Il pastore e l’armento

Il pastore e l’armento

Fiaba pubblicata da: Redazione

– Oh Dio, non passa dì che la mascella
del lupo fra le mille
non mi rapisca qualche pecorella.
Erano mille, ahimè! non son più mille,
e ancora m’ha rapito quel rabbioso
il Ricciolin, un pecorin grazioso.

Ricciolin, che per il prato
mi seguìa come un cagnòlo,
Ricciolin, che colle buone
fin al polo
ben mi avrebbe accompagnato,
Ricciolin, che la canzone
conoscea del suo padrone
e seguiva
lieto il suono della piva,
ah terribile destino!
dove sei, buon Ricciolino? –

Così Taddeo con funebre lamento
piangeva celebrando la memoria
di Ricciolin, la gioia dell’armento,
di poema degnissimo e di storia.

Quindi il gregge adunò, capri e montoni
e tutti fino agli ultimi agnelletti,
e disse lor di camminar più stretti,
se volevan salvarsi dagli unghioni.

Le pecore promisero in parola
di popolo di star dentro il confine,
strette serrate per non far la fine
che fece quella onesta bestiola.

E diceano: – Il tuo destino,
Ricciolino,
noi sapremo vendicar,
e l’ingorda
faccia lorda castigar -.

Lieto Taddeo delle promesse, crede
che sian cose di fede;
ma quando un’altra notte ancor sbucò
di mezzo all’aer cupo
la mala bestia, l’armento scappò.
E l’ombra era d’un lupo.



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