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Il comodino solitario

Fiaba pubblicata da: Norrell

C’era una volta un vecchio comodino di legno, giustamente orgoglioso della posizione che da tempo immemorabile occupava in quella cameretta piena di fiori, che la tenue luce delle candele rischiarava e le più esotiche fragranze profumavano.

Nulla sembrava mancare perché lenta e tranquilla scorresse la sua vita ma, ahimè, la sua pace era scomparsa il giorno in cui la Dama della cameretta gli aveva imposto, senza nemmeno chiedergli cosa ne pensasse, di coabitare con una compagnia di statuine e pupazzetti a cui sembrava,perché poi,santo Cielo? molto affezionata. Il comodino, che come tutti i vecchi mobili era piuttosto riservato e conformista, avvertì un’immediata fortissima antipatia per “la masnada”: eccentrici, chiassosi, svitati, incarnavano alla perfezione tutto ciò che per lui era assolutamente insopportabile; ma proviamo un po’ ad entrare nei suoi pensieri: “Come potrò mai dedicarmi alle mie predilette meditazioni sull’origine e le cause prime dell’universo mondo con questo strazio continuo ai miei timpani?

 

E l’Ippogrifo? Tutte le volte che cerca di volare fa cadere quella mezza incantata della Giraffa di muso per terra, quando non finisce sui piedi della Danseuse, troppo occupata a mangiarsi con gli occhi il Ballerino per accorgersene… La Stellina poi (te la raccomando!) non fa che parlare di vestiti
e frivolezze con la Sirenetta, quando sa benissimo che la poverina a stento può permettersi un vecchio strascico démodé,e guai se ti azzardi a protestare con la Pendola perché va avanti e indietro come più le gira. Mah, sia fatta la volontà del Cielo; speriamo solo che stasera il Corsaro e l’Arciere non si mettano a darsele di santa ragione per far colpo sulla Fatina.” Povero comodino, non aveva poi tutti i torti!

Ah, se soltanto gli uomini non dimenticassero così presto certe voci silenziose, forse la Dama avrebbe cercato di metter pace fra loro e se proprio non funzionava si poteva sempre trovare un’altra sistemazione, magari in salotto. Ma quelle voci lei non le intendeva più- e poi era troppo occupata a scrivere poesie.
Il nostro comodino, ormai rassegnato a trascorrere i suoi giorni nel frastuono
e nella confusione s’immalinconiva sempre di più: né la luce del sole né i pallidi raggi della luna sembravano più parlare all’animo suo; aveva cominciato a rifiutare il cibo e a soffrire d’insonnia.

Dal canto loro, anche i pupazzetti e le statuine era già un po’ che si sentivano depressi e infelici. “Perché mai? ” vi chiederete. E’ molto semplice: la Dama della cameretta, che viveva di libri e si nutriva di parole, ormai da secoli non passava più lo straccio per la polvere, che si accumulava sugli abiti sui volti e sui sorrisi a ricordare che lenta ma implacabile è la mano del Tempo.

Ora, voi tutti sapete che la vanità di un soprammobile, soprattutto se è una Stellina o una Sirenetta, non ha limiti; stanchi di quell’oltraggio che deturpava la loro bellezza, le statuine e i pupazzetti decisero di fuggire. Struggente fu l’invocazione che rivolsero alla Luna: “A noi propizia, concedici benevola
il tuo aiuto, o pallida Signora della notte. Penetra nella cameretta, sii prodiga della tua luce e noi, aggrappandoci ai tuoi raggi, potremo abbandonare questo inospite luogo desolato”.

Non penserete, spero, che un soprammobile parli sempre con tanta solennità, ma un po’ ci tenevano a far bella figura con la Luna che, si sa, va matta per le alate parole, un po’ avevano sfogliato in cerca d’ispirazione qualche vecchio libro della Dama.

La Luna, toccata da una supplica così intensa, promise sul suo onore che li avrebbe aiutati; l’impresa fu decisa per la notte del tredici dicembre che, come voi tutti sapete, è la notte più lunga dell’anno, ideale per eclissarsi in piena regola.

Figuratevi un po’ il nostro comodino quando, del tutto casualmente e senza nessuna intenzione di origliare, s’imbattè in quei progetti di fuga!
“Oddio, se ne vanno” esultò e dalla gioia per poco non cadde a terra mandando in frantumi tutta l’allegra brigata: l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto perché, anche se insofferente e brontolone, era pur sempre un bravo comodino.

Che bella la vita, volavano nel cuore i suoi pensieri, senza le nevrosi dell’Ippogrifo, gli sguardi stralunati della Danseuse, le bravate del Corsaro e quella musica senza pietà. Giorni e giorni di quiete e di silenzio, un silenzio amico che non l’avrebbe mai abbandonato, così forte non dico da poterlo toccare – i comodini, sapete, non hanno le mani – ma da lasciarsene avvolgere come dall’ombra del crepuscolo d’inverno e se questa non è poesia allo stato puro ditemi un po’ voi, allora, che cos’è!
Dopo qualche giorno, però, si accorse che cominciava ad aver paura. “Che strano” direte voi; ebbene, sarà anche strano, ma quella pace e quel silenzio tanto e tanto a lungo attesi e sognati gli ricordavano sempre di più una candida distesa di sudari e spettri desolati, sapevano di morte, per farla breve,
e la cosa non gli garbava neanche un po’; insomma, in capo a sabato pomeriggio(la fuga era prevista per domenica notte) aveva deciso che le statuine e i pupazzetti non se ne parlava nemmeno che scappassero.

Doveva impedirglielo a tutti i costi, solo che non sapeva proprio come fare. Per fortuna la necessità, come c’insegna il proverbio, è madre dell’ingegno: pensa e ripensa si rammentò che sin dalla notte dei tempi, tra ruggini di antiche chiavi e decrepiti velluti, giaceva in uno dei suoi cassetti uno straccio per la polvere che aveva lasciato casa per conoscere il mondo forse un paio di volte in tutta la sua vita.

Chissà, magari si poteva anche. . . Un’idea semplice ma di sicuro effetto gli illuminò la mente che, alacre e operosa come non mai, gli consentì quella notte sì e no un paio d’ore di lieve sonno felice.

Naturalmente, si preparò per benino; le sue parole, la risposta della Luna, l’incredulo stupore di statuine e pupazzetti, si figurava ogni cosa con una fantasia sfrenata e un po’ barocca che, in tutta sincerità, non pensava proprio di possedere.

Che avesse cominciato a voler bene ai suoi impossibili vicini di casa? Chissà; certo è che senza di loro rischiava seriamente di ammalarsi di tristezza e solitudine- e per quelle non c’è rimedio che tenga.

Dal canto nostro, mentre alla luce di una candela in fin di vita redigiamo la cronaca fedele di questi avvenimenti, vorremmo tanto raccontarvi che anche loro avevano scoperto di volergli bene, o che almeno i più emotivi e sentimentali producessero sconsolati sospiri pensando all’incombente addio.
Certo sarebbe molto bello,ma, ahimè, non sarebbe vero.

Al contrario, se la memoria non c’inganna, una sera, all’ombra protettiva del crepuscolo e di un bicchierino di acquavite di prugne, la Sirenetta osservò che il comodino aveva una di quelle facce da perfetto menagramo: c’era da meravigliarsi che fossero ancora tutti interi e in buona salute, con un tipo simile.  “Forse è triste perché nessuno gli vuol bene e si sente tanto solo” sospirò la Danseuse da vera romantica sentimentale.

Il Corsaro che, benda nera e coltellaccio a parte, era senza dubbio il più affascinante, ammirato e invidiato di tutti, esplose in una fragorosa risata: “Sciabole e forzieri!Rum e testa di morto!Triste? Solo? Ma con quella faccia chi volete che se lo pigli? “

“E poi non sa neanche da che parte cominciare(il Ballerino, tra un occhiolino e un sorrisetto),locali alla moda, regali esclusivi, rose, orchidee, marron glacé-poveraccio,
non ci capisce niente. “.
“Mais oui, chéri, ça va sans dire” esalò distrattamente la Stellina, che quella sera doveva uscire con l’Astronauta.
“E se il suo passato nascondesse un grande amore finito male? Non so, qualche sedia, magari uno sgabello. “.
“Mon Dieu, un amore che finisce male mi spezza il cuore” sussurrò la Danseuse, ed è un vero peccato che il tempo e lo spazio tiranni non ci consentano di riportare per intero il seguito di una conversazione di così raffinata eleganza.
Ah, se il comodino li avesse sentiti!Sarebbe scoppiato a piangere? Avrebbe cambiato idea? Chi può dirlo? Forse è più giusto non sapere, se è vero che molto più dell’ingenua luce del giorno ci nasconde l’ombra e ci protegge.

La notte del tredici dicembre il cielo, che non vedeva la Luna da un bel pezzo ed era fuori di sé dalla gioia, pensò di festeggiarla sfoggiando il mantello delle grandi occasioni, di un morbido velluto azzurro che ormai non se ne trovano più; la Luna, lusingata ma un po’ indecisa, dopo molto esitare si decise per un tubino che esaltava il suo pallore delicato. Le stelle erano rimaste a casa perché si sentivano stanche e avevano un po’ d’influenza. La Dama della cameretta dormiva, sepolta da coperte, piumotti e una beata oscurità, il sonno del poeta, quando le parole ti sorridono con mille promesse di eterno amore, statuine e pupazzetti sussurravano eccitati  in un brusio fresco e lieve come una trina. Il comodino, da attore consumato qual era, pareva ronfasse come un ghiro, ma in realtà se la rideva sotto i baffi.

Quando anche l’ultimo dei dodici rintocchi si fu allontanato la Luna cominciò a scendere piano piano e con una certa paura ,perché soffriva di vertigini,la scala dai molti gradini che si usa solo nelle occasioni speciali: la sua luce salutava gli alberi, le strade, le case, che agitavano le mani e tendevano le braccia perché lei li toccasse ancora e ancora e ancora; e quando la Luna fece il suo ingresso trionfale la cameretta fu così splendida e luminosa che per l’invidia le altre stanze ebbero mal di testa per una settimana.

“Presto, andiamo!” ordinò il Corsaro, pugnale in bocca e occhi scintillanti. Capita a volte, nella vita, che una parola, un gesto, possono decidere di tutta un’esistenza. “No”: stentorea si sarebbe levata la voce del comodino a riscattare con quel fatale monosillabo secoli e secoli di oblio e di silenzio, ma neanche a farlo apposta un pizzicorio dispettoso gli troncò sul nascere quel “no” così decisivo e una tossetta asprigna e ripetuta, su probabile base nervosa, fu tutto quello che riuscì a proferire.

Per fortuna (non si sa mai, qualcosa può sempre andare storto) si era tenuto a portata di mano lo straccio per la polvere che prese a sventolare alla disperata mentre la tosse sparava a zero.

“Guarda” cinguettò tutta intenerita la Danseuse”ci sta dicendo addio. “. “Ma va’” ribattè l’Arciere dai lunghi capelli biondi e il giustacuore blu. “Non vedi che è raffreddato? “.
Il comodino, poveretto, avrebbe voluto sprofondare; con uno sforzo sovrumano cercò di fermare la tosse ma, Dio ne scampi! a momenti moriva soffocato. La Luna allora, che sa sempre tutto perché informata dalle mille voci della notte, si affrettò a offrirgli certe sue caramelline che facevano miracoli per tosse e mal di gola, così la tosse in un attimo se la diede a gambe e incontro alla luce della luna levò la luce delle parole del comodino.

“Possa il mio stento balbettio, o cara all’amante ed al poeta, muoverti a compassione. Se le statuine e i pupazzetti mi abbandoneranno, in atroce solitudine si consumerà la mia esistenza; se invece le tue dita di argento degneranno sfiorarli con quest’umile straccio, la polvere sarà sconfitta e sfolgoranti di musica e allegria accanto a me vivranno. Sia madre di pietà l’onesta mia canizie; e voi, amici di sempre, non mi lasciate preda inerme all’avida fame della malinconia”.  E’ facile immaginare come queste parole provocassero una certa reazione nell’allegra brigata, qualcuno si asciugò furtivamente una lacrima, la Danseuse spalancò tanto d’occhi, la Sirenetta, per non essere da meno, rimase a bocca aperta, la Pantera rosa emise un sordo brontolio di approvazione mentre l’Ippogrifo batteva le ali facendo come al solito cadere la Giraffa, e gli uomini tossicchiavano un po’ a disagio.

La Luna, dal canto suo, non poteva certo sciupare un’occasione così per mettere in giusta luce la sua nobile eloquenza: “M’inchino compiacente al tuo volere, onusto comodino di anni e di esperienza. Grande è per me l’onore di carezzare i tuoi amici col tuo finissimo lino ricamato perché, restituiti all’antica bellezza, insieme a te vivano per sempre. “.

E così, come in ogni favola che si rispetti, tutto si concluse nel migliore dei modi, la Luna mise alla porta fin l’ultimo granello di polvere e fece dono a tutti di una bella provvista di luce per i momenti neri; tra canti danze e risate il comodino e i suoi amici passarono così tanti anni da non poterli neanche contare, ma, ci credete? al comodino non riuscì mai di levarsi dal cuore l’amaro dispiacere per quel maledetto attacco di tosse colpevole della più magra di tutte le sue figure.



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