A giocar con le parole
Fiaba pubblicata da: giuseppuccio
Valentina non dava molta importanza a quel libro: stava in alto, troppo per lei; eppure sembrava che la guardasse, proprio da lassù in cima, affacciandosi dall’ultimo scaffale della libreria. Si trattava di un vero e proprio librone, spesso così, con tanto di copertina seria e severa ma di un bel verde però: grande e grosso, tanto da dover stare per forza coricato su un fianco; sul dorso, in belle lettere bianche, c’era scritto
“D – i – z – i – o – n – a – r – i – o… Dizionario!”
Valentina aveva imparato da poco a leggere: ma questa parola, solenne e da grandi, non solleticava affatto la sua curiosità. Le cose non cambiarono fino al giorno in cui mamma Francesca non le disse che quello lì era, nientemeno, il libro di tutte le parole: aggiunse, un tantino misteriosa, che conteneva un tesoro davvero speciale perché di tutti.
Come come?
Valentina non capiva come mai, proprio in casa sua, ci fosse un tesoro che era di tutti; per di più, nascosto in un dizionario. Così aveva deciso: sarebbe salita lassù per vedere il libro da vicino e lo avrebbe fatto quella notte stessa…
Mezzanotte!
L’ora dei fantasmi? Ma proprio per niente: soltanto l’ora in cui, Valentina, partì alla conquista del libro di tutte le parole: arrivata vicino alla libreria, sistemò a ventaglio sul pavimento tutti i cuscini a sua disposizione; sopra uno di essi adagiò Bric, l’orsacchiotto di pezza compagno di mille giochi e almeno un milione di avventure; calzò la sua pila frontale sulla testa dell’orsetto. Ne avevano discusso a lungo, lei e Bric: ma alla fine Valentina, vedendolo ancora un po’ provato dalle ultime scorribande, decise fosse meglio che l’orsacchiotto restasse in basso ad illuminarle tutto il percorso.Inoltre, questa sembrava la maniera migliore per non correre il rischio di svegliare qualcuno. Indossato lo zainetto delle grandi esplorazioni, Valentina guardò ancora una volta la libreria, alta quanto l’intera stanza. Fece un respiro profondo, come per raccogliere le forze, e via! Iniziò la scalata. Primo scaffale: il più colorato; quello delle favole. Passò una bella mezz’oretta ricordando le trame di tutte quelle già lette ed immaginando, dal titolo e dalla copertina, quelle di tutte le altre.
Secondo scaffale: quello dei libri di scuola; fu decisamente più rapida e proseguì oltre.
Terzo scaffale, il più geometrico: quello dei libri di mamma e papà. Erano ordinati secondo altezza, spessore e, sospettava Valentina, numero di pagine non lette. Per di più, avevano l’aspetto serio serio e tutti lo stesso colore, così da non riuscire ad indovinarne il contenuto.
La salita procedeva nel silenzio più totale: rallentata dalla fatica e dall’attenzione spesa per non fare neppure il più piccolo rumore. Valentina guardò in basso: com’era buffo Bric, addormentato ma con la pila frontale ben accesa:
“Se fosse stato una giraffa… Quanta fatica in meno!”
Borbottò tra se e se, mentre saliva al quarto scaffale: qui riposò un po’, potendosi sedere nel piccolo spazio vuoto che c’era tra il volume n. 20 dell’ “Enciclopedia della donna” ed il “Manuale del Pioniere”.
Quinto scaffale: finalmente! C’era soltanto il dizionario:
“Sarà senz’altro un libro molto importante ma a me sembra in castigo: cosa avrà fatto per meritarsi tutto questo spazio vuoto? “
Pensò Valentina, che avrebbe potuto comodamente distendersi a pancia sotto ed iniziare a sfogliarlo; purtroppo, però, la luce che proveniva dal basso non era sufficiente allo scopo.
Così dovette iniziare la discesa: infilò il libro di tutte le parole dentro lo zainetto; sistemò quest’ultimo sopra le spalle e, lentamente, iniziò a ritroso il percorso fatto prima.
Ma il dizionario era un libro veramente pesante; al puntò che la sbilanciò facendole perdere la presa: così, dopo un volo di cinque scaffali, atterrò con un tonfo accanto a Bric; per fortuna proprio sopra quei cuscini provvidenzialmente sistemati, prima, sul pavimento.
Valentina, per lo spavento preso e la paura di aver svegliato qualcuno, se ne stette un po’ immobile con gli occhi chiusi e stretti. Passò un po’ di tempo, ma non arrivò nessuno:
“Meno male!”
Pensò Valentina, riaprendoli piano piano.
“Ciao!!!”
Le disse un buffo personaggio, seduto davanti a lei: era un omettino con un vestito tutto pezze colorate, simile a quello di Arlecchino ma sprigionante nel buio, però, una caleidoscopica e variopinta luce.
“Ciao…”
Rispose sbalordita Valentina ed aggiunse, con non poca diffidenza:
“E tu chi sei?”
“Sono Nigiro Rianda, il genio della lampada!”
“E dov’è?”
“Che cosa?”
“Ma la lampada!?”
“Accipicchia! Ci sono ricascato. Con tutte le favole lette e scritte finisce sempre che, alla fine, faccia una gran confusione. Quella è diventata la lampada di Aladino, dopo averla regalata ad un collega in cerca di una casa… Io una lampada non ce l’ho: infatti, dopo una vacanza in un lampadario ultramoderno, sono diventato il custode del libro di tutte le parole. E tu chi sei?”
“Sono Valentina e faccio la guardia a mamma e a papà; ed anche un po’ ad Alessio, mio fratello… E questo è Bric, il mio amico orsetto.”
Fatte le reciproche presentazioni, i tre stettero in silenzio studiandosi con curiosità.
“Ma aspetta un po’ … Fammi guardare meglio…”
Disse Valentina, riprendendo il suo solito coraggio, ed aggiunse puntando l’indice:
“Ma certo: è proprio così! Le pezze colorate del tuo vestito provengono dalle copertine delle mie favole, fatte a pezzettini!!!”
“La favola è di chi la legge, non di chi la scrive: hai ragione Valentina ma, di tanto in tanto, anche allo scrittore, come al pavone, piace fare la ruota.”
“Ma allora sei tu che hai scritto le storie che ho letto?”
Nigiro Rianda non rispose e, ancor più enigmatico, disse:
“È tempo che chiuda la mia ruota.”
Un attimo dopo l’atmosfera variegata di mille colori, che aveva riempito la stanza fino ad allora, fu sostituita da una gaia fosforescenza verde sempre emanata dal vestito del buffo ometto:
“Sono il figlio del fornaio! Tutti mi chiamano Pietro Pan.”
Diceva, svolazzando per la stanza.
“Zitto! Fai piano, per carità: non svegliare mamma e papà!!!”
Lo ammonì Valentina, molto preoccupata.
“Uffa… E va bene! Volevo soltanto fare un po’ di festa: ti va di fare un gioco?”
“Che gioco?”
“Giocar con le parole!”
“Sii! Spiegami il regolamento…”
Dopo che Valentina disse queste ultime parole, Nigiro Rianda si spense per un attimo.
“Spiegazioni e regolamenti hanno sempre questo effetto su di me.”
Disse l’ometto, riaccendendosi nuovamente. E proseguì:
“Si gioca con il libro di tutte le parole…”
“Eccolo qui!”
Disse Valentina, tirandolo fuori dallo zainetto.
“Bisogna liberare le parole buone dalle cattive !”
“Vorrai dire separare…”
“Ho detto liberare perché volevo dire proprio quello: dalle parole cattive, che le tengon prigioniere.”
“Parole cattive?
Che tengon prigioniere quelle buone?
E qual è una parola cattiva?!”
Sparò a raffica Valentina. Per tutta risposta Nigiro Rianda ricominciò a svolazzare per la stanza, tracciando dei circoletti multicolorati nell’aria che, pian piano, si risolsero in altrettante lettere formanti la parola:
guerra
“La più cattiva di tutte!”
“Siamo d’accordo!” riprese Valentina, aggiungendo
“Ma non capisco che parole buone ci possano essere nella parola guerra …”
Nigiro Rianda le disse, alquanto misterioso
“Ce n’è una in particolare, la più buona per me: per te non so e comunque, anche se non fosse la più buona, sarebbe semplicemente buona…”
“Uffa… Ma qual è?” gli domandò, un po’ spazientita, Valentina.
“er ragù!” le rispose Nigiro Rianda, riprendendo a svolazzare allegramente per la stanza.
“Forza adesso, liberane una tu…”
“urrà!” esplose Valentina, che non stava più nella pelle dalla voglia di giocare e senza accorgersi di aver liberato un’altra parola.
“Bravissima!!! Ora tocca a me…”
“gare è una parola per sottrazione come la tua, Valentina;
agrume invece, è una parola per sostituzione”
“Ma c’è anche ragazza , una parola per sostituzione e somma.”
Gli fece eco Valentina.
“Di più: c’è persino la grarure …”
“La grarure? E che roba è la grarure?? …” domandò Valentina.
“Una parola di fantasia: non esiste ma un significato ce l’ha…”
“Quale?” gli chiese Valentina, grattando perplessa la testa di Bric invece della propria.
” In Francia si dice parure per indicare una collana, di perle ad esempio; io, questa parure, l’ho guardata e riguardata ma per quanto la si ammiri rimane sempre identica a se stessa; una noia… E non si può neanche sgranocchiare… Questa parure, più che una collana, mi pare proprio una pizza!
Ma la vogliamo davvero confrontare con la grarure ?
Con la collana di puro formaggio grana?
Signori siamo seri, non scherziamo:
i buon gustai la possono grattare sui maccheroni; non sarà cacio ma ci piace uguale…
I sognatori la possono annusare per ore ed ore; ma se si stuccano o si lamentano per il languore, prima la sbucciano e poi se la pappano…
“Però anche la grarure , a guardarla, rimane sempre la stessa…”
Osservò Valentina.
“Giusto: solo se rimani a guardarla però…
Quando la mangi si trasforma in emozioni, progetti, azioni, sentimenti, sogni…
Cioè in energia…
La parola liberata è energia per fare dire e baciare, Valentina.”
Così, Valentina e Nigiro Rianda, insieme fecero un gran falò delle parole cattive;
niente paura, accesero soltanto fiamme di fantasia…
Quelle vere scottano; queste riscaldano.
Quelle reali distruggono; queste sono creative.
Quelle reali non sono di tutti; queste lo sono: di bimbi e di adulti; di giovani e di anziani; dei malati come dei sani…
Le parole liberate salirono in alto, scoppiettanti ed allegre come le faville di un fuoco, trascinando con sé i loro giocosi liberatori e ben oltre il soffitto della stanza…
Forse fu perché salì troppo in alto che mamma Francesca faticò, non poco, a svegliarla; avrebbe certamente voluto chiederle come mai l’aveva trovata addormentata sul pavimento; e il perché di tutti quei cuscini in terra…
Pare proprio che gioco dei perché vada sempre molto di moda tra i genitori …
Ma Valentina non le diede assolutamente il tempo di alcunché ed impetuosa come un tornado incalzò veloce:
“Ciao Mamma!
Non ho tempo Mamma:
vado a giocar con le parole e mi serve il libro di tutte le parole;
ne voglio regalare una al mio compagno di banco…”
Mamma Francesca la guardò, la riguardò e si commosse un po’:
forse perché aveva intravisto una donna nella sua piccola Valentina…
Ma fu un attimo: un dubbio le passò rapido davanti agli occhi e subito le volle domandare quale fosse la parola da donare:
“odio!”
esclamò, allontanandosi, Valentina.
“Ma ma… Valentina! Valentina… Valentinaaa…”
Fu inutile chiamarla: era già in strada e stava correndo verso la scuola.
Stava correndo ed intanto pensava:
” podio;
iodio;
odi;
sodi;
lodi;
olio;
….”