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Il pane di Tobia

pane tobia

C’era una volta, in un piccolo villaggio circondato da colline dorate, una nonna di nome Rosa, conosciuta da tutti per il suo sorriso buono e per il profumo di pane che usciva ogni mattina dalla sua casetta. Aveva le mani rugose, segnate dal tempo e dal lavoro nei campi, ma erano mani magiche: da un pugno di farina e un po’ d’amore sapeva creare meraviglie.

Sua nipotina, Lina, abitava in città e veniva a trovarla solo d’estate. Quell’anno aveva otto anni, due trecce scomposte e tanta curiosità. Nonna Rosa la accolse con un abbraccio profumato di lavanda e le disse:
«Quest’anno ti insegnerò una cosa speciale: come si fa il pane vero, quello che nasce dalla terra e dal cuore.»

Lina spalancò gli occhi.
«Davvero, nonna? Tutto da sola?»
«Non proprio da sola» rispose la nonna sorridendo. «Avremo un aiutante… il mio vecchio amico Tobia, l’asinello più testardo e buono del mondo.»

E così cominciò l’avventura.


Il campo dorato

La mattina seguente, il sole colorava di arancio le colline. Nonna Rosa preparò una cesta con pane, formaggio e una bottiglia d’acqua fresca. Poi fischiò, e dal retro della casa arrivò Tobia, scuotendo le orecchie e trotterellando allegro.
«Tobia!» gridò Lina, accarezzandogli il muso. «Sei davvero dolcissimo!»

L’asinello ragliò contento e la nonna spiegò:
«Per fare il pane bisogna prima avere il grano. Oggi andremo a raccoglierlo nel campo di zio Matteo. È tempo di mietitura.»

Attraversarono il sentiero tra i papaveri e i fiordalisi. Il campo si apriva davanti a loro, dorato come il sole. Lina guardava incantata le spighe che ondeggiavano leggere.
«Sembrano un mare d’oro!» esclamò.
«E lo sono,» rispose la nonna. «Un mare che nutre, se lo rispetti.»

Con pazienza, la nonna insegnò a Lina a tagliare le spighe con la falce, a legarle in piccoli covoni e a caricarle sul dorso di Tobia, che stava immobile e fiero, come un vero aiutante.

Quando il carro fu pieno, Lina chiese:
«E ora, nonna, il pane è pronto?»
Nonna Rosa rise di gusto. «Oh no, piccola mia! Il pane è una lunga storia, e noi ne siamo appena all’inizio.»


Il mulino sul fiume

Il giorno dopo, Tobia portò i sacchi di grano fino al vecchio mulino. L’acqua del fiume faceva girare le pale con un rumore dolce e costante. Dentro, l’aria era piena di polvere di farina che luccicava come neve alla luce del sole.

Il mugnaio, un uomo robusto con la barba bianca, li salutò:
«Ah, nonna Rosa! Sempre a insegnare la pazienza della terra, eh?»
«Già,» rispose lei, «e oggi ho una nuova apprendista.»

Lina osservò meravigliata come il grano veniva versato nella grande bocca del mulino e trasformato in farina, fine e profumata. Ne prese un po’ tra le dita e sussurrò:
«Sembra polvere di luna!»
«Eppure è solo grano, amore mio,» disse la nonna, «ma ogni cosa diventa speciale se la guardi con occhi stupiti.»

Quando la farina fu pronta, Tobia la caricò di nuovo sul dorso, e tutti insieme tornarono al villaggio.


Le mani e il cuore

Il terzo giorno, la nonna mise la farina in una grande ciotola di legno.
«Ora arriva la parte più importante,» disse, «dobbiamo darle vita.»

Versò l’acqua, un pizzico di sale e un po’ di lievito. Poi cominciò a impastare, muovendo le mani come se accarezzasse il mondo.
«Tocca a te, Lina,» disse.

La bambina mise le mani nella ciotola, ridendo per la sensazione morbida e appiccicosa.
«È viva!» gridò.
«Sì,» rispose la nonna, «il pane è vivo, perché dentro c’è la pazienza, il calore e il respiro di chi lo fa.»

Impastarono insieme finché l’impasto divenne liscio e profumato. Poi lo coprirono con un telo e lo lasciarono riposare accanto al camino. Tobia, dal cortile, brucava tranquillo un po’ d’erba e ogni tanto faceva un verso, come per dire: «Avete fatto un buon lavoro!»


Il profumo del forno

Quando l’impasto fu cresciuto, nonna Rosa lo mise sulla tavola, lo divise in pagnotte e lo incise con una croce.
«Perché lo tagli così?» chiese Lina.
«È un segno di gratitudine,» spiegò la nonna. «Ricorda che ogni pane è un dono, e un dono va benedetto.»

Il forno a legna scoppiettava allegro. Lina guardava il fuoco danzare e aspettava impaziente. L’odore del pane che cuoceva si sparse in tutta la casa, poi nel giardino, e infine fino al sentiero dove Tobia dormiva all’ombra di un albero.

Quando le pagnotte furono pronte, la nonna le tirò fuori con la pala e le mise sul tavolo.
«Ascolta,» disse piano.

Lina si avvicinò e sentì un suono leggero: cric… crac…
«Che cos’è?»
«È il pane che canta. È felice, perché ora è pronto per essere condiviso.»


Il dono del pane

La nonna avvolse una pagnotta in un panno e disse:
«Ora la porteremo alla signora Ada, che è malata e non può uscire di casa.»

Lina prese la pagnotta e la mise nel cestino di Tobia. Insieme attraversarono il villaggio, salutando tutti. La signora Ada, vedendo il pane, pianse di gioia.
«Profuma d’amore,» disse.

Lina, commossa, guardò la nonna e capì. Non si trattava solo di farina e acqua, ma di gesti che uniscono, di mani che danno e di cuori che ringraziano.


L’insegnamento di nonna Rosa

Quella sera, mentre il cielo diventava viola e Tobia dormiva accanto alla stalla, la nonna prese Lina per mano e le disse:
«Ricorda, bambina mia: fare il pane è come vivere. Devi seminare con pazienza, raccogliere con gratitudine, impastare con amore e condividere con gioia. Solo così diventa buono.»

Lina sorrise e si strinse a lei.
«Quando tornerò in città, farò anch’io il pane, nonna. E penserò a te e a Tobia.»

E la nonna, guardando le stelle, rispose:
«Allora il nostro pane non finirà mai.»


Morale della fiaba

Il pane non nasce solo dalla terra, ma anche dal cuore di chi lo prepara.
Come la vita, ha bisogno di tempo, cura e amore per diventare buono e nutrire gli altri.

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