Tobia 27, il cane spaziale
Su un pianeta, non molto lontano dal nostro, vivevano cani con il pelo bianco e lungo e gli occhi azzurri come il cielo. Erano piccoli, rotondetti e con una coda minuscola simile a quella dei… Tobia 27, il cane spaziale
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Su un pianeta, non molto lontano dal nostro, vivevano cani con il pelo bianco e lungo e gli occhi azzurri come il cielo. Erano piccoli, rotondetti e con una coda minuscola simile a quella dei… Tobia 27, il cane spaziale
Marta e Viola erano due piccole fate turchine che insieme alle altre fate vivevano sulla galassia di Cassiopea. Se osservi il cielo boreale, Cassiopea si trova a metà strada tra la costellazione del Cigno e… Il sogno di Lumumba e la notte delle stelle cadenti
C’era una volta un piccolo paese di nome Poggiatesta. Si trovava in cima a un monte roccioso che dominava una meravigliosa vallata verde. Guardando dall’alto, i tetti bianchi delle case insieme alle rocce circostanti formavano… La fabbrica dei sogni
PERSONAGGI: la principessa Dorothy, il principe Alan, il gufo Gusatutto, lo gnomo Malignomo, il bambino Samy, il cavallo Cremcaravallo. C’era una volta un bosco, molto diverso dall’aspetto rispetto agli altri boschi a voi noti. I… Il bosco delle radici gnomate
C’era una volta, neanche tanto tempo fa, un cane di nome Arco. Apparentemente era un cane come tutti gli altri: di razza meticcia, stazza media, pelo lungo nero e occhi color ambra. A distinguerlo dagli altri cani era sin da cucciolo, quel suo fiuto a dir poco particolare.
Non è che di udito e vista ne avesse di meno, erano altrettanto sviluppati, ma del fiuto, così raffinato, potevano essere invidiosi i migliori cani da caccia.
Il proprietario di Arco era il Taglialegna del paese, un omone robusto, burbero, chiuso e solitario, dai modi poco gentili. Taglialegna non s’interessava molto del suo cane. L’aveva preso per fare la guardia alla sua legna e una volta che gli dava da mangiare e bere, per lui finiva lì.
“Non ha il guinzaglio, lo lascio libero di girare attorno alla casa, insomma, è soltanto un cane, cosa vuole di più?!”
Mancavano due settimane al Natale. Tutti i bambini, ormai, avevano spedito le loro letterine a Babbo Natale, indirizzandole al paese di Lapponia, al Polo Nord. Qualcuno l’aveva imbucata personalmente, qualcuno l’aveva consegnata ai genitori o alla maestra, qualcuno l’aveva scritta con il computer e spedita via e-mail, però la cosa certa era che l’avevano scritta e che se non erano già giunte a destinazione,
Sicuramente stavano per arrivare.
Il piccolo Tommaso di 8 anni, quest’anno era molto perplesso e indeciso se scriverla o no. Alla fine, spinto dallo sconforto ma anche dalla curiosità, decise comunque, all’ultimo momento di scriverla, ma con richieste veramente particolari per un bambino della sua età.
C’era una volta il tempo rinchiuso in una bolla di sapone. Per essere più precisi, si trattava di un frammento di tempo che, per incanto, è stato rinchiuso in una bolla di sapone. Ma questo già fa parte della storia che sto per raccontarvi.
Io, Cuniberto, di anni ottantacinque, all’epoca ne avevo sette di anni, troppi per giocare con i miei due fratelli mocciosi di due e quattro anni, e pochi per giocare con
mio cugino Lodovico, che ne aveva quattordici. Come fa uno a chiamarsi Cuniberto o Lodovico, vi domanderete di sicuro voi che vi chiamate: Bryan, Nicole, Asia o Vivien?
Beh, erano altri tempi. Le madri davano il nome ai figli seguendo una nota abitudine familiare: il figlio prendeva sempre il nome del nonno, la figlia quello della nonna e poi: “te lo tieni per tutta la vita”. Mi chiamavano Cuni, e il mio nome mi piaceva.
PERSONAGGI: la principessa Dorothy, il principe Allan, il gufo Gusatutto, lo gnomo Malignomo, il bambino Samy, il cavallo Cremcaravallo.
C’era una volta un bosco, molto diverso dall’aspetto rispetto agli altri boschi a voi noti. I suoi stupendi pini, i castagni e le querce secolari, nonché le rocce, le grotte e le casette dei boscaioli, erano imprigionati da enormi e fitte radici che uscivano dalla terra allungandosi a dismisura e attorcigliandosi attorno a tutto quello che trovavano davanti. Fu lo gnomo Malignomo, con il suo incantesimo, ad assegnargli tanti anni fa questa triste sorte dopo una lunga e sofferente notte insonne. Da allora fu chiamato: “Il bosco delle radici gnomate” e fu inserito con tale nome anche nelle enciclopedie di botanica di tutto il mondo.
Perché il nostro Malignomo decise di fare una cosa così tremenda, vi chiederete di sicuro?
In quel bosco, all’epoca, quando era ancora giovane, bello e prosperoso, viveva da tanto tempo chiusa in una torre d’avorio, la principessa dai capelli d’oro di nome Dorothy, che a sua volta fu vittima di un altro incantesimo. Dorothy era sempre da sola, si annoiava e piangeva, piangeva e si annoiava e nel frattempo i suoi bellissimi capelli crescevano, crescevano, crescevano. Poiché l’unica stanza della torre era molto stretta per contenere tutto quel groviglio di capelli, Dorothy li fece uscire dalla finestra e presto i suoi capelli si stesero anche tra gli alberi del bosco come un soffice tappeto setoso.
E fin qua ci siamo.
Era da poco passata l’estate e iniziato l’autunno pieno di colori caldi.
Sulle foglie degli alberi del bosco chiamato “Il bosco della Grande Quercia” c’erano tutte le sfumature di giallo, marrone e arancione. Anche quelle già cadute erano ancora piene di colori e a ogni soffio di vento si sollevavano da terra, unendosi a quelle che cadevano, in un’allegra danza multicolore. Scendeva il crepuscolo sul bosco, il sole si tuffava lentamente dietro le montagne. Il crepuscolo, come una coperta di seta arancione, trasparente, senza far rumore scendeva come una carezza.
Quel pomeriggio inoltrato una strana agitazione percorreva il bosco. Qualcosa succedeva o stava per succedere, in ogni caso quella non era una qualsiasi sera autunnale.
Il gufo Bruno aveva già preso la sua solita posizione su uno dei rami della Grande Quercia e si stava strofinando gli occhi. Quella sera ci sarebbero stati così tanti eventi importanti!
Quella mattina, la rondinella Ariella volava spensierata sopra i verdi altopiani prealpini punteggiati già da qualche foglia gialla.
Era metà settembre, ma faceva caldo come se fosse l’inizio di agosto. Le piaceva molto quel paesaggio di mezza montagna con i suoi specchi d’acqua, nei quali si tuffava per rinfrescarsi e per abbeverarsi.
Quell’anno i suoi genitori fecero il nidosotto il tetto di una casa diroccata, nelle vicinanze del lago Ceresio, da dove lei poteva osservare indisturbata i cigni, le anatre e i gabbiani.
Quanto le piacevano i cigni! Possedevanouna grazia innata, il collo lungo ed elegante e le ali di un bianco candido,che, secondo lei, avevano soltanto gli angeli.