la grande quercia da dove poteva vedere l’ingesso della grande Biblioteca. Aveva freddo e perciò teneva stretta con una mano la sua sciarpa rossa, cercando di ripararsi meglio che poteva, ma il naso cominciava a gelarsi. Nell’altra mano teneva la sua piccola torcia con la quale illuminava di tanto in tanto la porta della Biblioteca e, quando captava il minimo rumore la puntava di qua e di là, alla ricerca di… di cosa? O di chi? E che ci faceva una bambina di dieci anni, da sola, di notte davanti alla Biblioteca?

Per scoprirlo dobbiamo fare un passo indietro.

Rivabella era un paese tranquillo, pieno di verde, con belle strade, belle scuole, bella gente. Non si trovava sul mare, come qualcuno potrebbe immaginare, ma doveva il suo nome ad un grande fiume che la attraversava, dividendola in due. La tranquillità del posto era venuta a mancare qualche settimana prima, quando una mattina (come tutte le mattine da trent’anni) la signora Rosamaria era andata ad aprire il suo negozio: la libreria più vecchia del paese, che era stata di suo padre e prima ancora di suo nonno. Una libreria centenaria, piena di volumi e rarità. Rosamaria aveva trovato la porta spalancata e non appena messo piede all’interno non aveva retto il colpo ed era svenuta. Nel giro di pochi minuti tutto il paese sapeva dell’accaduto e la povera Rosamaria si trovava già in ospedale, per accertare che le caduta non le avesse procurato danni. La sua bella libreria era andata in fumo! Tutti i volumi erano stati strappati, divelti, qualcuno era stato dato alle fiamme. L’ambiente era irriconoscibile, tutto era sottosopra, come se una banda di bisonti forse entrata dentro correndo all’impazzata.

Erano passati alcuni giorni e Rosamaria, ancora sotto choc, cercava di sistemare il suo bel negozio, aiutata da tanti compaesani, quando la stessa sorte toccò al signor Fernando, anche lui titolare di una libreria sull’altra sponda del fiume. La libreria di Fernando era un po’ più piccola, ma ben fornita e specializzata soprattutto in libri di poesia. Fernando aveva trovato la porta scardinata e alla vista della distruzione all’interno, era ammutolito, poi con le mani tra i capelli era corso fuori e aveva iniziato a chiedere aiuto gridando.

Allora il commissari De Tomis, bonario e rotondo come una ciambella, aveva riunito la sua squadra e aveva tenuto un discorso molto serio.

“Ragazzi e ragazze, qui la situazione è grave. Abbiamo sbagliato a considerare l’attentato alla libreria della cara Rosamaria un evento eccezionale, un caso, uno scherzo. Ora che la storia si è ripetuta, qui c’è da lavorare sodo e indagare sul perché due cari librai nostri concittadini siano stati così duramente colpiti!”

Gli uomini e le donne della squadra non avevano aspettato neanche un minuto ed era partita l’indagine a tutto campo. Al di là e al di qua del fiume si cercavano indizi, prove e motivi. Ma dopo diversi giorni non si era arrivati a nulla. Sembrava che l’autore di quelle devastazioni fosse svanito nel nulla. Non fu trovata nessuna orma, nessuna impronta digitale, niente che potesse far ricadere i sospetti su qualcuno.

Giuditta, Filippo e l’inseparabile Martina, non facevano altro che parlare dei due episodi e avrebbero tanto voluto partecipare alle indagini, ma i genitori erano stati inamovibili. “Ma di che volete impacciarvi, voi bambini? Sono cose serie, da grandi! Lasciate fare il lavoro a chi è competente!” aveva intimato la mamma di Giuditta ai tre ragazzini.

“Ma noi dobbiamo fare qualcosa!” continuava a ripetere Giuditta ai suoi amici, “Hanno ucciso tutti quei poveri libri!”

“Oh, non esagerare adesso” le aveva risposto Filippo, “I libri mica si uccidono, non sono mica esseri viventi!”

“E invece sì, lo sono!” ribatteva lei, agguerrita, “Lo sono eccome! In ogni libro c’è la vita, ci sono personaggi, animali, esseri fatati e gnomi…insomma loro vivono!”

“Va bene, va bene. Ma calmati adesso. Facciamo una cosa, il pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, ci riuniamo e cerchiamo di capire chi potrebbe avercela con Rosamaria e con Fernando. Anche se sono così fantastici, quei due…” le aveva detto Filippo, mentre stavano seduti su una panchina nel parco, a fare merenda.

Martina aveva aggiunto: “Infatti, sono due persone così care! Chi può avercela con loro? Forse avevano qualche debito? Forse qualcuno vuole estorcere del denaro?”

Giuditta si era raddrizzata sulla schiena e li aveva guardati come se fossero due marziani verdi: “Ma allora non capite!? Non ce l’hanno con Rosamaria, né con Fernando. Ce l’hanno con i libri, sono loro e vittime!”

Filippo sbuffò, pensando che la sua amica stesse andando fuori di zucca e Martina alzò gli occhi al cielo, pensando esattamente la stessa cosa.

“Ecco cosa faremo!” Giuditta all’improvviso si era illuminata tutta, felice della sua idea. “Allora, ci sono altre due librerie a Rivabella, giusto? Quella di Paolo e quella di Chiara. Avvertiamo il commissario De Tomis e facciamole tenere sotto sorveglianza, sono certa che gli assassini di libri andranno a colpire anche lì, me lo sento!”

“Ma dai Giuditta … il commissario non vorrà neanche riceverci!”

Filippo voleva provare a farla ragionare, ma Giuditta, presi i suoi amici per mano, li trascinò letteralmente verso il Commissariato.

Non fu difficile entrare, fu difficile (come aveva previsto Filippo) farsi ricevere. Alcuni impiegati li guardavano con tenerezza, mentre tutti e tre se ne stavano seduti in un angolo dell’atrio, in attesa che qualcuno li volesse ascoltare. Ma in realtà nessuno li prendeva in considerazione; tutti avevano sorriso amabilmente quando Giuditta aveva esclamato di aver capito che gli attentati erano contro i libri e non contro i librai. Così se ne restarono seduti per più di un’ora, in silenzio, mentre Filippo smaniava e tamburellava continuamente con le mani sulla panca, Martina masticava rumorosamente un chweingum e Giuditta leggeva un libro che aveva tirato fuori dal suo zaino.

Alla fine De Tomis si era avvicinato ai tre ragazzini e, guardandoli serio aveva detto: “Non dovete preoccuparvi, ci siamo noi qui per risolvere il problema. Tornate a casa, fate i compiti, andate in bicicletta, sui pattini…insomma fate le cose che fanno quelli della vostra età! Su ora, andate, andate. E state tranquilli.”

“Ma io credo che dovreste sorvegliare le librerie di…” provò a ribattere Giuditta, ma De Tomis la azzittì con un gesto esplicito della mano.

Due giorni dopo, quando in commissariato arrivò la telefonata di Paolo per denunciare l’effrazione nella sua libreria, il commissario cominciò a camminare avanti ed indietro per l’ufficio. Sbuffava e sudava, parlottava da solo e gesticolava e non riusciva a togliersi dalla mente le parole di quei tre monelli. Quella Giuditta aveva tanto insistito e lui non le aveva creduto, accidenti.

Ormai in paese erano tutti agitati, soprattutto era molto agitata Chiara che era la titolare dell’unica libreria rimasta. Qualcuno arrivò perfino a ipotizzare che poteva essere stata proprio lei a creare quei danni, per poter rimanere l’unica libraia di Rivabella e guadagnare di più.

Ma erano pochi i maligni che lo pensavano; tutti quelli che conoscevano Chiara e il suo amore per i libri, sapevano che non avrebbe mai compiuto un’azione del genere. Nella sua libreria c’era un reparto di libri per bambini delizioso, con un angolino riservato ai più piccoli pieno di cartonati e librottini adatti alle loro piccole mani. Giuditta si straziava a pensare che anche quella avrebbe potuto fare la stessa fine delle altre librerie; quella di Paolo aveva riportato danni notevoli, anche se qualche volume era stato salvato perché il diabolico “assassino di libri”, anziché bruciarli li aveva gettati a terra e poi aveva allagato tutto l’ambiente. Per cui alcuni dei libri erano malconci, ma salvi. E molti di loro se ne stavano stesi ad asciugare sul prato del parco, sotto la supervisione di Paolo e di altri cittadini che li curavano con amore.

La situazione dunque era ormai fuori controllo. De Tomis radunò i suoi detectives migliori e li mise a guardia della libreria di Chiara. Giorno e notte, soprattutto di notte.

Passarono molti giorni, poi molte settimane, ma l’aggressore non si presentò.

Dopo due mesi De Tomis allentò i controlli, soprattutto la notte, anche perché la sua squadra cominciava ad essere stanca di tutto quel lavoro straordinario.

Le cose cominciavano man mano a tornare alla normalità: la libreria di Rosamaria era ancora in fase di ristrutturazione, come anche quella di Fernando: erano stati rimbiancati i muri e si stavano montando nuovi scaffali. Quella di Paolo odorava ancora di muffa, per via dell’allagamento, ma i lavori, anche lì, procedevano spediti. Il commissario De Tomis, una bella mattina di novembre fece archiviare il caso, perché ormai il pericolo era scampato.

Giuditta non era molto convinta, se fosse stata lei a capo del commissariato, avrebbe continuato a far sorvegliare la libreria di Chiara. Ma lei era solo una bambina e si sa che gli adulti, qualche volta, non ascoltano le idee dei bambini.

E così, quando dopo pochi giorni, venne assalita la libreria di Chiara, Giuditta corse in commissariato e, senza ascoltare le grida del piantone in portineria, entrò trafelata nell’ufficio del commissario De Tomis. Tutta rossa in volto e trafelata, cominciò a parlare come un fiume in piena, tanto che il povero De Tomis si tappò le orecchie, prima di urlare: “Basta! Ho capito! Va bene!”

Seguì una lunga chiacchierata e alla fine il commissario disse: “Be’, cara Giuditta, ormai il danno è fatto. Ci siamo fatti beffare da qualcuno che ce l’ha con i librai o, come dici tu, con i libri. Mi assumo le mie responsabilità, ma…almeno adesso posso assicurarti che questa strana storia si conclude qui visto che non abbiamo altre librerie a Rivabella. Allerterò i commissariati degli altri paesi nei dintorni, perché è probabile che in seguito il tuo “assassino dei libri” si rechi da loro.”

Giuditta scosse più volte la testa: “No! Commissario, non sono finiti i libri qui a Rivabella!”

“Non penserai che adesso il malfattore venga a visitare tutte le case del paese e a distruggere tutte le librerie che abbiamo nelle nostre abitazioni!?” le rispose lui, con una faccia perplessa e preoccupata.

“No. Penso che andrà direttamente in Biblioteca.”

De Tomis a questo non ci aveva pensato, ma, come al solito, gli sembrava impossibile. E poi la Biblioteca era ben protetta. Era un edificio enorme, contava migliaia di volumi preziosi e aveva un sistema d’allarme eccellente, lo stesso dispositivo che si utilizzava nelle banche. Così cercò di tranquillizzare la ragazzina e la invitò a tornarsene a casa.

E ora possiamo tornare alla notte buia e fredda, una notte di dicembre senza luna, in cui abbiamo trovato Giuditta di guardia alla Biblioteca.

Era la seconda notte che si nascondeva dietro la quercia; la notte precedente Filippo era stato con lei. Erano sgattaiolati fuori di casa quando i genitori dormivano e si erano avviati silenziosamente fino alla Biblioteca. Ma dopo molte ore di freddo e di attesa, Filippo l’aveva convinta a tornarsene a letto. “Dai, andiamocene.  Vedi che non arriva nessuno? Forse ha ragione De Tomis…ormai è finita. Scampato pericolo. I nostri libri possono “vivere” tranquilli.”

Si erano lasciati comunque dandosi appuntamento per l’indomani, perché secondo Giuditta era meglio tenere gli occhi aperti e rimanere ancora allertati. Lei presagiva qualcosa di indefinito e di inquietante…

Però la mattina successiva Filippo l’aveva chiamata al telefono per comunicarle, con voce lamentosa e nasale, che aveva preso un forte raffreddore per cui non sarebbe andato a scuola e, haimé, non avrebbe potuto accompagnarla nella successiva spedizione notturna.

“Ma tu non andarci da sola, mi raccomando! Quando starò meglio ci torniamo, stai tranquilla. ”

Giuditta non era certo una che si spaventava, in ogni caso chiese aiuto a Martina che però non ne volle sapere. “Ma che si diventata matta? No che non ci vengo! E non devi andarci nemmeno tu. Ti rendi conto? Girare di notte, al buio…se lo sapessero i nostri genitori…”

E invece Giuditta c’era andata. E ora, semi congelata, cercava di tenersi sveglia, canticchiando sottovoce una delle sue canzoni preferite.

Quand’ecco un rumore insolito, una specie di squissssshhhhh

E quello cos’era!? Giuditta spalancò gli occhi quanto più possibile, la luce della sua piccola torcia non l’aiutava molto, ma riuscì a distinguere una figurina piccola piccola, vestita di verde che stava entrando in Biblioteca: la porta era aperta e lei avrebbe giurato di non aver visto usare attrezzi da scasso. Semplicemente si era aperta davanti a quel… “coso”.

Il “coso” nel frattempo aveva notato la debole luce della torcia e si era voltato verso il punto in cui era nascosta Giuditta: scrutava la quercia con due occhi rossi come il fuoco e la ragazzina cercò di non respirare per non farsi notare, ma… “Eeeetttciiiiii!” uno starnuto gigantesco la tradì. In meno di un secondo si trovò quegli occhi infuocati addosso, quello strano essere era ad un passo da lei e la stava studiando, il suo volto era una maschera di odio!

Giuditta, anche se tremante, non si perse d’animo e mentre ricambiava lo sguardo in maniera altrettanto indispettita, considerò che non si aspettava davvero un “assassino” così piccolo. Lei si era immaginata di dover affrontare un uomo grande e grosso, magari vestito di nero, con il passamontagna e tutte quelle cose lì da malfattori, non pensava certo di doversi confrontare con un esserino alto forse trenta centimetri, vestito di verde e con un cappello a punta sulla testa! Ma chi diamine era?

La bocca era secca dall’ansia e perciò, sbiascicando più che parlando, gli chiese: “Chi sei tu? Perché uccidi i nostri libri?”, ma quell’essere era già scomparso e Giuditta sentì che in Biblioteca stava accadendo qualcosa. Raccolse tutto il suo coraggio e corse dentro; accidenti! Il “coso” stava gettando all’aria tutti i libri del reparto storico, ma non usava le mani! I libri facevano tutto da soli…com’era possibile?

“Ehi, basta! Dico a te! Lo so che sei tu che stai combinando tutto questo!  Smettila altrimenti…”

“Altrimenti cosa?” rispose una vocina piccola e delicata. Caspita, veniva da lui. Quella vocina quasi angelica veniva da quel mostriciattolo. Giuditta si chiese se per caso non stesse sognando. “Forse sono ancora a letto, dormo e sogno…”

“Altrimenti cosa mi fai?” ripeté allora la vocetta.

“Ti prendo!” gridò la ragazzina e tentò di acciuffarlo, in fondo era minuscolo. Ma l’esserino sgusciava via ad ogni tentativo di cattura, si volatilizzava, svaniva e ricompariva da un’altra parte. Passò un bel po’ di tempo. Giuditta allargava le braccia per afferrarlo e lui spariva, dopo un attimo lo ritrovava in piedi su un mappamodo oppure su un tavolo, poi in cima ad una scala oppure tra gli scaffali dei libri di favole.

La ragazzina tirò il fiato e si accasciò per terra, per riprendere le forze, senza perderlo di vista.

“Perché lo fai? Posso sapere almeno perché? Cosa ti hanno fatto i libri?”

“Non dovete leggere. Io non voglio!”

“E perché mai? Che ti importa se noi leggiamo?”

“Non dovete leggere, ti dico! Mi da fastidio!”

“Ma come può darti fastidio? E’ così bello leggere e poi, e poi chi legge non fa del male a nessuno, anzi. Leggendo scopriamo le cose, impariamo, cresciamo… diventiamo migliori. Perché a te questo da fastidio? Non capisco. Scusa, ma tu non leggi?”

Nel frattempo aveva recuperato un po’ di forze e si era avvicinata lentamente al “coso”, che se ne stava seduto su un grande Vocabolario.  Quello non si mosse e lasciò avvicinare Giuditta.

Aveva la faccia imbronciata adesso e, visto così da vicino, non sembrava tanto cattivo… solo arrabbiato.

“Vuoi dirmi perché lo fai, allora? La signora Rosamaria e Fernando, Paolo e Chiara sono così dispiaciuti, siamo tutti dispiaciuti per quello che hai fatto. E non capiamo il motivo.”

L’essere si grattò la barbetta sul mento, poi puntò i gomiti sulle ginocchia e con le mani in faccia, rispose: “Pcnnslgre” lo disse così in fretta che mangiò la metà delle parole e non si capì nulla.

“Come?” chiese la ragazzina.

Quello sbuffò e svanì. Giuditta lo cercò voltando la testa in tutte le direzioni, finché non lo vide seduto su uno dei mastodontici lampadari di cristallo dell’ampio salone.

“Puoi ripetere? Non ho capito, scusami” cercò di essere dolce nel chiederlo, per non farlo arrabbiare; in fondo stava andando bene, almeno finora non aveva fatto troppi danni.  “E’ che non sembri cattivo…” Ma a quelle parole lui si lanciò verso la ragazzina, fermandosi ad un millimetro dal suo naso e la fulminò ancora con quello sguardo infuocato e diabolico e Giuditta stavolta gridò per la paura.

Si rannicchiò in un angolo, tra gli scaffali della corsia dei romanzi d’avventura, cercando di trarre conforto dai suoi amati libri. Adocchiò “Robinson Crusoe” e istintivamente lo prese, pensando “Ah, era un po’ che volevo leggerlo.”

Vederla con il libro in mano fece infuriare ancora di più il piccolo malvagio che, senza usare le mani, glielo strappò via, sbattendolo contro il muro di fronte.

“Ma si può sapere come fai? Sei… magico?”

Lui voltò la testa dall’altra parte, alzò le spalle e sbuffò. Allora Giuditta, testarda come un mulo, ripartì all’attacco e gli chiese ancora una volta il motivo dell’odio per i libri.

“Hdtochnsolggre!, uffa!”

“Ripetimelo  un’ultima volta, più lentamente però, per favore.”

“Non so leggere! Non so leggere! Ho detto che non so leggere! Hai capito adesso?” e mentre lei sgranava gli occhi proseguì: “E sono uno gnomo, va bene? Non un essere diabolico come pensi tu. Lo so quello che pensi di me, ragazzina fanatica!”

“Ma io non sono fanatica!” strillò Giuditta offesa e sbalordita allo stesso tempo. Poi se ne restarono un po’ di tempo silenziosi, ognuno assorto nei suoi pensieri, finché lei non disse: “Sto seduta in biblioteca con uno gnomo, sto parlando con uno gnomo, è incredibile. Ma allora esistono gli gnomi, davvero! Uno gnomo a Rivabella, non posso crederci…”

Lui la stava guardando un po’ stranito e lei continuò: “Uno gnomo che non sa leggere. Ma pensa tu… Allora sei tale e quale agli umani.  Cioè voglio dire che sei arrogante e ti comporti male proprio come gli umani, che quando non sanno fare una cosa se la prendono con gli altri… Sai, le persone che trattano male gli altri, quelle più arroganti, sono sempre quelle che hanno torto e vogliono avere ragione per forza. Calpestano gli altri quando loro valgono molto meno!”

“Senti ragazzina, prima di tutto è inutile che stai lì a fare la saputa, perché vi conosco bene, voi che sapete leggere siete tutti vanitosi, vi sentite importanti…” e fece una faccia disgustata prima di continuare, “E poi sappi che noi gnomi siamo dappertutto, il fatto che voi non ci vediate non significa che non esistiamo. Capito, cara la mia signorina “sotutto”?”.

E detto questo bastò un rapido movimento del suo naso per far scendere dal soffitto una pioggia fittissima che cominciò a bagnare ogni cosa e ogni libro.

“Nooooo! Ti prego fermala, ferma l’acqua!” Giuditta cercò di mettere al riparo qualche volume, ma l’acqua saliva di livello vertiginosamente.

“Smettila, smettila… Vorrei poter fare qualcosa per non farti arrabbiare, ma cosa…Ecco, ascolta, ho un rimedio! So cosa possiamo fare!”

Lo gnomo storse ancora il naso e l’acqua cessò, non solo, sparì del tutto. Tutto tornò di nuovo asciutto.

“Credo di aver capito il problema, non vuoi che altri leggano perché tu non sai leggere e sei un po’ invidioso…”

“Io non sono invidioso! Gli gnomi non sanno essere invidiosi! Io… io… ci soffro, ecco. Da piccolo ero testardo e non ho voluto imparare e ora mi viene la tristezza quando vedo quelli come voi che sanno leggere. E così mi arrabbio!”

“Oh, povero piccolo… ora è tutto chiaro. Ma io, come cercavo di dirti, ho la soluzione: ti insegnerò a leggere! E’ una bella idea, che ne dici?”

Lo gnomo si grattò la barba, poi il naso, poi la punta del cappello. Infine si grattò le orecchie. Ma non rispose. Evidentemente stava ancora riflettendo sulla proposta della ragazzina.

“Se lascerai che io ti insegni a leggere, tu potrai sfogliare qualunque libro e conoscere storie e avventure, racconti e favole (anche favole con gli gnomi!). Non ti piacerebbe?”

Lo gnomo arrossì e abbassò la testa, poi rispose, sottovoce: “Be’, sì, mi piacerebbe…E allora mi presento, io mi chiamo Fiorin”.

E fu così che andò, quella notte fredda e buia. Andò che Giuditta si fece un amico nuovo e molto magico di cui nessuno venne mai a conoscere l’esistenza, perché gli gnomi ci tengono davvero molto alla loro vita privata. Dopo quella notte, ogni pomeriggio Fiorin compariva in cameretta della ragazzina e per circa un’ora lei pian piano lo introduceva nel fatato mondo della lettura.

Il commissario De Tomis, incontrandola al mercato un mattino di primavera, le disse: “Oh, cara Giuditta, è un po’ che non ci si vede…hai visto che avevo ragione io, che non poteva accadere nulla alla Biblioteca? Eh, te lo avevo detto!”

Giuditta rispose con un sorriso furbetto; non le importava nulla di quello che pensava il commissario, poteva anche essere convinto che lei fosse una bambina visionaria e molto fantasiosa. L’importante era che lei e soltanto lei conosceva la verità; lei conosceva Fiorin! E fu lei, per conto dello gnomo, a lasciare ogni giorno (di nascosto), pacchi di libri nuovi fuori la porta delle quattro librerie del paese.

Giuditta non raccontò mai a nessuno il segreto di Fiorin e di come gli avesse insegnato la lettura. Neanche agli amici del cuore, Filippo e Martina. Perché sennò, che segreto è?



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