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Poesie dei bambini di Terezin

Le poesie sono state pubblicate dal sito dell’Unione delle Comunità Ebraiche in occasione del “Giorno della Memoria” e riteniamo utile dare massima visibilità a queste opere. La lettura a volte è un ricordo, non sempre piacevole, ma che fa parte di ciò che siamo e pertanto non va cancellato.

A volte la fiaba evoca tempi lontani con il suo “C’era una volta”, ma le fiabe devono sempre mostrare anche come affrontare le paure per dare ai bambini il coraggio di trovare una via di felicità e serenità per affrontare il futuro.

Voi, nuvole grigio acciaio

Voi, nuvole grigio acciaio, dal vento frustate,
che correte verso mete sconosciute
Voi, portatevi il quadro dell’azzurro cielo
Voi, portatevi il cinereo fumo
Voi, portatevi della lotta il risso spettro
Voi, difendeteci! Voi, che siete fatte solo di gas.
Veleggiate per i mondi, semplicemente, spazzate dai venti
come l’eterno viandante aspettando la morte
voglio una volta così come voi – i metri misurare
di lontananze future e non tornare più
Voi, cineree nuvole sull’orizzonte
Voi, siate speranza e sempiterno simbolo
Voi, che con il temporale il sole coprite
Vi incalza il tempo! E dietro a voi è il giorno!

Vedem, Hanu Hachenburg (1929 morto nel 1944)

Poesie dei bambini di Terezin

Topolina, la ragazza topo

Un uomo camminava lungo la sponda di un fiume. Vide un corvo che teneva nel becco una topolina.

Gli lanciò contro una pietra. Il corvo lasciò andare la bestiola, che cadde nell’acqua. L’uomo la trasse in salvo e se la portò a casa.

Quell’uomo non aveva figli. “Ah!” egli sospirava, “se questa topolina fosse una ragazza!”.

Ed ecco che il suo desiderio si avverò e la topolina si trasformò in ragazza.

Quando fu grande, l’uomo le domandò: “Chi vuoi sposare?”.

La ragazza rispose: “Voglio per marito il più forte di tutti”.

Topolina, la ragazza topo

La scuola dei grandi

Anche i grandi a scuola vanno
tutti i giorni di tutto l’anno.
Una scuola senza banchi,
senza grembiuli nè fiocchi bianchi.

E che problemi, quei poveretti,
a risolvere sono costretti:
“In questo stipendio fateci stare
vitto, alloggio e un po’ di mare”.

La scuola dei grandi

La partenza per la scuola

Arrivederci, me ne vado a scuola
a studiare; lo vedi, ho la cartella!
Che? Ti dispiace ch’io ti lasci sola?
Non vuoi restar senza la tua sorella?…

Oh! sul tuo naso c’è una lacrimona;
non pianger, via, ritornerò, sii buona!
La mia bambola vuoi? la lascio a te;
tienla di conto, sai! (Povera me!…)

La partenza per la scuola

Il coniglio Pierino

C’erano una volta quattro coniglini, che si chiamavano Saltino, Saltarello, Fiocchetto e Pierino.

Essi abitavano con la madre in un terreno sabbioso, scavato sotto le radici di un grosso abete.

“Oggi, miei cari,” disse la mamma coniglia, “vi permetto di andare nei campi o discendere nel sentiero; ma non andate nel giardino di Don Gregorio. Un terribile accidente capitò al vostro povero padre in quel giardino. Egli fu catturato e cucinato dalla moglie di Don Gregorio.”

“Adesso andatevene, e non fate sciocchezze. Io vado a far la spesa.”

La coniglia prese allora il paniere e l’ombrello e traverso il bosco andò dal fornaio, ove comprò una pagnotta di pane scuro e cinque paste dolci.

Saltino, salterello e Fiocchetto, che erano buoni coniglini, andarono giù nel sentiero a raccogliere le more.

Il coniglio Pierino

La lepre d’argento

Quando il filtro e la sortiera
preparavano gl’incanti
(ascoltate, tutti quanti!)
c’era, allora, c’era… c’era…

… un principe chiamato Aquilino, che aveva vent’anni e voleva condurre in moglie la più bella principessa del mondo. Pubblicò il bando di nozze e giunsero centinaia di ritratti, ch’egli fece esporre nelle gallerie del castello; e là meditava sulle belle sorridenti dalle grandi cornici dorate.

La scelta cadde su Nazzarena, principessa di Bikarìa, e per mezzo ad ambasciatori furono concertate le nozze.

Nel castello di Aquilino si fecero grandi preparativi per la cerimonia e all’alba del giorno sospirato il principe era già sulla torre più alta, alle vedette. Il corteo doveva giungere tra poco; tra poco avrebbe visto per la prima volta quella bellezza famosa.

Ma il corteo non giungeva.

Si vide apparire una sola carrozza e ne scese un vecchietto gobbuto e barbuto.

– Io sono il Re di Bikarìa. E questa è la mia figliuola Nazzarena che chiedete per moglie.

La lepre d’argento

L’uccello turchino

C’era una volta un Re, molto ricco di quattrini e di terre: la sua moglie morì, ed egli ne fu inconsolabile. Per otto giorni interi si chiuse in un piccolo salottino, dove picchiava il capo nel muro, tanto era il dolore che gli straziava l’anima; per paura che finisse coll’ammazzarsi, furono accomodate delle materasse fra il muro e i parati della stanza. Così poteva sbatacchiarsi a suo piacere, e non c’era caso che potesse farsi del male.

Tutti i suoi sudditi si misero d’accordo per andare a trovarlo e dirgli quelle ragioni credute più adatte, per scuoterlo dalla sua tristezza. Alcuni prepararono dei discorsi molto seri: altri uscirono fuori con delle cose piacevoli e anche allegre: ma tutte queste ciarle non fecero su lui né caldo né freddo. Esso non badava neppure a quello che gli dicevano.

L’uccello turchino

Il principe Amato

C’era una volta un Re, il quale era proprio una persona tanto perbene, che i suoi sudditi lo chiamavano il Re buono. Un giorno, mentre si trovava a caccia, accadde che un cucciolo di coniglio, che stava lì per essere ucciso dai cani, venne a gettarsi fra le sue braccia.

Il Re fece delle carezze alla povera bestiolina e disse:

“Giacché si è messo sotto la mia protezione, non voglio che nessuno gli faccia del male”.

E portò il piccolo coniglio nel suo palazzo, e gli fece dare una bella stanzina e delle erbe eccellenti da mangiare.

Nella notte, quando fu solo in camera, il Re vide apparire una bella donna, la quale non era vestita con abiti ricamati d’oro e d’argento, ma la sua veste era bianca come la neve, e portava in testa una corona di rose bianche.

Il buon Re rimase molto meravigliato nel vedere questa signora, tanto più che l’uscio di camera era chiuso, né sapeva capacitarsi come diavolo avesse fatto a passar dentro.

Il principe Amato

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Il bove

Fiaba tratta da “Lezioni e racconti per bambini” di Ida Baccini (1882).
“Dettati nel puro e gentile idioma toscano, questi libri parlano al fanciullo il suo linguaggio, lo dilettano, lo avvezzano a vedere, ad osservare il mondo esteriore, come ad amare il bene morale” (Dalla prefezione al libro di Pietro Dazzi).

Attilio sta per finire sei anni, e a vederlo tutto assennato e composto, gli se ne darebbe anche dieci. Ha quasi l’aria di un omino. La sua passione, quando ha finito di far le cose di scuola, è di guardare i libri colle figure.

A volte la mamma gli presta un librone grosso grosso, dove ci sono disegnate tutte le bestie, tutte le piante e tutte le pietre che si trovano sulla terra. Il babbo dice che quel librone è intitolato «Storia Naturale», ma il bambino non si confonde coi titoli, e passa delle ore a guardare ora un bell’uccello dalla coda lunga lunga, ora qualche albero dalle foglie gigantesche, ora certe pietre dalle forme curiose, che sporgono dall’interno d’una grotta o rotolano dal vertice d’un monte scosceso.

Il bove

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