La bottega incantata

Fiaba pubblicata da: GiuliaLisa

Nella bottega del mastro decoratore l’orologio a cucù cantilenò la mezzanotte.

Il verso improvviso dell’uccellino di legno ridestò il giovane apprendista seduto al tavolo da lavoro, un ragazzo tanto notturno quanto i gufi che, appena fuori dalla bottega, sbatacchiavano le ali al chiaro di luna. Non avrebbe saputo dire da quante ore fosse chino sul quelle miniature, intento a pitturarne ciascun minimo particolare. Durante i suoi due mesi di apprendistato, il giovane decoratore aveva dipinto ogni genere di creatura fantastica: elfi dalle lunghe orecchie, coboldi dispettosi, burberi mezzorchi, goblin dalla pelle verde, nani, ifrit e così tanti altri da dimenticarne i nomi.

Quella notte, al termine del suo ennesimo e impegnativo giorno di lavoro, il giovane si ritrovò a fissare il cielo fuori dalla finestra.

“E’ tutto nero, nemmeno una stella in cielo” sospirò, e subito dopo aver finito di pronunciare l’ultima parola, la più splendente delle stelle cadenti attraversò la notte come un guizzo d’argento.

“Incredibile!” esclamò il giovane, strabuzzando gli occhi azzurri cosparsi di pagliuzze dorate.

“Incredibile!”  ripeté un eco da qualche parte della stanza, con la sua stessa identica voce.

“Chi è?” domandò l’apprendista decoratore, un po’ spaventato.

“Chi è?” ripeté l’eco, con un’intonazione del tutto simile alla sua.

L’apprendista, allora, abbassò lo sguardo sul tavolo da lavoro, e ciò che vide fu talmente assurdo da lasciarlo senza parole.

Un kenku, creatura dalle soffici piume nere simile ad un corvo, si fece spazio camminando fra le alte miniature. Indossava un mantello scuro dal largo cappuccio e nella mano stringeva un bastone con cui s’aiutava a procedere verso il ragazzo che, quella stessa mattina, lo aveva dipinto con tanta pazienza.

“Sei un’allucinazione? Temo di aver lavorato troppo” sussurrò l’apprendista, ancora a corto di fiato.

“Sei un’allucinazione?” ripeté il kenku “Temo di aver lavorato troppo”

Il giovane, spazientito, stette per domandargli  per quale assurda ragione si ostinasse a ripetere le sue parole, come se non avesse di sue. Poi, d’improvviso, ricordò la storia di quelle creature fantastiche, e un velo di malinconia calò sul suo viso.

“Tu sei un kenku. Tanto tempo fa la vostra razza era libera, dispiegava le ali nel cielo e parlava con la propria voce. Poi, un giorno sfortunato, il vostro re rubò dell’oro di cui non avrebbe dovuto appropriarsi, e così foste tutti puniti. Non è vero?”

Il kenku, rivolgendo al giovane lo sguardo triste, fece segno di sì con il capo.

“Vi tolsero tre cose: le ali, la voce e la libertà. Per questo ripeti le mie parole, perché non ti è permesso pronunciarne delle tue.”

Il kenku annuì ancora, sempre più malinconico.

“Ho letto della vostra storia su un vecchio libro, qualche tempo fa. Sappi dunque, che tu sia vero o un’allucinazione della mia mente stanca, che provo pena per la vostra sorte. Se solo avessi modo di aiutarti, lo farei”

Il kenku chinò la testa in segno di riconoscenza, poi, dirigendosi lentamente verso la fine del tavolo con l’aiuto del suo bastone, sollevò lo sguardo verso la finestra, come ad indicare qualcosa all’apprendista.

Il riflesso della luna brillò nei suoi occhi color ossidiana.

Fu in quel momento che il giovane, colto da un’improvvisa intuizione, comprese cosa quella minuscola creatura stesse cercando di dirgli.

“Hai visto anche tu la stella cadente, vuoi che ti presti la mia voce per esprimere un desiderio?” domandò al kenku, che subito parve preso dall’entusiasmo.

Il giovane annuì e sorrise, preparandosi a recitare le parole che il kenku avrebbe desiderato pronunciare.

“Oh stella cadente, ascoltami. Desidero che la mia punizione abbia fine! Restituiscimi la voce, le ali e la libertà”.

Il kenku, commosso, guardò il cielo e, con la voce dell’apprendista, ripeté:

“Oh stella cadente, ascoltami. Desidero che la mia punizione abbia fine! Restituiscimi la voce, le ali e la libertà”.

La finestra si spalancò all’istante, un vortice di brina invase la piccola bottega e circondò il corpicino del kenku, sollevandolo in aria e dispiegando quelle ali che, troppo a lungo, erano rimaste chiuse.

“Grazie!” dichiarò a gran voce, una voce gracchiante e tutta sua. Poi, libero di scegliere il proprio futuro, sbatté le ali verso la luna piena, scomparendo nel cielo un po’ più blu.

“Ti sei addormentato!” esclamò il mastro decoratore, entrando nella bottega con la pagnotta della colazione in mano.

Il giovane si risvegliò all’improvviso, rendendosi conto di aver dormito tutta la notte con la testa sulla scrivania.

“Devo essermi addormentato” disse, recuperando gli occhiali e sistemando alla buona i capelli un po’ rossi e un po’ biondi.

“Avanti” lo rassicurò il mastro decoratore “andiamo a prendere una boccata d’aria, hai bisogno di una buona colazione”

Il giovane accettò volentieri l’offerta, ancora confuso dai sogni bizzarri che dovevano aver affollato la sua notte, mentre il mastro decoratore esaminava con orgoglio le miniature magistralmente dipinte dal suo allievo.

“Che strano” disse l’uomo.

“Cosa?” domandò il giovane, temendo che il maestro avesse trovato un difetto nel suo lavoro.

“Oh niente, pensavo di averti consegnato un kenku fra le miniature da dipingere, ma qui non c’è. Devo essermi sbagliato”

Allora l’apprendista ricordò e le parole del maestro lo fecero sussultare.

“Tranquillo mio giovane Cristian, se lo abbiamo perso, lo ritroveremo. Di certo non potrà esser volato via dalla finestra!”



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