Birbo, il bambino disubbidiente

Fiaba pubblicata da: TERESA AVERTA

C’era una volta nel paese di Regolandia un fanciullino, testardo e disubbidiente, di nome Birbo, e quando i genitori gli dicevano o chiedevano qualcosa, non obbediva mai.

Un giorno disse ai genitori:- ho sentito parlar tanto bene della signora Rudel. Dicono che fa divertire i bambini, permette loro di giocare con giocattoli strani e nuovi che io non conosco e prepara anche lo zucchero filato. Ci voglio proprio andare.

Mamma e papà glielo proibirono severamente, e dissero:- “quella signora di cui parli, è una donna cattiva, strana e misteriosa. Ha avuto problemi con i vicini, e qualcuno racconta che pratica anche magie. È isolata in quella casa di campagna tra i boschi, dove abita in compagnia, solo, del suo vecchio e sporco cane.”

Birbo rispose: “Ma che significa… io ci voglio andare e ci andrò!”

La mamma replicò: “Se ti raccomandiamo di non andare, è per il tuo bene; se tu ci vai e disobbedisci ancora alla tua famiglia che ti vuole proteggere, non sarai più il nostro bambino.”

Il bambino capriccioso e ribelle non si curò del divieto e si recò a casa di quella strana signora, in campagna tra i boschi.

S’incamminò per la strada che portava alla casa della signora Rudel, un vecchio casolare in cima al sentiero, bussò e lei gli aprì la porta con fare sornione e sorridente. Ma già il sorriso la diceva lunga perché poteva appena sfoggiare solo due denti, gli unici rimasti nella sua bocca color del veleno.

Birbo ebbe un attimo di perplessità, ma si fece coraggio e le chiese:- “posso entrare signora, vorrei vedere i giochi che lei possiede, mi hanno detto che ne ha tanti… e tutti nuovi. I miei compagni di scuola mi hanno spiegato, dove abitava, la disturbo?”

“Non mi disturbi per niente piccolo mio! Entra, entra pure… tra poco faremo una bella cenetta insieme”.

“Sì grazie!” aggiunse Birbo.

“ Ti aspettavo mio caro bambino, sai conosco tutti i bambini del paese, ma nessuno è venuto a trovarmi… eppure sono andata in piazza, al mercato, al parco per far vedere loro i giochi, ma hanno sempre fretta le loro mamme. Quando mi vedono, scappano via… sembra che vedono il diavolo.”

La casa della signora Rudel si trovava in cima al sentiero nel bosco, circondata da alberi dalle chiome color ruggine e piccoli appezzamenti di orti, dove crescono ortaggi odorosi. Quella donna era buffa con un profilo imbronciato e guardava Birbo sgranando i suoi grandi occhi, mentre camminava avanti e indietro nella casa… sembrava tutta affaccendata. Sgraffigna di qua, sgraffigna di là, la vecchia signora mise in un gran pentolone insieme carote, patate e porri: non proprio gli ingredienti sperati -mancava qualcosa- ma meglio di niente. Stava preparando una zuppa…

“Mio caro Birbo, mettiti pure comodo… fai come se fossi a casa tua, io ci metto un attimo a preparare la zuppa per la cena, e poi giocheremo insieme” disse la vecchia signora.

“Ma che buon profumo ha!” osservò Birbo sorridendo.

“La zuppa in bollore ha l’effetto di attirare verso casa mia tutte le creature che popolano il bosco, rispose la fattucchiera. L’assaggio di un solo cucchiaio di minestra, anche da parte dei più riluttanti, produce in tutti risultati sorprendenti: sazia i più famelici, dà forza agli indifesi, irrobustisce i piccini e ingentilisce le streghe. Cerco di nutrire come posso questi miei amici ahahahah… tra poco la assaggerai pure tu… ahahahahah!”

“Perché hai un pentolone così grande, signora Rudel?” Chiese Birbo innocentemente.

“Quante domande fai bambino insolente” -gridò la signora Rudel- “il pentolone è grande perché devo aggiungere altri importanti ingredienti per insaporirlo. Bada, io ora sono stanca e lascio te a controllare il minestrone… dopo che il fuoco sarà spento, dovrai dividere tutti questi chicchi dalla cenere e se non li dividi e non li rimetti a posto, prima che faccia notte, ti mangio! Ciò detto si affrettò a chiudere la porta col catenaccio e non contenta la serrò con una spranga di ferro; dopo raggiunse frettolosamente la poltrona e si mise a riposare… presto la vecchia si addormentò.

Birbo rimase sbigottito all’ascolto di quelle parole. Era solo, in quella brutta e fredda casa, e provò a raccogliere i chicchi sparsi nella cenere, ma ben presto si stancò e si accorse di quanto fosse inutile e senza possibilità di riuscita ogni suo tentativo, perché aveva intuito che molto probabilmente non ne sarebbe uscito vivo da quella stamberga.

Scoppiò a piangere, si guardò intorno per cercare una via di uscita, per fortuna la finestra della cucina era rimasta aperta e non era molto alta, e si arrampicò con tutte le sue forze, senza lasciarsi cadere.

Birbo, spaventato e tremante, corse a rifugiarsi fuori dietro alla betulla che cresceva davanti al casolare della signora Rudel, quella strana donna che aveva fatto tanto spaventare il nostro piccolo bambino, addirittura l’aveva terrorizzato.

Qui il suo pianto aumentò; tremava e piangeva e i suoi occhietti si gonfiavano di lacrime ma, improvvisamente sentì una voce provenire dal cielo, guardò alla luna e non vide nessuno… ancora la vocina si fece sentire:- “sono qui, bambino mio; ed ecco la vocina provenire precisamente dalla cima di un albero: era un’allodola notturna.

“Perché piangi figliolo mio?” gli chiese la gentile allodola.

“Oh che disgrazia signora Allodola! La signooora, la veeecchia, non lo so più chi è, forse è una strega, ha sparpagliato tanti chicchi d’orzo nella cenere e ha minacciato di mangiarmi, se non riuscirò a dividerli e a rimetterli a posto prima che faccia notte, io non ci sono riuscito e ho avuto tanta paura.”

“Non piangere bimbo mio. Hai detto bene quella è una strega! Raccoglierò io, tutti i chicchi d’orzo che si trovano nella cenere e li metterò nel loro barattolo. L’allodola saggia esortò il bambino a entrare in casa, prima che la strega si svegliasse. Raccolse tutti i chicchi col suo delizioso becco e li depose nel barattolo sulla credenza… ma eccitata e anche un po’ spaventata, come fece per girarsi verso il piccolo Birbo… urtò il barattolo, che scivolò e si frantumò in mille pezzi.

La vecchia strega si svegliò di soprassalto e subito prese la scopa in mano, per mandar via l’allodola, la quale presa dallo spavento volò subito via.

“Queste bestiacce entrano sempre in casa, le avrà attirate l’odore del mio minestrone… ora basta, ho fame, tanta fame.”

E girava, girava come una matta per casa. “Birbo, Birbooo, dove sei? Urlava:- Vieni piccolo, vieni a me bocconcino squisito. Nella mia pancia starai al calduccio.

Birbo si era nascosto dietro una grande panca nel pagliaio… era riuscito a svignarsela mentre la strega cacciava via l’allodola.

In quel posto buio e triste si sentì morire, e piangeva e gridava:- “Mamma, mammina mia, dove sei? Papà, papà caro, perché non ho ascoltato le tue parole. Sono disperato, nessuno mi aiuta!” Povero bambino, era proprio un malcapitato, a causa della sua disobbedienza.

Accanto al pagliaio c’era la cuccia del vecchio cane della strega, di nome Selvy, che udì il pianto del bambino, e nonostante fosse malato e acciaccato dagli anni… corse in suo aiuto. Selvy, nonostante vivesse con la strega, era stato sempre un amico sensibile e fedele.

L’animale si avvicinò piano, piano, senza far rumore, conosceva bene il caratteraccio della strega, -se ne fosse accorta, sarebbe stata la fine… – e non esitò un solo istante prima di intervenire per salvargli la vita. Prese il bambino di peso, lo trascinò con i denti sul terreno, cercando di portarlo lontano dalla casa maledetta e riportarlo alla sua famiglia. Corse, corse tanto e velocemente, trascinando Birbo fuori dalla campagna. Poi si fermò appena fuori dal bosco, in un angolo di verde, a riposarsi un po’, e per controllare che il bambino stesse bene e respirasse ancora. Lo lasciò in quell’angolo nascosto dal fogliame sotto una grande quercia e andò a cercare aiuto.

Riprese la corsa verso il paese, in cerca di qualcuno che lo avvistasse, e abbaiava, abbaiava per attirare l’attenzione dei passanti; per fortuna, da lontano scorse due persone: un uomo e una donna sul ciglio della strada.

Il destino volle che quei due fossero proprio i genitori di Birbo, lo stavano cercando disperatamente; il cane li guardò, e abbaiava forte, continuando a scrutare i loro occhi per far capire loro, che sapeva qualcosa, che in realtà sapeva dove era nascosto il loro unico figlio: Birbo.

Il papà di Birbo si abbassò verso di lui, lo accarezzò e disse alla moglie: questo cane forse ci vuole rivelare qualcosa… seguiamolo. E quando arrivarono qualche chilometro più avanti nel bosco, vicino a una vecchia fontana, tra il verde degli alberi secolari intravidero una testa… la testa di un bambino: era lui, era il loro Birbo.

La mamma corse a prenderlo e se lo strinse al petto. L’emozione fu grande che non riuscì a dire una parola. Il papà si avvicinò, e con il volto raggiante esclamò:- “Dio sia lodato! Piccolo Birbo sei salvo.”  Grazie a Selvy, quel bambino era sano e salvo!

Quel cane “eroe” aveva, infatti, salvato la vita al loro bambino. Un bambino che per aver disobbedito, era caduto nelle grinfie di una strega. Birbo era stato la vittima di un imbroglio, di una tentazione dei suoi cari compagni. Poteva andar peggio, poteva finire nella pancia della megera, della vecchia e cattiva strega ma, grazie al coraggio e all’amore di quel cane eroe, il bambino e la sua famiglia sono ancora uniti.

Morale della favola: La famiglia è la vera casa dei bimbi. I bambini devono imparare ad ascoltare e non a disobbedire ai genitori. L’educazione non può essere lasciata al caso ma richiede regole chiare e comprensibili, che però non significa impartire ordini, ma solo mostrare esempi. L’ubbidienza ai genitori protegge la “vita d’ora”, ma grazie all’ubbidienza si possono avere anche “quella avvenire”, che viene definita la vera vita.

 



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