Le era apparsa il giorno del suo sesto compleanno in un’alba di opale, aggrappata ad un ramo nodoso che, con un’arroganza insolita in un albero vecchio di molti secoli, si era spinto fino a lambire i vetri della sua finestra, facendoli risuonare con il suo martellante tong-tong, tong, tong – tong, tong tong tong, che uno zefiro marzolino, con tutte le dissonanze che il suo estro gli dettava, ripeteva all’infinito.
Tong – tong, tong tong tong, tong, tong tong tong…
Un’unica piccola goccia, piovuta chissà da dove, e come lei aggrappata ad un vecchio ramo nodoso.
Un timido raggio di sole sembrava giocare con quella stilla: l’ accendeva di rosso fuoco, poi, sparendo tra i rami, la trasformava in una perla lattiginosa, infine , filtrando tra il fitto fogliame, la screziava di vari colori.
Gemma aveva poco più di un anno quando i suoi nonni l’avevano accolta nella loro casa, poi anche la nonna, come i suoi genitori tanto tempo prima, era volata via. E d’allora era rimasta aggrappata, come quella piccola goccia, ad un vecchio ramo nodoso, suo nonno Gionò.
Gemma rimase a lungo a contemplare la goccia, temendo per la sua sorte e chiedendosi chi mai fosse: una goccia di rugiada, una stilla di pioggia, o piuttosto una lacrima sfuggita ad una stella innamorata?
Gemma e la piccola goccia