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Tutte le fiabe della categoria "Fiaba"

Tutte le fiabe, dalla più recente …

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Ti puoi fidare del maghetto dalla barba verde?

Sì, bambini piccoli e grandi, questa storia me l’ha raccontata una bella, anziana signora che ho incontrato sul treno, quello che porta a Pistoia e che viaggia tra i monti dell’Appennino. Eravamo in partenza alla stazione di Bologna e si parlava del più e del meno, quando un nome, Marcello, gridato da qualcuno fuori dal treno, illuminò lo sguardo della sconosciuta…

– Marcello…. conoscevo un ragazzo di nome Marcello…

disse sorridendo al suo ricordo e il treno partì e il racconto ebbe inizio.

– Ero appena andata in pensione e i miei bimbi mi mancavano molto, così accettai di dare qualche lezione a quel ragazzino strano che …

Tra una galleria e l’altra, la luce inondava ora una montagna che sembrava la testa di un lupo, ora una cima orlata dalle ali di un gigantesco falco in picchiata, come se fosse stato catturato nella pietra per sempre e poi lo sguardo spaziava tra i boschi e il  verde disteso tra le valli. Come non farsi rapire, immersi in quella magia, dalle parole della signora dai capelli bianchi, disegnati da sottili fili azzurrati e dalla sua voce dolce, che narrava lenta e quieta come solo i vecchi sanno fare?

Ti puoi fidare del maghetto dalla barba verde?

Il giardiniere

Franco viveva al quarto piano di un palazzone, nella periferia ” bella” della sua grande città. Non che ci si vivesse male, lì: vita tranquilla, rispettabile ed un elegante giardino condominiale sul quale si affacciavano quattordici appartamenti, più o meno tutti uguali e c’era gente gentile  ed educata che vi abitava, insieme alle proprie grandi, ingombranti, importanti… automobili!

Tutto rientrava nei canoni richiesti ( da chi, poi?), come la sua stanza grande e luminosa, come il silenzio che accompagnava le vite di quelle quattordici famiglie, così discrete e lontane…. Ora, però, Franco sentiva che in lui qualcosa era cambiato, ora non riusciva più a guardare quel grande edificio, senza notare che sapeva di vecchio, di triste, di dimesso.

Il giardiniere

Pèopo cerca casa

– Accipicchia, che guaio!

Matteo guardò stupito l’amico che borbottava i suoi pensieri camminando su e giù per la stanza, mentre i suoi lunghi e sottili baffi viola serpeggiavano inquieti ed accarezzavano la punta degli stivali dalle grandi fibbie argentate.

– Che c’è, Pèopo? Perché sei così preoccupato?

– Che c’è? C’è che tra poco tu compirai sette anni ed io, lo sai, dovrò cercare un altro bambino, un bimbo piccolo com’eri tu, quando ti ho incontrato. Ti ricordi? Cercavi di fare un castello con il fango, laggiù, in giardino, sotto le dalie appena annaffiate ed eri tutto nero, tutto coperto di malta!

Adoro i bimbi inzaccherati, ti ho scelto per quello! Pèopo cerca casa

Pompea la volpe rossa

C’era una volta nella fitta vegetazione di un meraviglioso Bosco Lontano, una bellissima volpe dal pelo fulvo di nome Pompea.
Dal carattere dolce e sincero, sempre allegra e solare, gentile e garbata con tutti, agile e scattante col suo fisico leggiadro di uno splendore abbacinante, un giorno la creatura era stata chiamata dalla bella Natura insieme a tutte le sue sorelle per accompagnare con le proprie danze la grande Festa della Primavera, così da annunciare all’intero creato l’arrivo della bella stagione.
Ed entusiasta all’appello, la radiosa volpacchiotta aveva accettato sin da subito col cuore a mille, pronta a sfoggiare il meglio delle sue qualità.

Pompea la volpe rossa

Il canto dell’elfo

C’era una volta, nell’arco di cielo che ancora oggi guarda l’Elba, una stella luminosa. Era talmente luccicante che la regina delle stelle le aveva dato il nome di Splendente.

Si mormorava nel firmamento che il suo brillare dipendesse dal fatto che fosse innamorata. Anche durante le ore del giorno, quando la luce del sole nascondeva ogni astro, Splendente fissava lo sguardo sull’Elba verso una chiazza verde al centro dell’isola. Proprio in quel punto, viveva l’ultimo degli elfi. Splendente con l’ espressione sognante lo osservava  per ore quasi stregata dal suo canto melodioso e dalla sua gioia di vivere. L’ultimo elfo le pareva  felice perché non faceva altro che saltellare e cantare tutto il giorno. Viveva da solo ormai da dieci anni e quando sua madre dovette lasciarlo lo fece a malincuore, sapendolo l’ultimo della specie, perché senza speranza, ma  era stato un miracolo tanto  inaspettato che non poterono fare a meno di chiamarlo Dono. Il padre di Dono era svanito, non nel senso di distratto, era proprio scomparso  e a sua madre non rimase altro che seguirlo. Questo è il destino degli elfi e delle fate che si uniscono: per sempre!

Il canto dell’elfo

Il libro delle fiabe incompiute … /1

C’era una volta, tante volte in quel libro. Ma mai vissero felici e contenti. Non è che fossero storie tragiche, non sia mai, è che proprio nessuna finiva.

Era il Libro delle fiabe incompiute che nessuno aveva più il coraggio di narrare. Annoiavano tutte quelle storie con il capo, ma senza coda. Non si può, si deve rispettare la fiaba nella sua interezza. Non è che uno si alza la mattina e scrive fiabe che non finiscono mai.

Doveva essere un autore annoiato quello che le scrisse, o forse le raccolse, girando tutto il mondo per cercare fiabe che non finissero. E non è nemmeno possibile che ne nascondesse il finale, perché nessuno, proprio nessuno, aveva mai sentito come andassero a finire quelle fiabe.

Il libro delle fiabe incompiute … /1

Tutto è possibile (la biscia e la lucertola)

Giovannino abitava in una piccola casetta in campagna.

Questa casetta era situata in una montagna dove si vedono solo pochi alberi e sassi enormi.

Un deserto …..apparentemente! In realtà quella montagna aveva tanto da insegnare a Giovannino.

Un giorno, andando in giro per la montagna, da una certa distanza, vide una biscia molto grande e lunga, aggrovigliata con una piccola lucertola.

Nonostante la sua paura per i serpenti, si avvicinò per soddisfare la sua innata curiosità ma, non riusciva a vedere esattamente.

“Beh”…..pensava, “la biscia sta mangiando la lucertola”.

Tutto è possibile (la biscia e la lucertola)

L’angelo di Giosafat

Sette lunghe lune erano trascorse da quando Ram, maharaja di Benares nell’India del nord, aveva fatto uno strano sogno. Aveva visto cadere nel cuore della notte una grossa palla di fuoco  che aveva  illuminato così tanto la terra da far apparire le acque del fiume Gange, dorate. Si era svegliato di soprassalto per l’immenso chiarore e,  sudato per il calore di quell’evento,  si era precipitato verso la finestra per la curiosità . La vista di una notte placidamente stellata invece,  lo fece tornare sui propri passi fin sotto la calda coperta di pecora che scostò istintivamente.  La luce abbagliante del sogno però, stentava a scomparire, così che il povero Ram si ritrovò ad affrontare il giorno con gli occhi e il corpo affaticati. Da sette mesi ormai gli capitava la stessa cosa ogni notte e per quanto egli fosse un saggio rinomato per lo studio della medicina e delle stelle, non servirono le sue conoscenze a rendere più serene le sue notti. Nell’ala ovest del  gran palazzo del saggio Ram, viveva la serva

L’angelo di Giosafat

Nero / 2

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Seconda parte, trovate tutte le puntate qui.

Finché un giorno un plumbeo burocrate sorrise all’illuminazione sopraggiunta. Sorrise di gusto, qualcuno giurerebbe che la risata fosse di un bell’arancione acceso. I colleghi non erano abituati a vederlo ridere. Curioso.

Prese un paio di giorni di ferie e attraversò il suo paese e al limitar del grigio caliginoso, iniziò ad intravedere il verde esangue del bosco cittadino. Si inoltrò verso quel luogo che ricordava smeraldo nella sua fantasia e ritrovò l’argenteo stagno.

Sorrise di nuovo nello specchiare il volto rosa smunto nel lucido specchio dei ricordi.

Nero / 2

Queeek

Nera, nella penombra e in apparente tranquillità, la predatrice puntava con sguardo acuto il suo bottino.
Lo sguardo fisso, verde, inquietante e attento.
Le pupille si allargarono per puntare meglio lo sguardo e il verde degli occhi quasi non si vedeva più.
Quel verde meraviglioso, quasi di smeraldo che era splendido e inquietante allo stesso tempo.
Nulla l’avrebbe fermata, nulla avrebbe potuto anteporsi tra lei e la sua preda.
Silenziosa, quasi immobile, nascosta quanto basta per vedere e non farsi vedere, scrutava l’ambiente che la circondava così da avere tutto sotto stretto controllo.
Qualsiasi preda che se ne fosse accorta per tempo sarebbe scappata il più velocemente possibile pur sapendo che le possibilità di mettersi in salvo erano sempre meno.
Le orecchie della bestia fungevano da radar: ogni singolo movimento e rumore esterno sarebbero stati captati e una volta individuati e riconosciuti, dimenticati o studiati. Queeek

Incontro con il gatto e il ritratto a 3

  Piri e Lapis stanno passeggiando per un viottolo di campagna: che bell’aria si respira in questo periodo di primavera. I raggi del sole penetrano tra un ramo e l’altro, le foglie nate da poco sono di un colore verde brillante, fresche.

Mentre i nostri amici sono intenti a camminare e ad rimirar questo spettacolo della natura, …inciampano su un gatto …un gatto?

Si, un gatto, che li aveva raggiunti piano piano.Drin drin il rumore di un campanellino risuona in quella pace: è un gatto comune con striature color bianco grigio, con zampe lunghe e slanciate che gli danno una particolare eleganza.

Incontro con il gatto e il ritratto a 3

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