Fiaba dello Zar Saltan
Fiaba pubblicata da: Redazione
In una graziosa casetta dalle finestre fiorite vivevano una volta tre sorelle. Un giorno esse stavano filando nel giardino davanti alla casa e chiacchieravano tra loro.
– Se fossi zarina, – disse la prima – cucinerei con le mie mani un banchetto squisito per tutte le genti del reame.
– Se fossi zarina, – disse la seconda – tesserei un abito meraviglioso per ogni abitante della terra.
– Se fossi zarina, – disse la terza dolcemente – regalerei allo zar un figlio eroe.
In quel momento un giovane aprì il cancello di ferro battuto ed entrò nel giardino.
– Sono lo zar Saltan – egli annunciò. – Passavo da queste parti e mi è capitato di sentire i vostri discorsi. Vuoi essere mia sposa, graziosa fanciulla? – soggiunse rivolgendosi alla terza sorella. – E voi, damigelle, volete essere la cuoca e la tessitrice di corte?
Lo zar fece salire la sua futura sposa su un bianco cavallo e la condusse a palazzo. Quando vi giunsero, si celebrarono subito le nozze e, in onore degli sposi fu indetto un grandioso banchetto. Le stanze del castello risuonavano di allegre grida e di risate; ma nella grande cucina e nella stanza degli arcolai le due sorelle, si rodevano per l’invidia e non riuscivano in nessun modo a darsi pace.
Era trascorso poco tempo quando lo zar dovette balzare sul suo cavallo e partire per la guerra. Per lunghi mesi egli rimase lontano, occupato a combattere i nemici del suo regno, e nel frattempo Dio donò alla zarina un bimbo bellissimo, alto quasi un metro. La zarina lo guardò con amore orgoglioso, come un’aquila guarda il suo aquilotto. Subito fu inviato un messo allo zar con la bella notizia.
Ma le due invidiose sorelle e la vecchia comare Barbarica fermarono per strada il messaggero, lo distrassero con una scusa e gli infilarono nella bisaccia un altro messaggio che diceva: “ La nostra zarina ha donato allo zar un essere mostruoso, un animale sconosciuto. Che dobbiamo fare?”
Non appena lo zar ebbe letto quest’orribile notizia, sentì una pena acuta stringergli il cuore. Poi prese uno stilo e scrisse: “ Si attenda il mio ritorno”.
Il messaggero ritornò al castello, ma non aveva ancora varcato il ponte levatoio quando le due invidiose sorelle, che avevano spiato ansiosamente il suo arrivo, gli afferrarono le briglie, lo fecero scendere da cavallo e lo condussero in cucina. Qui con mille chiacchiere e qualche bicchiere di vino, riuscirono di nuovo a sostituire il messaggio con un altro che diceva: “ Che la zarina e la sua creatura siamo chiusi in una botte e gettati immediatamente in fondo al mare. Ordine dello zar”.
Il nunzio portò il messaggio ai nobili del palazzo ed essi, benché inorriditi e sconvolti, dovettero eseguire l’ordine del loro sovrano. Presero la zarina e il suo bellissimo bimbo, li chiusero in una botte e li gettarono nel nero mare, in balia delle onde. Poi tornarono al castello e, assaliti dal rimorso, si coprirono il capo di cenere.
Scese la notte: le stelle si accesero, la luna mandò i suoi raggi a inargentare le onde del mare.
Laggiù, tra onda e onda, cullata dal vento, una botticella continuava il suo viaggio. Piangeva nell’interno la zarina e cercava invano, battendo i piccoli pugni sul legno, di spezzarlo; il principino cresceva di ora in ora, diventava grande, bello e forte, e implorava l’onda ad alta voce:
– Onda gentile, onda inargentata, tu che accarezzi le rive del mare, tu che levighi i sassi dei fiumi, tu che vai cantando, libera e felice, la tua canzone, ti prego, non farci morire, abbi pietà di noi, salvaci! Facci approdare su una riva amica! Fa che troviamo gente ospitale che ci accolga nella sua terra!
L’onda ubbidì. Prese la botticella e la depose sulla spiaggia, poi si ritirò quietamente. Il principino si drizzo in piedi, punto il capo contro il coperchio e questo si spezzò, lasciando uscire la zarina e suo figlio. Si ritrovarono in un isola deserta, coperta di verdissimi prati e dominata da una collina, su cui s’innalzava, ben salda, una quercia. La zarina rivolse lo sguardo al cielo e s’inginocchiò sulla spiaggia per ringraziare Dio di averli tratti in salvo. Il fanciullo si guardò attorno, poi si diresse subito verso la grande quercia e ne spezzo un ramo. Ne staccò le foglie, e lo mise da parte. Poi sfilò il cordone di seta della croce che portava al collo, prese il ramo, curvò ad arco e all’estremità legò il cordone; staccò un ramoscello e lo appuntì per farne una freccia, e con il nuovo arco s’incamminò lungo la spiaggia per procurare la cena per sé e per sua madre.
A un tratto gli giunsero all’orecchio dei gemiti. “ Chi può essere? “ pensò il principino, allarmato. “ Chi mai si lamenta su quest’isola deserta? “ ma ecco, i gemiti si facevamo sempre più vicini, si udiva un ronzio, un batter d’ali …e laggiù, tra le alghe, il fanciullo scorse un cigno meraviglioso, con le ali di un candore abbagliante, nell’atto di difendersi dagli assalti di un orribile sparviero dal becco spalancato. Lo sparviero aveva già sfoderato gli artigli e protendeva il becco adunco … quando la freccia del principino trafisse l’aria sibilando e gli penetrò nel collo. Subito l’uccellaccio piombò a picco nel mare lanciando un urlo lacerante, e il suo sangue tinse l’acqua di rosso. Allora il cigno levò verso il fanciullo il suo lungo collo flessuoso e cominciò a parlare con voce dolcissima:
– Grazie, figlio dello zar, per avermi salvata. Io non sono un cigno, ma una fanciulla vittima di un incantesimo, e quello che tu hai trafitto non era uno sparviero, bensì il mago crudele che mi teneva prigioniera. Io ti sarò grata per sempre di ciò che hai fatto e ti sarò al fianco quando avrai bisogno di me. Ora torna da tua madre e và a riposare. Addio! – E il cigno si levò in volo.
Il principino guardò a lungo il cigno che si allontanava e poi tornò da sua madre e tutti e due si addormentarono sulla riva del mare … e il mattino dopo, non appena i sogni della notte fuggirono via, una meravigliosa sorpresa attendeva il principino! L’isola non era più deserta, ma vi s’innalzava una grande città, circondata da bianche mura merlate; le torri dei palazzi e le cupole dei monasteri risplendevano al sole e un gioioso scampanio annunciava una grande festa.
– Mamma, mamma guarda! – gridò il fanciullo, destando la zarina.
– Oh! – mormorò la zarina. – Chi mai avrà fatto sorgere, stanotte, questa città?
E insieme si avviarono verso i cancelli.
– Senti questo scampanio? – disse ad un tratto la zarina. – Sembra che ci sia una grande festa. Chi sarà il festeggiato?
– Guarda, mamma, le carrozze dorate che vengono da questa parte, con dentro tante dame e tanti cavalieri! E guarda che magnifici cavalli! E quanta gente viene verso di noi! Che cosa vorrà?
– Vogliamo incoronarti nostro principe, fanciullo – gli disse un vegliardo dalla lunga barba bianca.
Poi gli posò sul capo biondo una corona e soggiunse:
– Che d’ora innanzi tu sai il nostro amato sovrano, con il nome di principe Guidone.
Grandi acclamazioni si levarono. La folla si strinse festante attorno al fanciullo sovrano mentre la zarina piangeva di gioia. Poi la zarina e il fanciullo furono accompagnati nello splendido palazzo reale, dove ebbero luogo grandi festeggiamenti.
Una nave correva veloce sulle onde, le grandi vele spiegate. Il nocchiero, dall’alto, scrutava l’orizzonte. A un tratto, un grido:
– Terra in vista!
I marinai si affollarono sul ponte.
– E’ l’isola deserta! L’isola della quercia! – gridò uno.
– E ora vi sorge una città, con torri e le mura merlate! Che strano prodigio è mai questo?
– Sentite? I cannoni sparano a salve per invitarci ad approdare. Presto, accostate! Gettare l’ancora!
I marinai scesero a terra e il principe Guidone mandò ambasciatori per invitarli a palazzo e fece preparare un banchetto.
– In cosa commerciate, ospiti? – chiese il principe.
– In pellicce e pietre preziose. Abbiamo viaggiato in lontane contrade, e ora stiamo tornando in patria, nella terra del glorioso zar Saltan.
A queste parole il principe Guidone trasalì.
– Che il mare vi trasporti quietamente e il vento vi possa sospingere fino in patria, naviganti – disse – E, là giunti recate il mio saluto allo zar Saltan.
I marinai risalirono sulla nave e ripartirono, mentre sulla riva il principe Guidone guardava sospirando le bianche vele che si allontanavano veloci sul mare. Un guizzo sull’acqua, uno scintillio di bollicine d’argento, una cascatella di candida spuma, ed ecco che la dolce principessa Cigno apparve sulla cresta dell’onda.
– Salute a te, mio principe – ella disse. – Perché mai sei così triste e malinconico?
– La nostalgia della mia terra e il desiderio di rivedere mio padre mi opprimono, cigno gentile.
– Io sono in grado di alleviare il tuo dolore, principe. Non vorresti volare dietro alla nave fino alla tua terra e a tuo padre? Ebbene, farò in modo che il tuo desiderio venga esaudito: che tu sia trasformato in una zanzara!
Il cigno scosse le ali e spruzzo il principe di mille goccioline d’argento. Egli divenne fin quasi a scomparire … e si trasformò in uno zanzarino, che volò ronzando dietro la nave.
La nave correva veloce su un mare tranquillo, sospinta da un allegro venticello. Il principe zanzarino la seguiva, volando sulla scia, con gli occhi rivolti alla sua patria. Ecco la terra! Ecco le bianche torri! I naviganti approdarono felicemente e una gran folla venne loro incontro per salutarli. Ad accoglierli c’erano anche i messaggeri dello zar che li invitarono a palazzo.
Nella sala delle udienze lo zar Saltan sedeva sul trono con il volto malinconico e assente come se il suo pensiero vagasse lontano. Le due invidiose cognate e la comare Barbarica gli sedevano accanto in silenzio. Lo zanzarino fece un voletto affettuoso attorno al capo dello zar, poi si posò sulla sua manica sinistra.
– Da quali paesi venite? – chiese lo zar. – Avete viaggiato a lungo? Quali meraviglie avete visto nel grande mondo?
– Molte cose straordinarie abbiamo viste. Strane usanze e incantevoli paesaggi. Ma la cosa più strana e meravigliosa è stata questa: dove un tempo sorgeva un’isola deserta, è sbocciata d’un tratto una bellissima città, con le cupole d’oro risplendenti al sole, i giardini profumati e una reggia grande e imponente. Vi regna il principe Guidone, che ti manda i suoi saluti.
– Ma è un fatto veramente prodigioso! – esclamò lo zar Saltan. – Questa strana isola mi incuriosisce molto. Voglio proprio andare a vederla e a rendere visita al principe Guidone.
Le tre donne si guardarono. Chi era mai questo principe Guidone? Nessuno ne aveva sentito parlare.
– Ma che cosa c’è di tanto straordinario in quello che avete raccontato? – saltò su allora la sorella cuoca. – Io sì che conosco un posto dove succedono cose stupefacenti ….
E dopo una pausa, proseguì:
– In un bosco di mia conoscenza c’è un abete, sotto l’abete c’è uno scoiattolo, lo scoiattolo canta canzoncine e sgranocchia continuamente noccioline. Le noccioline hanno il guscio d’oro e la mandorla di smeraldo.
Lo zar, pieno di stupore, aveva già dimenticato la strana isola con le cupole splendenti. Allora lo zanzarino andò ronzando a pungere la cuoca sopra l’occhio destro. Potete immaginarvi il parapiglia che si scatenò! Tutti correvano, urlando, si sbracciavano per afferrare l’impudente zanzarino, ma questi fuggì via dalla finestra spalancata e se ne tornò alla sua terra.
Alcune sere dopo, il principe, che aveva ripreso il suo aspetto umano, passeggiava sulle rive del mare, sospirando. La luna mandava i suoi raggi sull’acqua. Ma ecco, i raggi s’intrecciano in modo bizzarro, disegnando un’ala, lungo collo, un cigno!
– Salve, mio principe! – mormorò dolcemente la principessa Cigno – Perché passeggi triste e pensieroso sulle rive del mare?
– Un desiderio irrealizzabile mi tormenta, cigno gentile. Laggiù, nella reggia di mio padre, ho udito parlare di un bosco dove vive uno scoiattolo che, cantando una canzoncina, sgranocchia noccioline d’oro purissimo che hanno l’interno di smeraldo. Io vorrei possedere questo scoiattolo, ma purtroppo ciò non può avverarsi.
– Non rattristarti, mio principe. Ciò che desideri non è impossibile. Sono felice di poterti aiutare e di provarti la mia riconoscenza. Torna a casa e vedrai …
Rasserenato, il principe Guidone ritornò a casa e … vi immaginate che cosa vide non appena ebbe varcato il cancello del suo giardino? Lo scoiattolo fatato che sgranocchiava allegramente noccioline e faceva tanti mucchietti dei gusci d’oro e dei frutti di smeraldo! I dignitari e le dame di corte lo guardavano con gli occhi spalancati per la meraviglia.
Il principe batté le mani per la contentezza; ringraziò dentro di sé il cigno amico e fece costruire per lo scoiattolo una bellissima casetta di cristallo, con la vaschetta per fare il bagno, la spazzolina per pettinarsi la lunga coda e un’altalena per cullare i suoi sogni.
La nave correva veloce sull’onda, sospinta dal vento. Il sole giocava con le sue vele e con il ponte, bruciate sotto i suoi raggi. Poi l’isola della quercia si delineò all’orizzonte e i cannoni a salve per invitare i naviganti a entrare nel porto. Ammessi nella reggia, i marinai chinarono la testa davanti al principe la testa davanti al principe Guidone.
– Che nuove mi portate, ospiti? – chiese il principe. – Da quale terra venite e dove state andando?
– Siamo andati in lontani paesi e abbiamo commerciato in cavalli; ora stiamo navigando verso la terra di Saltan, nostro zar.
– Vi auguro che la vostra nave giunga felicemente in porto, naviganti. E, non appena sarete in patria, vi prego, non dimenticate di dire allo zar Saltan che il principe Guidone gli manda il suo saluto.
Gli ospiti si accomiatarono da lui e ripartirono sulla loro nave. Guidone andò a passeggiare sulla riva del mare, fissando lo sguardo sulle bianche vele che si allontanavano. Il cigno si avvicinò silenziosamente al giovane e gli disse:
– Che hai, mio principe? Perché te ne stai qui solo soletto e sospiri? Che cosa ti affligge questa volta?
– Una grande nostalgia mi punge il cuore. Vorrei volare via come quella nave, sulla cresta dell’onda, verso la mia patria e mio padre, ma non ho ali che mi trasportino.
Il principe non aveva ancora finito di parlare che già la principessa Cigno aveva scosso le ali ed egli si era trasformato in un ronzante moscone.
– Addio, cigno gentile! E grazie! – e il principe moscone andò a posarsi sull’albero maestro.
La nave correva veloce sull’onda e già entrava nel porto. I naviganti furono invitati a reggia dallo zar Saltan e il nostro audace moscone volò dentro con loro. Lo zar era seduto su un trono tutto d’oro, aveva in capo una corona risplendente di pietre preziose, ma il suo sguardo era triste. Accanto a lui, come sempre, erano sedute le due cognate e la comare Barbarica.
– Da dove venite, naviganti? – chiese lo zar Saltan. – Avete fatto buon viaggio? Che novità vi sono nel mondo?
– Abbiamo visto cose meravigliose, sire, ma la più meravigliosa di tutte è stata questa: in mezzo al mare vi è un’isola in cui è sorta all’improvviso una città dalle cupole risplendenti. Nel giardino della reggia cresce un abete: sotto l’abete c’è uno scoiattolo che canta una canzoncina e sgranocchia noccioline i cui gusci sono d’oro e i cui frutti sono di smeraldo. Lo scoiattolo vive in una casetta di cristallo. Con i gusci gli isolani coniano monete e gli smeraldi vengono distribuiti agli abitanti. Signore di quest’isola è il principe Guidone, che ti manda il suo saluto e ti invita nella sua terra.
L’animo dello zar si riempì di stupore ed egli esclamò:
– Allestitemi una flotta. Voglio andare a vedere quest’isola incantata e a far visita al principe Guidone.
Ma le due sorelle e la comare Barbarica si guardarono sospettose. Chi era mai questo principe Guidone?
– Che gran cose raccontate! – esclamò con voce rauca la tessitrice. – Ma che cosa c’è di tanto strano nel fatto che uno scoiattolo sgranocchi noccioline d’oro? Vi racconterò io un fatto molto strano più strabiliante.
Nella sala si fece improvvisamente un gran silenzio. La tessitrice proseguì cantilenando:
– Sulle rive di un mare lontano, agli estremi confini della terra, si dice succeda questo strano fenomeno; percorso da un vento di tempesta, il mare ribolle, schiumeggia, si gonfia; dalle sue acque sorgono infine trentatre guerrieri alti e forti e armati fino ai denti, ricoperti di squame lucenti. E alla loro testa c’è l’antico eroe Tcernomor. Questo si che è un prodigio unico al mondo!
Tutti ammutolirono per la meraviglia e lo zar Saltan era già dimenticato dell’isola della quercia. Il moscone allora s’infuriò e, ronzando sul capo della tessitrice, la punse sotto l’occhio sinistro.
– Uccidetelo! – urlavano tutti. – Presto, acchiappatelo! Non lasciatelo scappare ! di qua! No, di là!
Ma il principe moscone fuggì via veloce attraverso la finestra e se ne tornò alla sua terra. La sera, dopo il tramonto, il principe Guidone andava sulle rive del mare. Nuotando silenziosamente, gli s’accostò ancora una volta la dolce principessa Cigno.
– Che hai, mio principe? – mormorò. – Perché passeggi triste e pensieroso sulla riva del mare? Perché guardi l’orizzonte e sospiri? Che cosa c’è che non va?
– Un grande desiderio mi riempie il cuore gentile. Ho sentito dire che vi è un luogo nel mondo in cui il mare, percosso da un vento di tempesta, ribolle, schiumeggia e infine lascia uscire dalle sue acque trentatré guerrieri alti e forti armati fino ai denti, ricoperti di squame lucenti. E alla loro testa c’è l’antico eroe Tcernomor. Oh, come vorrei poter vedere con i miei occhi questo strano prodigio! Ma purtroppo non potrò mai realizzare questo desiderio …
– Non rattristarti, mio principe. Io posso aiutarti a realizzare il tuo desiderio. Quei guerrieri del mare sono miei fratelli. Torna a casa tranquillo e attendi …
Il principe tornò a casa rasserenato e salì in cima alla più alta torre, fissando lo sguardo sul mare. A un tratto un soffio di tempesta sconvolse il mare, che ribolle, schiumeggia, si gonfia, poi lascia sulla sabbia trentatré fortissimi guerrieri, rivestiti di squame lucenti. I guerrieri avanzano in fila, le armi in pugno, e innanzi a tutti va l’antico eroe Tcernomor.
Guidone si precipitò giù dalle scale e corse incontro agli ospiti. Le guardie spalancarono i cancelli della città per fare entrare i trentatré guerrieri. I guerrieri entrarono con il capo fieramente eretto, e le loro squame mandavano bagliori sinistri. Il capo, Tcernomor, si presentò al principe Guidone.
– La principessa Cigno, nostra sorella, ci ha mandato da te, affinché sorvegliamo la tua gloriosa città. Tutti i giorni, alla stessa ora, noi emergeremo dalle acque e monteremo la guardia alle mura. Così voi potete riposare tranquilli. A domani, dunque!
E i guerrieri scomparvero nuovamente nel fondo marino.
La nave correva veloce sul mare, un vento leggiero increspava le onde. Ecco apparire l’isola dalle cupole splendenti! I cannoni spararono a salve, invitando il veliero a entrare nel porto. Ecco i naviganti davanti al principe Guidone.
– Da dove venite. Ospiti, e dove state andando? In cosa avete commerciato? In pellicce, in cavalli o in pietre preziose?
– In corazze, principe, e in oro zecchino. E ora stiamo tornando nella nostra patria, dove regna lo zar Saltan.
– Che un vento amico sospinga la vostra nave e che possiate giungere in patria sani e salvi. Porgete, vi prego, i miei saluti allo zar Saltan.
I marinai tornarono sulla nave e ripartirono e il principe Guidone rimase sul lido, con lo sguardo fisso alle bianche vele che s’allontanavano. Un guizzo sull’acqua, uno scintillio di piume bianche e ancora una volta il cigno apparve sulla cresta dell’onda.
– Che hai, mio principe, che te ne stai qui tutto solo soletto a sospirare, e guardi la nave che si allontana in fretta sul mare?
– Una pena infinita mi opprime, cigno gentile. La mia anima vorrebbe volar via …
Un breve sbatter d’ali, uno spruzzo di argentee goccioline e il principe, trasformato in calabrone, volò via ronzando sulla scia della nave. Scese la notte punteggiata di stelle, poi sorse un nuovo giorno. Il calabrone continuava a volar dietro la nave e i grandi uccelli del mare lo guardavano stupiti.
Laggiù, il porto sicuro attendeva la nave che si avvicinava a vele spiegate. Ecco, la nave entra in porto, i cancelli della reggia si spalancano, giungono i naviganti scortati dalle guardie d’onore, e dietro di loro vola il calabrone. Lo zar Saltan sedeva sul trono d’oro lucente, ma un pensiero tormentoso gli oscurava il volto. Egli ricevette con tutti gli onori i naviganti, li invitò alla sua tavola, poi prese a interrogarli:
– Ditemi, ospiti, quali terre avete visitate? Quali nuove meraviglie avete visto nel vasto mondo?
– Siamo andati in lontane contrade, sire, e abbiamo visto molte meraviglie, ma la meraviglia più grande è stata questa: su un’isola un tempo deserta sorge ora una città in cui ogni giorno accede uno strano prodigio. Il mare ribolle e schiumeggia, scagliando le sue onde sul lido, e dalla spuma delle onde emergono trentatré guerrieri alti, forti e ben armati, guidati dall’antico eroe Tcernomor. Essi avanzano verso le mura della città e montano la guardia all’isola, rimanendo dritti e immobili fino al calare del sole. Solo allora rientrano ne mare. Signore di quest’isola è il principe Guidone, che ti manda il suo saluto più affettuoso.
Lo zar Saltan si sentì preso da grande meraviglia ed esclamò:
– Presto allestitemi una flotta! Voglio recarmi nell’isola misteriosa a fare visita al principe Guidone. Ma le due invidiose sorelle e la comare Barbarica si guardarono bieche in volto. Chi era dunque questo misterioso principe Guidone? E se fosse stato? … No, lo zar non doveva assolutamente andare a fargli visita!
– Non stare ad ascoltare questa gente, mio zar! – esclamò allora la vecchia comare Barbarica. – che cosa c’è di tanto strano se i guerrieri escono dal mare e montano la guardia a una città? Ora ti racconterò io un fatto molto più straordinario. Al di là dei mari, in una terra sconosciuta, dicono che viva una principessa bellissima. Di giorno ella offusca col suo splendore la luce del sole e di notte illumina la terra. Nelle sue trecce nerissime splende una falce di luna e sulla sua candida fronte brilla una stella. Tanta è la sua grazia nel camminare che pare un cigno che scivoli sull’acqua, e la sua voce sembra il canto della sorgente.
Tutti ascoltavano incantati. Ma a un tratto si udì un grido: il calabrone aveva punto il naso della comare Barbarica, poi era volato via in gran fretta.
La sera era scesa sul mare e sulla terra. I raggi della luna giocavano con le onde increspate dal vento. Pensieroso, il principe Guidone s’aggirava sulla spiaggia.
– Che hai, mio principe, per aggirarti così triste e malinconico? – mormorava il cigno avvicinandosi. – Quale altro desiderio ti accora?
– Un desiderio ancora più grande degli altri, mio cigno, ma ancora più difficile da realizzare. Laggiù, nella reggia di mio padre, ho sentito parlare di una fanciulla di meraviglia bellezza, che di giorno offusca col suo splendore la luce del sole e di notte illumina la terra. Una falce di luna le splende nelle nere trecce e una stella le brilla in fronte. Quand’ella cammina sembra che scivoli sull’acqua e la sua voce sembra il canto della sorgente. Vorrei che quella fanciulla diventasse mia sposa … ma questo non è che un sogno.
Un lungo silenzio seguì queste parole. Non si sentiva che il mormorio delle onde e il fruscio del vento. Infine la dolce principessa Cigno rispose esitante.
– La fanciulla che cerchi esiste veramente, mio principe, ma sei proprio sicuro di volerla sposare? Pensaci bene, per non doverti pentire in seguito.
– Ci ho pensato abbastanza e ormai ho deciso. Stanotte stessa partirò per andare alla ricerca della fanciulla dalla stella in fronte.
– Non c’è bisogno che tu parta, mio principe – sussurrò allora il cigno. – Attendi e vedrai …
E davanti agli occhi del principe accadde un fatto straordinario. Il cigno aprì le ali come per volare via, tese verso l’alto il lungo collo; una nube di spuma lo nascose agli occhi del principe, poi … una fanciulla di meravigliosa bellezza apparve al suo posto: una falce di luna le splendeva nelle nere trecce e una stella le brillava in fronte; ella camminava sull’acqua lieve come un cigno che scivoli sulle onde e quando parlava la sua voce era armoniosa come il canto della sorgente.
– Sono io la fanciulla che cercavi – ella disse. – E, se tu vuoi, sarò la tua sposa.
Il principe la prese per mano e la condusse davanti a sua madre. I due giovani s’inginocchiarono davanti a lei e Guidone pregò:
– Questa è la sposa che ho scelto, mamma. Dacci il tuo consenso e la tua benedizione, perché i tuoi figli possano vivere nella gioia e nell’amore.
Felice, la zarina benedisse i due giovani e, la sera stessa si celebrarono le nozze.
A vele spiegate, la nave correva sulle onde, sospinta dal vento. Passò davanti l’isola dalle torri spendenti, i cannoni sparano a salve e la nave entrò in porto. I naviganti sono introdotti nella sala del trono dal principe Guidone. Accanto a lui siede la principessa Cigno e un dolce chiarore la circonda.
– In che cosa commerciate, miei ospiti? – s’informa il principe. – Verso quale terra siete diretti?
– Ci siamo recati in terre lontane, principe, e abbiamo commerciato in spezie. Ora stiamo facendo ritorno in patria, la terra del glorioso zar Saltan.
– Che il mare vi sia propizio, miei ospiti, e le onde non vi travolgono. Quando giungerete in patria, recate il mio saluto allo zar Saltan e ricordategli la sua promessa di venirmi a trovare.
I naviganti ripartirono, ma questa volta il principe Guidone non li seguì pensieroso sulla riva del mare, con lo sguardo rivolto alle vele fuggenti. Questa volta il principe restò felice nella reggia, accanto alla sua sposa luminosa. Nulla più lo spingeva ad andare sull’ampio mare.
Il veliero giunse nel porto, le bianche vele spiegate; i naviganti furono invitati a corte dallo zar. Egli sedeva sul suo trono d’oro lucente e un pensiero tormentoso gli oscurava il volto. Le tre donne gli sedevano accanto sospettose. Saltan invitò gli ospiti a banchetto e poi prese a interrogarli:
– Ditemi, naviganti, quali terre avete visitato? Quali nuove meraviglie avete visto?
– Abbiamo visitato lontane contrade e abbiamo visto molte meraviglie, sire. Ma la meraviglia più grande è stata questa: in un’isola una volta deserta è sorta una grande città dalle cupole risplendenti al sole. Nel giardino della reggia c’è uno scoiattolo che sgranocchia noccioline d’oro con la mandorla di smeraldo. Attorno alle mura ci sono trentatré guerrieri che escono ogni giorno dal mare schiumeggiante per venire a custodire la città. E nella sala delle udienze c’è una fanciulla di straordinaria bellezza, con una falce di luna nei capelli e una stella in fronte. Quand’ella cammina pare un cigno che scivoli sull’acqua e quando parla sembra una sorgente che mormori il suo canto. Ella è la sposa del principe Guidone, che ti saluta e ti rinnova il suo invito.
Allora lo zar prese la grande decisione: fece allestire la flotta e si preparò al lungo viaggio. Invano, questa volta, le due invidiose sorelle e la vecchia comare Barbarica tentarono di trattenerlo.
– Lasciatemi! – egli gridò sdegnosamente. – Sono o non sono lo zar? – E se ne uscì a grandi passi.
Su una torre del castello il principe Guidone scrutava il mare in lontananza. Alcuni gabbiani roteavano pigramente sull’acqua, lanciando ogni tanto il loro stridulo grido. Ma null’altro, né uomo né animale, rompeva il silenzio e la solitudine del luogo. Eppure … c’era qualcosa laggiù, un puntino che s’ingrandiva via via che s’avvicinava … sì, era una grande vela bianca, era il veliero dello zar Saltan!
Quando la nave approdò nel porto, i cannoni spararono a salve e le campane sonarono gioiosamente. Guidone stesso si recò incontro al padre, si prostrò ai suoi piedi, poi, in silenzio, lo precedette verso la reggia. Schierati ai cancelli della reggia, c’erano i trentatré guerrieri e l’antico eroe Tcernomor, che presentarono le armi allo zar. Nel giardino, lo scoiattolo fatato sgranocchiava noccioline d’oro e cantava la sua gaia canzoncina. E sulla soglia della sala del trono una bellissima fanciulla attendeva lo zar: aveva una falce di luna nei capelli e una stella rilucente in fronte. Teneva per mano la zarina e sorrideva.
Lo zar guardò la zarina e trasalì. “ La mia dolce sposa perduta da anni …” pensò e , scoppiando a piangere come un bambino, abbracciò la moglie, il figlio e la giovane principessa.
Le due malvagie sorelle e la comare Barbarica, che avevano seguito lo zar, si nascosero negli angoli più bui del castello. Ma Guidone mandò i servi a cercarle e le invitò al grande banchetto, e la zarina perdonò le sue invidiose sorelle. Una grande gioia scese nel cuore di tutti.
I trentatré guerrieri intanto montavano la guardia perché nessuno disturbasse il banchetto regale, mentre lo scoiattolo sgranocchiava noccioline vere sulla tavola del principe Guidone.