credi-tutto-avvera

Se ci credi tutto si avvera

Fiaba pubblicata da: daniela p.

Immagina un pomeriggio, uno di quelli in cui il sole splende alto nel cielo, riscaldando di luce tutto quello che trova; immagina il suo calore, vivo e torrido e quella luce che solo le giornate d’estate possono avere. Immagina il silenzio che la calura delle prime ore del pomeriggio genera, quando è fatica anche respirare e tenere gli occhi aperti.

In questo cerchio di luce, immagina un bambino: immagina i suoi occhi: grandi  biglie di un colore indefinito che si trasformano dal marrone chiaro al verde scuro, a seconda di come la luce li attraversa, ma sempre allegri e  vivaci, capaci di spalancarsi, ogni qual volta sono felici, in un grande sorriso che passa prima da loro e poi scende alle labbra.

Avrà più o meno la tua età, questo bambino e vive come vivi tu. Ha tante passioni, come forse hai tu: gli piacciono i giochi tecnologici, quelli che vi fanno stare ore e ore attaccati a quegli aggeggi infernali con quelle musichette insopportabili …  gli piacciono i cartoni animati e i libri, la pizza e il gelato, ma le sue  più vere e grandi passioni sono due, due amori che lo accompagnano fin da quando era davvero molto piccolo.

Il primo suo grande interesse è il gioco del calcio. Qualsiasi oggetto rotondo, che rotola, ha sempre avuto su di lui un effetto ipnotizzante: impossibile resistere e non correre dietro un pallone per prenderlo a calci … impossibile!!! E’ come se fosse telecomandato da una forza soprannaturale, che, alla vista del pallone manda un impulso, come fosse un robot !!! Per questo, gioca anche nella squadra dei bambini del suo paese e, condividere con loro questa ipnosi, lo rende straordinariamente felice. Il cane di zia Laura, appena lo vede arrivare corre a nascondere la sua pallina, teme che inizi a calciargliela con un ritmo elettronico che lui non può reggere!  E’ anche un gran tifoso  e il suo cuore è diviso a metà fra due squadre,( ma non vi svelo quali sono)  e visto che una delle due non sta attraversando un periodo felice, si tiene l’altra di scorta, almeno una delle due vincerà!

L’altra grande passione del nostro amico è capace di fargli spalancare gli occhi di meraviglia ogni volta, di renderlo curioso e insaziabile di sapere  e di conoscere, di scoprire tutto e subito ed è anche la base del lavoro che vorrebbe fare da grande. La storia, la scoperta del mondo antico, di tutto quello che ha abitato il nostro pianeta fin dai primordi lo affascina incredibilmente e non importa se si tratta di megalodonti, mammuth o popolazioni fluviali, tutto va bene, basta che sia lontano nel tempo!

Come ricompensa per una bel voto preso o come regalo per il suo compleanno lui non chiede giocattoli, ma biglietti di ingresso per musei paleontologici o archeologici  ed è bella la sua faccia quando si trova di fronte alle vetrine di cristallo ad ammirare i reperti.

Vorrebbe entrarci dentro la vetrina, tanto si avvicina con il viso … e una volta era così  immerso nella contemplazione che ha sbattuto con la fronte nella teca di vetro, facendo un gran rumore e richiamando l’attenzione di tutti, dei visitatori e dei responsabili del museo, che però, vedendo la sua faccia così persa nella meraviglia, non hanno avuto il coraggio di brontolarlo. Mi sembra di ricordare che sia   successo al Museo Egizio a Torino, aveva appena sei anni e stava imparando allora a leggere, quindi si soffermava tantissimo di fronte ad ogni reperto perché per scorrere con gli occhi la descrizione gli serviva tantissimo tempo: quei paroloni così lunghi e difficili sembravano davvero indecifrabili, ma tanta era la voglia di sapere che nessun ostacolo la avrebbe potuta fermare! “Andiamo Giacomo … o finirà che rimarremo chiusi qua dentro!”, lo incoraggiava la mamma, ma lui sembrava davvero non sentire, chissà in quale mondo era perso in quel momento lì.

Essendo un bambino, il nostro amico ha anche la voglia di giocare come tutti i bambini della sua età e così, quel pomeriggio d’estate decide di uscire nel giardino con il suo nonno. Gli piace stare con lui, perché ha una risposta a tutte le sue domande sulle piante e su tutti quegli animaletti che popolano l’invisibile mondo degli insetti.

Armato con i suoi piccoli attrezzi  di plastica colorata, oggi vuole scavare una gran buca, proprio sotto a quel grande albero di ciliegio, quello che campeggia in mezzo al suo giardino. E’ cresciuta tanto quella pianta che è stata piantata proprio quando è nato lui,  è diventata maestosa, imponente con quella sua chioma verde e brillante, ma di frutti la pigrona non si è mai decisa a farne:  e pensare che a lui le ciliegie piacciono da impazzire!!!

Prende in mano la paletta e, mentre il nonno annaffia, lui si dedica a scavare. Ha deciso che farà una buca bella grande come quelle che faceva al mare, sulla spiaggia insieme ai suoi amici, lì però  erano in tanti a lavorare  … qui è da solo! Ma si sta divertendo davvero tanto: con ogni palettata riesce a portare via tanta terra e, davanti a lui, piano piano il buco si apre e vengono alla luce, quasi disturbati nel loro sonno, tanti insetti e piccoli vermi, che spaventati cercano di strisciare via il più veloce che possono.

Il buco si fa sempre più grande e Giacomo  è sempre più invogliato a continuare il suo lavoro prodigioso, si avvicina ai bordi per definire meglio il margine del piccolo cratere quando … improvvisamente la terra sotto ai suoi piedi inizia a franare e lui si sente come risucchiato da un vento fortissimo. Ci prova ad aggrapparsi al tronco del ciliegio, ma quel soffio è veramente potente, tenta anche di chiamare il nonno, ma la voce gli si strozza in gola e non riesce ad uscire … lo chiama dentro alla sua mente, ma il suo pensiero non si trasforma in parola.

Risucchiato dentro a quel vortice di terra, Giacomo chiude gli occhi e pensa che prima o poi  quella discesa dovrà pur finire, atterrerà da qualche parte! Si immagina che la fine di quella pazza corsa non sarà tanto delicata, così tiene gli occhi più chiusi che può e si prepara all’impatto. Scorrono nella sua mente milioni di immagini, milioni di ricordi ad una velocità impressionante … tutto è accelerato e  durante il viaggio anche i pensieri perdono la loro forma.

Un gran silenzio tutto intorno e tanto tanto caldo: nel giardino sì c’era un sole che scaldava, ma non a questa temperatura! Prova a muovere le mani Giacomo e si accorge che la sua discesa è finita, si sente la pancia ferma contro il suolo e le sue dita sfiorano qualcosa di morbido, delicato, una sensazione già provata … ma certo, questa è sabbia!

Apre piano piano gli occhi per paura di vedere cosa ha di fronte, ma prima che la vista  possa  scorgere qualcosa, sono le voci a catturare la sua attenzione. Voci insolite, che parlano una lingua diversa dalla sua, una lingua melodiosa, che sa di antico e di misterioso al tempo stesso, peccato non  poter capire quello che stanno dicendo gli abitanti di questo posto. A questo punto Giacomo li vuole vedere e si decide ad aprire  gli occhi e non riesce a credere a quello che gli si presenta davanti.

Con le dita ancora un po’ sporche di sabbia si stropiccia le palpebre, ma la visione è sempre, incredibilmente, la stessa. Non può essere un sogno, perché si sente sveglissimo. Prova a ricapitolare le sue ultime mosse nella sua mente: “Allora, ero con il nonno sotto al ciliegio, scavavo la buca, se scavavo la buca vuol dire che ero sveglio, quindi quello che sto vedendo non è un sogno … è una splendida verità!”

Sì, era una splendida verità. Giacomo si trovava a camminare sulla sabbia del deserto, le voci che sentiva parlavano in antico egiziano e quelli che vedeva erano egiziani in carne ed ossa. Roba da non credere!!! Infatti chi mai l’avrebbe creduto quando avrebbe raccontato tutto questo?

“Beh, ormai che sono qui tanto vale viverla questa avventura!” Pensò Giacomo, entusiasmato da tutto quel brulichio di voci e movimenti. Ma non erano gli uomini a catturare la sua attenzione: parlavano in un’altra lingua, è vero, vestivano in un modo un po’strano, ma erano pur sempre uomini, con due braccia, due gambe, due occhi…

Quello che lo affascinava di più in quel momento era la grande, immensa, illimitata distesa del deserto, sconfinata come il mare, ma immobile, interminabile  come il cielo e tempestata di tante piccole stelle brillanti, i granelli  di sabbia baciati dal sole.

E al di là dello sguardo una sterminata pianura, fertile e verde, di quel verde nuovo che colora le foglie giovani. Piante in fila, ordinate come tanti soldati schierati in marcia, palme dalle fronde generose ,rigogliosi canneti  che regalano la loro ombra rinfrescante e papiri, fedeli custodi della storia di questo antico popolo.

A separare la rigogliosa vita dall’arida sabbia, lui, il testimone silenzioso dello scorrere del tempo, il mago capace di generare la vita, lui, il Nilo. Da secoli scorre quieto, quasi sonnolento,  tanto da sembrare immobile  con le sue acque di un verde profondo. Con la sua infinita lunghezza si snoda come un serpente,  avvolto da un alone di mistero, inonda con il suo alito vivificante le terre in cui scorre, sempre con lo stesso ritmo e, sebbene sembri che scorra verso sud, in realtà scorre verso Nord: anche l’aridità del deserto si arrende all’incantesimo dei suoi magici poteri, che trasformano la sabbia in meravigliosi colori.

“Sei rimasto senza parole eh?”  Giacomo non sapeva se credere a quello che sentiva, qualcuno che conosceva la sua lingua si stava rivolgendo a lui, gli stava parlando! Girò lo sguardo verso la direzione da cui proveniva la voce e si trovò davanti due occhi, profondi, neri, pieni di quel magico mistero che la civiltà egizia porta dentro di sé da migliaia di anni.  Due perle nere, quegli occhi, incastonati in una carnagione color cioccolato: ecco così era Ahmed: “Ciao, io  mi chiamo Ahmed  e ho 8 anni, ma tu … come sei vestito strano,! Da dove vieni?” Giacomo no sapeva cosa rispondere, era sorpreso e imbarazzato al tempo stesso, ma nel profondo del suo cuore trovò il coraggio di rispondere.  “Ciao, anche io ho 8 anni e mi chiamo Giacomo, sono nato in Italia, la conosci?”  Sul viso di Ahmed si dipinse un’espressione pensierosa e concentrata. “No, non ho mai sentito questo nome e non so dove sia il tuo paese.” A Giacomo allora balzò in mente una domanda, una di quelle che gli saltavano in testa quando faceva quei suoi ragionamenti logici rapidi: “Ma se non conosci il mio paese come è che parli la mia lingua?”  Il volto di Ahmed si illuminò in un sorriso raggiante e malizioso allo stesso tempo. “Benvenuto, sei nel regno d’Egitto, dove tutto può accadere.”  Di fronte allo sbigottimento di Giacomo, il piccolo egiziano continuò a raccontare e le sue parole avevano un velo di incanto e di prodigio.

“Lo vedi quel fiume? Quello è il Nilo, uno dei fiumi più lunghi del mondo, è grazie a lui e alle sue inondazioni se il nostro popolo è ricco e felice. Ogni anno la nostra dea Iside piange infinite lacrime per la perdita del suo sposo Osiride, ucciso dal suo perfido fratello e quelle lacrime della dea fanno aumentare il livello del fiume, tanto da farlo straripare e inondare i campi intorno. Quando le lacrime si asciugano e il fiume ritorna nei suoi argini,nelle terre intorno è rimasta una sostanza preziosa, che come polvere magica, rende tutto fertile, il limo. Ecco perché lì non c’è deserto, ma coltivazioni e colori!. Sai nella mia lingua come si dice Nilo? Si chiama Iteru e vuol dire “grande fiume” e si scrive così”. Poi, con il dito disegnò sulla sabbia alcuni segni, più o meno così…

Incantati ad ammirare quel meraviglioso panorama, i due, che ormai erano diventati amici, tornarono alla realtà: sull’acqua del fiume stavano navigando alcune imbarcazioni che avanzavano leggere, come se qualcuno le avesse appoggiate delicatamente. Si seguivano in fila, sicuramente secondo un ordine: davanti a tutte la più importante e a seguire le altre. La vela quadrata, bianca diventava ancora più candida con la luce del sole, si gonfiava al  soffiare del vento e le trascinava in avanti. Al passare delle navi, tutte le persone che si trovavano sugli argini del fiume si fermavano ad ammirare quel lento scorrere. Il primo ad interrompere il silenzio e a parlare fu Ahmed: “sai chi si trova a bordo di quelle navi?” Giacomo non lo sapeva, ma poteva immaginare che si trattasse di qualcuno di veramente importante. “In una di quelle navi, precisamente sulla terza, si trova la nostra regina, che nella nostra lingua abbiamo chiamato Nefertiti, ossia “La bella che viene qui”. Giacomo non osava credere che proprio Nefertiti, la regina che lui aveva disegnato tante volte, di cui aveva letto storie incantevoli, adesso si trovasse a poca distanza da lui. “E dove sta andando?” chiese allora. Ahmed si sedette sotto la fronda di un albero e iniziò a raccontare. “La vedi la prima nave? Lì è imbarcato Amenhotep, una persona saggia, di cui il faraone ha una gran fiducia: lui ha l’incarico di condurre Nefertiti a Tebe, la nostra capitale.”  Le parole di Ahmed furono interrotte da qualcosa di strano e di improvviso, di maledettamente spaventoso …. “Ma come?” anche sul deserto ci sono i temporali?” chiese Giacomo preoccupato: a lui tuoni e lampi non sono mai piaciuti un gran che! Ahmed sorrise, intuendo la paura di giacomo e prontamente, rispose: “Tranquillo, non è un temporale questo! Quelle che incupiscono il cielo non sono nubi, ma è una tempesta di sabbia.”

Granelli di sabbia  volavano come farfalle impazzite, spinte dal vento caldo, asciutto, che quasi sferzava la pelle: un passaggio violento, feroce, ma rapido che si dissolse in pochi attimi, riportando velocemente il chiarore in quel cielo dove il Sole aveva stabilito la sua dimora.

Le navi, prima nascoste dentro la tempesta, riapparsero come per magia, erano ferme nel piccolo porto e le vele quadrate erano sgonfie. Ancora sbalordito per la rapidità e la straordinarietà di tutto quello che gli stava accadendo, Giacomo si era scordato di fare, forse, la domanda più ovvia di tutte: “Ma qui, dove siamo? In quale città?” “Hai il piacere di trovarti a Scedit, nell’Egitto del nord. Vorresti vedere la nostra capitale, la meravigliosa e lussuosa Tebe? “Ahmed  non aspettò nemmeno la risposta di Giacomo, forse immaginandosela già, lo tirò per un braccio e lo spinse, correndo, verso le navi attraccate al porto.  “Shhhh ! adesso seguimi e non fare domande: se ci beccano siamo fritti! “velocissimi  corsero sulla passerella e si infilarono a bordo della terza nave, quella della regina Nefertiti.  “La principessa si è fermata per ammirare il mio villaggio, ma  a breve riprenderà il suo viaggio per Tebe e noi, noi… la accompagneremo!” sentenziò Ahmed con la sua aria da furbetto.  E in effetti aveva ragione, la regina non tardò ad arrivare. Nascosti dietro ad un baule, i due ragazzi la videro apparire, elegantissima nel suo abito principesco, arricchito  da favolosi gioielli, con pietre preziose di ogni forma e di ogni colore.  Era bella Nefertiti, di un’eleganza degna di una regina. Gli zigomi alti davano un aspetto regale e severo  al suo volto, addolcito dalle labbra sottili, ma quello che colpiva a  prima vista erano gli occhi.  Grande perle color di giada che potevano trasformarsi da dolci come quelli di un cerbiatto ad aggressivi come quelli di un felino. Appena la regina fu salita a bordo, accompagnata e assistita da un vero e proprio esercito di servi e di ancelle, le vele si rigonfiarono e  le navi ripresero  il loro viaggio, un lungo viaggio che le avrebbe condotte a Tebe.

I bambini si erano sistemati in una posizione non comodissima, ma che gli avrebbe consentito di affrontare il percorso in maniera dignitosa. Purtroppo essi non avevano fatto bene i calcoli! I profumi che accompagnavano i vestiti  della principessa nel baule avevano un odore che faceva quasi il solletico al naso dei nostri amici, che nemmeno se si fossero messi d’accordo, insieme, nello stesso momento, esplosero in un rumorosissimo …” Etchiiii!!!!”

La regina ebbe un sussulto e in un attimo tutto l’equipaggio era alla ricerca della fonte di quel rumore … e non tardarono a trovarla!  Lo sguardo dei piccoli intrusi si incrociò  con quelli minacciosi e poco rassicuranti dei componenti del’equipaggio: rimasero così a studiarsi reciprocamente in un silenzio interminabile, rotto solo da una voce melodiosa come una musica: “Fermi, sono solo dei bambini,  che male possono fare?”  Era Nefertiti a parlare  e la sua voce era come ci si potrebbe immaginare la voce di una regina, con un tono sicuro e deciso, ma delicata come il canto di un usignolo. “venite qui, piccoli,- li invitò- non avete nulla da temere. “Perché siete a bordo della mia nave? Vi siete persi?”

Giacomo e Ahmed erano intimoriti dalla maestosa figura della regina, che con la sua grazia, li aveva salvati e protetti. “No, sua maestà, non ci siamo persi, “rispose prontamente giacomo, non sapendo con quale termine rivolgersi alla regina: sua altezza, sua maestà, regina, Nefertiti … “siamo saliti di nascosto, perché sapevamo che le navi avrebbero raggiunto Tebe e noi volevamo vedere questa splendida città” ammise Giacomo con sincerità.

Lo splendido volto di Nefertiti si illuminò in un sorriso raggiante e prima che il bambino potesse riprendere il suo discorso, lei sentenziò: “Questi due bambini sono miei ospiti ! Ordino che vengano trattati con tutti gli onori  e che si prepari per loro il letto degli ospiti e una cena degna dell’ospitalità così sacra al nostro popolo!”

Come tante formiche, la servitù rapidamente si disperse per accontentare la regina e Ahmed, Giacomo e Nefertiti rimasero da soli. E fu proprio lei a riprendere il discorso. “Mi è piaciuta la vostra sincerità, ragazzi, e ho deciso di premiarvi. Sarete miei ospiti anche a palazzo, una volta che saremo arrivati a Tebe. Akenaton, il Faraone, sarà felice e onorato di fare la vostra conoscenza. Adesso però andate a riposarvi, il viaggio sarà lungo e le navi dovranno affrontare  numerose anse lungo il percorso, ci vedremo per la cena.” Il tono era di quelli che non ammettono repliche e i due ospiti, accompagnati da un servo, si diressero verso la loro stanza.

Dovevano aver dormito molto quando all’improvviso sentirono bussare alla porta: erano due servi pronti ad aiutare i nostri piccoli amici a vestirsi adeguatamente alla cena alla quale avrebbero partecipato.

“E io dovrei andare in giro con  quel coso? NOOOOOOOOO”  urlò Giacomo preoccupato. In effetti i servi avevano in mano una sorta di gonnellino, lungo fino alle ginocchia, fatto tutto a pieghe. “Sarà bene che tu non faccia storie e indossi quello che ti propongono, “consigliò Ahmed, “ti ricordo che stiamo navigando sul Nilo e proprio nelle acque del Nilo abitano quei rettili affamati il cui nome inizia per c e finisce per o…  hai presente? Vuoi essere tu il pasto che soddisfa la loro fame? “

Ovviamente finire questa meravigliosa avventura nello stomaco di un coccodrillo non era certo quello che Giacomo voleva, così, pur sentendosi estremamente ridicolo e vergognandosi  da morire, indossò il prezioso gonnellino a pieghe, stessa cosa fece Ahmed. Un servo con l’aria molto gentile si preoccupò di pettinare loro i capelli, operazione non facile, visto che i capelli di Giacomo sono sempre molto ribelli a qualsiasi pettine e lui odia tantissimo farsi mettere il gel, ma, ricordandosi dei coccodrilli di prima, si fece impastare senza storie con un unguento dal profumo dolce, come di mele mature.

La regina li stava già aspettando, seduta a capotavola, vestita con un abito lungo fino ai piedi,  colore del cielo.  Portava una collana  azzurra e i suoi occhi  furono pieni di gioia alla vista dei suoi due ospiti.

Profumi e colori si fondevano nella stanza del banchetto; la tavola era imbandita con le prelibatezze più ricercate e gustose del mondo egizio, fatte preparare apposta per deliziare il pelato dei due piccoli amici.  Ai quattro angoli della tavola erano stati posti vassoi colmi di frutta matura, dal profumo invitante e in mezzo cesti pieni di pane e vassoi con carne. Dopo una giornata così ricca di avvenimenti e di avventure inaspettate, lo stomaco brontolava e Giacomo e Ahmed parteciparono con vivo entusiasmo alla cena, gradendo i cibi che la gentile regina aveva fatto preparare per loro.

Alla fine della cena la regina disse con tono quasi da mamma: “Adesso filate a letto, perché domattina vi voglio belli freschi: arriveremo a Tebe e vi porterò con me a visitarne le meraviglie. Sarà un gran giorno, avrete l’onore di conoscere il faraone in persona, ma ora andate!”

Dopo aver fatto un rispettoso inchino a Nefertiti, i due giovani si allontanarono con garbo e si ritirarono nella loro stanza. La notte era fresca sulle acque del fiume e il sole, da poco tramontato, aveva lasciato ancora un vivo ricordo del suo passaggio nel cielo, una scia di rosso fuoco, che fondendosi con il blu profondo della notte che stava per arrivare, formava dei riflessi  di luce viola, mentre piano piano, le stelle iniziavano ad accendersi. “Solo Amun  è capace di fare queste meraviglie!” spiegò Ahmed. “Chi è Atum, un pittore?” chiese incuriosito Giacomo.  Ahemd sorrise e spiegò: “Atum è il nome che il Dio Sole assume al tramonto. A seconda del momento del suo viaggio nel cielo prende un nome diverso, così è Khepri al mattino, Ra a mezzogiorno e Atum al tramonto”. Giacomo rimase affascinato da questa nuova curiosità e sia addormentò avendo ancora negli occhi la meravigliosa immagine dei riflessi viola nel cielo.

Sembravano passati pochi minuti quando Khepri, il sole del mattino fece visita con i suoi raggi nella stanza dei bambini, riscaldando il loro volto e bussando sui loro occhi ancora chiusi; in realtà di tempo ne era passato, tutta una notte piena di sogni.

Dopo che ebbero fatto colazione, incontrarono la regina che li attendeva nella sala del trono.  Se il giorno precedente l’avevano vista elegante e splendida, oggi non ebbero parole per descriverla: fu come una visione, una fata, una dea seduta nel suo trono, illuminata da un sorriso benevolo e radioso. Era felice Nefertiti, perché presto il viaggio si sarebbe concluso e finalmente, sarebbero tutti sbarcati  a Tebe. E furono tutti ancora più felici, quando il capo della flotta, il saggio Amenothep annunciò  che i nostri piccoli amici erano i benvenuti nella capitale del magnifico mondo egizio: Tebe.

Gli occhi di Ahmed e Giacomo non sapevano cosa guardare, tante erano le meraviglie della città:  un susseguirsi di maestose e solenni costruzioni che incutevano anche un po’ di timore e di imbarazzo, adagiate in un tappeto verde di vegetazione, di fronde e di alberi,  sotto il tetto di un cielo sempre puro, mai attraversato da nuvole. Ma lo stupore dei bambini non era destinato a finire. All’improvviso, di fronte a loro, videro apparire due statue, enormi, infinite quasi fino a toccare il cielo. Leggendo la meraviglia nei loro volti, Amenothep, con tono orgoglioso disse: “Sono stato io a progettare e a far costruire queste due statue; ho voluto che fossero grandi, le più grandi statue mai costruite,  perché raffigurano il mio signore, il Faraone e il suo ka: in mezzo troverete  la strada che vi porterà da lui.”

Tra le due enormi statue in pietra si apriva una strada, delimitata da alti sicomori frondosi; i due bambini la percorsero con il cuore che batteva per l’emozione, sapendo che alla fine di quel viale alberato avrebbero trovato la porta che li avrebbe condotti dal Faraone. Accompagnati dal fedele Amenothep, che li proteggeva con lo sguardo, camminando dietro di loro e seguiti da Nefertiti, Ahmed e Giacomo fecero il loro ingresso nel palazzo di  Amenopi.

Subito dei servi si prodigarono per offrire loro il meglio dell’ospitalità,rinfrescandoli con dell’acqua profumata da petali di rosa e facendoli accomodare  in delle alte poltrone, ricoperte con morbidi tessuti color porpora, bordati di rifiniture d’oro.  Amenothep e Nefertiti poterono entrare  nelle stanze dell’appartamento reale del Faraone, per annunciargli la visita dei due ospiti. I bambini aspettarono pazientemente, seduti composti  su quei troni e sentendosi veramente importanti, come dei capi di stato o dei diplomatici giunti in visita da un paese lontano, immaginando, ognuno nella sua mente, quale  avrebbero dovuto essere le parole più appropriate da pronunciare di fronte ad un Faraone.

Ma le sorprese in quella terra meravigliosa non erano destinate a finire! Una porta degli appartamenti reali, improvvisamente si aprì, e, ne comparve  una piccola mano, con delle dita lunghe e affusolate, ma molto magre; infine apparve un bimbo, molto piccolo per statura e gracile per costituzione: sembrava che quasi le sue gambe minute non reggessero il peso del suo corpo e si potessero rompere ad ogni passo.

Ahmed, rompendo ogni indugio, si presentò: “Ciao, io sono Ahmed e lui è Giacomo, il mio amico, stiamo aspettando di essere ricevuti dal Faraone, e tu?” Il piccolo bambino rispose con un sospiro: “Almeno per voi un po’ di tempo lo trova, io non riesco mai a vederlo, è sempre impegnato mio fratello e non ha mai un minuto per giocare con me.

Il mio nome è Tutankamon, il mio papà era Amenopi III e alla sua morte, mio fratello ha preso il suo posto. Prima  trascorrevamo molto tempo insieme, adesso.. ha sempre molto da fare, ma io lo capisco, l’Egitto è nelle sue mani!”

A sentire il nome del bambino, Giacomo sgranò gli occhi, che si spalancarono come grandi finestre per la meraviglia e se lo fece ripetere, per paura di aver capito male. Aveva capito benissimo, si trattava di Tutankamon: rimase incerto a lungo sull’opportunità di raccontare al piccolo il destino che lo avrebbe atteso, ma poi, vedendo la sua espressione già triste, decise che forse era meglio non raccontargli che sarebbe diventato faraone prestissimo, che sarebbe morto molto giovane e che in casa sua, nella parete della cucina c’era un ‘immagine della sua preziosa maschera funeraria, meglio lasciar perdere!

Un cigolio accompagnò il grande portone d’oro e bronzo che si apriva e, finalmente, Amenothep potè introdurre i due bambini al cospetto del Faraone.  Nelle loro idee essi immaginavano il faraone bello come un principe delle fiabe, alto, muscoloso, con i capelli biondi e lunghi: niente di tutto questo si presentò di fronte ai loro occhi!

Amenopi non era bellissimo, il suo volto era allungato e il mento molto pronunciato, quasi uno spigolo, ma aveva una particolare luce nello sguardo che usciva da quegli occhi a mandorla,  che catturava la simpatia e una splendida capacità di incantare con le parole. Seduta al suo fianco, lei, la regina Nefertiti, che, parlandogli all’orecchio, stava raccontando la storia di Ahmed e Giacomo.

Il Faraone sorrise, ascoltando il racconto della sposa reale,magari ripensando a qualche sua birichinata combinata da piccolo, poi, con un cenno della mano, invitò i piccoli ospiti ad avvicinarsi al suo trono. Erano costretti a tenere il viso rivolto  in su, tanto era alto il trono in cui egli era seduto. Alle sue spalle un luccichio abbagliante catturò gli occhi dei bambini: un disco d’oro campeggiava nella parete. Le sue dimensioni erano enormi, così come incredibilmente vivida era la luce che si sprigionava da esso. Nella parte bassa dell’immagine del sole erano disegnati otto raggi, ognuno dei quali terminava con una mano: le braccia di Aton che distribuiscono  amore, fortuna e prosperità ai suoi fedeli.

A Giacomo quelle braccia sembravano dei piccoli cucchiai, avrebbe voluto dirlo ad alta voce, ma, temendo la reazione dei padroni di casa e pensando sempre ai coccodrilli che nuotano silenziosi nel Nilo, preferì tacere.

Accortosi  dell’insistenza con cui i bambini osservavano il disco solare, Il Faraone spiegò che quel simbolo lo aveva inventato lui in persona, per compiacere il dio Aton.

A quel punto, Nefertiti, con la sua dolcezza, sussurrò al Faraone che ancora non aveva iniziato il suo discorso: “Sono dei ragazzi in gamba, di loro ci possiamo fidare,  a loro lo puoi dire!” E così, egli iniziò la sua spiegazione: “Sapete che il mio nome è Amenophi Iv, porto il nome che era appartenuto a mio padre Amenophi III e a tutti gli discendenti  maschi della mia famiglia. Voglio fare un regalo al dio Aton, voglio  cambiare il mio nome in Akenaton, ossia colui che è gradito ad Aton!” E nel mentre pronunciava queste parole, un raggio di sole abbagliante penetrò nella stanza, illuminando di una calda luce gialla il prezioso disco solare dietro al trono, come un soffice abbraccio pieno di calore, quasi come un ringraziamento per le parole appena pronunciate.

Giacomo conosceva bene la potenza del sole  e il legame speciale che lo legava al Faraone. Aveva letto la scorsa estate un libro  su Ramses II, nel quale si raccontava che, poiché il suo esercito con tutti i generali lo aveva abbandonato, egli, con l’aiuto del Dio sceso in lui, riuscì a sconfiggere il ferocissimo esercito degli Ittiti. Avrebbe voluto raccontarglielo Giacomo al Faraone, ma il timore di interrompere colui che era il padrone indiscusso di tutto quel regno fu troppo forte, così come lo era il ricorrente pensiero dei coccodrilli nel Nilo: perciò, anche in questo caso preferì tacere, anche perché non sarebbe stato così facile spiegare ad Akenaton chi era Ramses. Per il suo modo di essere leale e coraggioso, fedele e giusto, Ramses era il suo faraone preferito e magari, parlandone  con tutta l’ammirazione  che provava, avrebbe anche potuto far ingelosire Akenaton. E’ vero che Nefertiti aveva raccontato loro che suo marito odiava la violenza, ma meglio non provocarlo, non si sa mai!

Nefertiti esortò il marito a continuare a raccontare tutte le cose che custodiva nei suoi segreti: “Questa è solo una delle cose che Akenaton ha in mente, continua, ti prego, spiega loro la tua novità che hai intenzione di introdurre, che sarà destinata a cambiare le abitudini del nostro popolo”. Incoraggiato dal tono della moglie, il Farone spiegò quello che aveva in mente.

“Sapete ragazzi, anche siete giovani,  che in Egitto  il popolo è fedele a molti dei, che custodiscono, proteggono e hanno reso il cammino della nostra civiltà lungo e glorioso. Per certo avrete sentito almeno nominare Iside, Osiride, Anubi,  Maat. Secondo il mio modo di vedere, sarebbe molto meglio unire le forze per pregare un unico, solo Dio, che riceverebbe la forza di tutte le preghiere. Con tutta l’energia ricevuta, Aton splenderà sempre nel cielo nel cielo d’Egitto e ricambierà il nostro popolo con un caldo abbraccio.

Ahmed, che era egiziano e ben conosceva e pregava i numerosi dei, chiese: “Ma maestà, come crede che il popolo egizio  accoglierà la sua proposta?” Il Faraone sorrise di fronte alla domanda del piccolo suddito. “Hai ragione- rispose- non sarà facile, ma bisogna a vere sempre il coraggio di cambiare e di lottare per quello in cui si crede.” Giacomo non potè trattenersi, perché questo discorso gli piaceva proprio e con un tono di voce squillante, quasi urlando esclamò: “Sìììì, è vero! Se nessuno avesse mai avuto il coraggio di cambiare le cose, oggi noi saremo ancora degli australopitechi! Pensiamo a Galileo,  a Colombo, a Leonardo e alle loro grandi scoperte, agli scienziati che passano le loro vite a ricercare e anche se tutti li prendono per matti, loro vanno avanti  sulla strada delle loro convinzioni!”

Queste parole lasciarono attonito Akenaton, forse non si aspettava una reazione così piena di passione da parte di un bambino, o forse non riuscì nemmeno a capire il significato di tutte le parole, però rispose: “Devono essere in gamba questi tuoi amici di cui mi hai parlato, vorrei che lavorassero per me, qui a palazzo!” Fu un po’ complicato spiegare che essi non avrebbero accettato, non per cattiveria o per mancanza di volontà, semplicemente per diversità di tempi e di epoche.

Le parole pronunciate dal faraone giravano ancora nei pensieri di Giacomo, che ci  si riconosceva in pieno. Anche lui era capace di tirar fuori tutto il suo coraggio per difendere le cose in cui credeva. Come quella volta, sulla spiaggia, quando aveva visto il suo amico catturare dei pesci, metterli in un secchiello e abbandonarli al sole. Non ci aveva pensato due volte, aveva preso il secchiello e lo aveva rovesciato in mare, liberando i malcapitati animali e augurando all’amico che lo guardava esterrefatto che un giorno fosse arrivato un pesce grande, grandissimo che lo avesse rinchiuso in un piccolo spazio e gli avesse fatto provare la stessa sensazione  temuta dai pesci nel secchiello.

Quell’azione di Giacomo provocò un vortice di conseguenze: il bambino iniziò a piangere per un tempo interminabile, la sua nonna si arrabbiò con Giacomo perché il bimbo era inconsolabile: ma a Giacomo questo non importò granchè, era rimasto da solo, ma non per questo smise di difendere la sua posizione, anzì, continuò più accanito di prima a difendere la sua idea di libertà! Non volle raccontare nulla di tutto ciò, ma l’infinità dolcezza di Nefertiti riuscì a leggere negli occhi di Giacomo tutti i suoi pensieri e se ne compiacque.

Ahmed, pur temendo di irritare il Fraone, volle comunque porgergli una domanda che gli stava girando nella mente già dal primo incontro. Cercando di essere il più rispettoso ed educato possibile, scelse le parole più adatte e chiese: “Mio Signore e faraone, non vorrei sembrarti irriverente a porgerti una domanda di questo tipo, non vorrei essere impertinente a parlare di morte, ma so che ogni Faraone, in vita, pensa alla costruzione della sua casa eterna: tu, ci hai pensato?” E pronunciando queste parole, le sue guance arrossirono. Akenaton non sembrò imbarazzato da questa domanda, anzi si dimostrò felice di poter rispondere, per raccontare un’altra delle sue innovazioni.

“Mio buon amico, come ogni Signore d’Egitto ho certamente già pensato alla mia casa futura. Sarà grande, maestosa e imponente, come si conviene alla dimora eterna di un Faraone, ma la mia avrà comunque qualcosa che la renderà diversa da tutte le latre che sono state costruite. “Dimmi, mio piccolo amico, sai tu da che parte, ogni mattina. Sorge Aton?” Ahmed rispose con sicurezza: “A est, mio Signore” “Esatto!  La mia casa eterna sorgerà proprio lì, ad est del Nilo, perché ogni giorno, da est, il mio ricordo possa rinascere, così come fa Aton.” Si trattava certo di una bella novità, perché tutte le piramidi dei faraoni sorgevano sulla riva occidentale del Nilo. “Naturalmente anche Nefertiti sarà con me: la sua piramide sorgerà vicino alla mia, saremo uniti anche nell’ultimo, eterno viaggio nel nome di Aton” concluse il Faraone.

Akenaton aveva ormai aperto il suo cuore e volle rendere partecipi i piccoli ospiti degli altri suoi importanti progetti. Così, continuò a raccontare: “ Già da quando ero ancora un ragazzo e mio padre era il Faraone avevo in mente mille riforme e cose nuove da realizzare; quando ne parlai con lui, si arrabbiò così tanto che mi minacciò di cacciarmi dal regno se avessi osato un’altra volta formulare discorsi simili. Perciò continuai nei miei pensieri a cullare queste nuove idee, senza mai  rivelarle a nessuno.  Quando incontrai Nefertiti capii che di lei mi potevo fidare e che avrebbe potuto condividere la mia voglia di novità. Adesso che sono diventato Faraone, posso trasformare le mie idee in realtà per il mio popolo, anche se so che susciteranno non poco scalpore, ma niente è facile in questo modo!”

I due bambini ascoltavano le parole di Akenoton con meraviglia, come se stessero ascoltando una favola. Il Faraone continuò a raccontare, felice di poter condividere con qualcuno la sua voglia di novità. “Io sono un acerrimo difensore della pace e voglio che durante il mio regno nessuna violenza, di qualsiasi genere, attraversi il mio paese: non solo nei confronti degli esseri umani, ma verso tutti gli esseri viventi. Così vieterò  che vengano sacrificati animali in favore degli Dei duranti i rituali, perché, per l’idea che ho io della divinità, non credo che a loro faccia piacere spargere sangue in loro onore! Come può la violenza far piacere a qualcuno, far felici gli Dei?”

A questo punto Nefertiti continuò a raccontare, sostituendosi al marito: “I Sacerdoti, custodi dei templi si sono già scandalizzati per questo e hanno deciso di farci una lotta serrata, hanno paura di perdere il loro potere nella nostra società, si sentono tagliati fuori e temono di perdere i loro privilegi. Troppe volte si sono approfittati del loro ruolo per prendere in giro e sfruttare la povera gente e questo, al Faraone non piace e nemmeno a me!”

“Sapete- cominciò a raccontare- che qui in Egitto tutti gli uomini non sono uguali. Io sono il Faraone e sono considerato come un Dio, ma in realtà io sono una persona e vorrei essere apprezzato per quello che sono, commetto anche io degli errori come tutti gli esseri umani e non capisco perché, se sbaglio, nessuno debba correggermi! E’ vero che ho sulle spalle la responsabilità di un popolo, un popolo glorioso che non voglio deludere, ma so già  che le mie novità scateneranno tanta rabbia, soprattutto in chi si vedrà portare via dalle mani tutti i suoi privilegi.

Quante cose aveva in mente Akenaton per rinnovare il suo paese e lasciare un’impronta indelebile del suo passaggio nella storia del suo popolo. I pensieri che aveva custodito nella sua mente fin da quando era bambino e pensava al suo futuro, al giorno che si sarebbe seduto sul trono del padre, e adesso che quel giorno era arrivato,i suoi sogni si stavano per compiere. Ancora il Faraone non aveva svelato tutti i suoi progetti, aveva lasciato in ultimo quello che più gli stava a cuore.

Dopo una breve pausa di silenzio, riprese a parlare. “Sapete bene, miei buoni amici, che io sono devoto al Dio Aton, ho addirittura cambiato il mio nome in suo onore e ho anche chiesto a Nefertiti di scrivere una preghiera, un inno per lui. Vorrei fare molto di più per rendergli grazie, per celebrare la sua grandezza, così, con l’aiuto di Amenotep, costruirò a Karnak un tempio, il più bello e maestoso che l’Egitto abbia mai visto. Sarà costruito con dei grossi mattoni in pietra, che noi qui chiamiamo thalathat, perché il lavoro sia veloce e gli operai sentano meno fatica.”

“Fra pochi giorni, durante la cerimonia dell’Enunciazione, comunicherò questa notizia a tutto il popolo e proclamerò che Aton sarà l’unico Dio, l’unico che potrà donare la pace al nostro popolo, l’unico in grado di tenerci uniti.Aton è il mio unico padrone, il mio Signore e io voglio  onorarlo costruendo una nuova capitale per il mio regno, si chiamerà Aketaton!”

Gli occhi di Akenaton si illuminavano di luce parlando, di quella stessa luce con cui il Sole, poco prima, aveva irraggiato la stanza. L’inconto con Akenaton stava per concludersi, era stato per i due bambini emozionante come un sogno poter parlare con lui, ascoltare i suoi progetti e le sue idee di novità. Anche il faraone, dall’alto del suo trono, aveva gradito la compagnia di Ahmed e Giacomo, tanto chè, perché si ricordassero di quel momento, donò a ciascuno di loro un amuleto a forma di scarabeo, l’animale simbolo di Aton.

A questo punto, i due bambini, secondo le regole del cerimoniale, chiesero il permesso di potersi congedare. Il Faraone si alzò dal suo trono, ne scese e salutò i due bambini, baciandoli sulla guancia, come se fossero stati dei capi di stato o degli ambasciatori, pregando per loro i favori di Aton. Quindi, invitandoli a ritornare disse: “Ogni qual volta vogliate, le porte del mio regno e quelle del mio palazzo saranno aperte per voi.” Anche Giacomo avrebbe voluto ricambiare l’invito, ma si trattenne dal pronunciare qualsiasi parola, il motivo lo capite da soli!

Ripercorsero con Amenotep il viale alberato fino a quando si trovarono sotto l’ombra delle enormi statue, che al loro arrivo li avevano accolti. Amenotep si congedò da loro, augurandogli pace, fortuna e prosperità. I due bambini si commossero di fronte a quell’anziano personaggio, dal viso buono e dallo sguardo rassicurante, che sembrava avere in tasca la soluzione a qualsiasi problema. “sei un po’ come Leonardo da Vinci, sai fare mille cose, sei medico, architetto, inventore… “disse Giacomo.

“Non conosco questo Leonardo, ma a quanto sembra, deve essere un tipo davvero in gamba! Presentamelo quando ritornerai, ne sarò lieto!”

Ahmed e Giacomo si incamminarono verso il porto, dove il faraone aveva messo a disposizione la sua nave, la splendida “Aton illumina” per ricondurli a nord. Camminavano in silenzio, quasi vergognandosi di ammettere che entrambi erano dispiaciuti che il loro viaggio stesse per terminare. Giacomo tirò fuori dalla tasca l’amuleto che poco prima Akenaton gli aveva donato, lo mise sul palmo della mano aperta per osservarlo, lo accarezzò con un dito… quand’ecco, all’improvviso un vento impetuoso e violento iniziò a sollevare polvere, intrappolando i due bambini dentro un vortice di aria e di sabbia. Una forza inarrestabile spinse Giacomo, che non riusciva nemmeno più a respirare; gli sembrò di vivere una sensazione già provata, ma questa volta la forza lo sospingeva, lo trascinava verso l’alto:stava alzandosi verso un tunnel buio e freddo. Quando un dolce tepore iniziò ad accarezzarlo, capì che stava per riaffiorare sulla terra, il tempo di riaprire gli occhi e di vedere la buca così come la aveva lasciata,  con intorno i suoi attrezzi sotto al grande ciliegio. Tutto era immobile, tutto era rimasto intatto, come se nulla fosse accaduto, come se il viaggio non fosse mai esistito. Non aveva neanche avuto il tempo di salutare Ahmed, di ringraziarlo per la sua amicizia. Si affacciò per guardare dentro alla voragine, ma il buio nascondeva ogni cosa. Aprì il palmo della mano e si accorse di aver perso lo scarabeo ; gli sembrò di sentire una voce lontana, come un ‘eco “Conserverò io il tuo scarabeo, te lo ridarò quando tornerai a trovarmi!”. Giacomo non ebbe mai la certezza di aver sentito veramente quella voce. Sentì invece il nonno che lo chiamava perché era l’ora di tornare a casa. Giacomo lo seguì senza raccontare nulla, intuendo che non si era minimamente accorto della sua mancanza.

“Papà, papà … una cosa straordinaria mi è successa oggi!!!! Sono scivolato dentro una buca  nel giardino e mi sono ritrovato nell’Antico Egitto!!!” Ho conosciuto Nefertiti e ho parlato con il Faraone…”  “Oh Giacomo, tu leggi troppe storie! Ma dove ti fa volare la tua fantasia?”

La storia che hai appena letto è un po’ frutto della fantasia di chi l’ha scritta e un po’ verità. Alcuni personaggi ed eventi sono accaduti veramente, altri sono stati modificati per rendere piacevole la narrazione. Sarai adesso curioso di sapere come sono andate le cose in Egitto.

Purtroppo i desideri di Akenaton si sono persi nel nulla. Un atroce  e tremenda malattia si è impossessata del suo cervello, tanto da renderlo incapace di governare e sciocco nelle scelte. Decise che il suo “bastone della vecchiaia”, ossia il suo successore dovesse essere un personaggio squallido e violento, che avrebbe sicuramente distrutto l’Egitto se Nefertiti e Amenothep  non avessero combattuto a lungo per difender la loro gloriosa civiltà. Alla morte di Akenaton, avvenuta dopo 14 anni di regno, fu nominato Faraone Tutankamon,  che sposò anche sua figlia. La capitale fu riportata a Tebe e furono ripristinate tutte le regole che esistevano prima dell’avvento di Akenaton.

E Nefertiti?  E’ rimasta nella sua città, Aketaton, dove il miglior  artista   della città scolpisce suoi busti e ritratti, perché la figura di questa incantevole donna e splendida Regina rimanga iImmagina un pomeriggio, uno di quelli in cui il sole splende alto nel cielo, riscaldando di luce tutto quello che trova; immagina il suo calore, vivo e torrido e quella luce che solo le giornate d’estate possono avere. Immagina il silenzio che la calura delle prime ore del pomeriggio genera, quando è fatica anche respirare e tenere gli occhi aperti.

In questo cerchio di luce, immagina un bambino: immagina i suoi occhi: grandi  biglie di un colore indefinito che si trasformano dal marrone chiaro al verde scuro, a seconda di come la luce li attraversa, ma sempre allegri e  vivaci, capaci di spalancarsi, ogni qual volta sono felici, in un grande sorriso che passa prima da loro e poi scende alle labbra.

Avrà più o meno la tua età, questo bambino e vive come vivi tu. Ha tante passioni, come forse hai tu: gli piacciono i giochi tecnologici, quelli che vi fanno stare ore e ore attaccati a quegli aggeggi infernali con quelle musichette insopportabili …  gli piacciono i cartoni animati e i libri, la pizza e il gelato, ma le sue  più vere e grandi passioni sono due, due amori che lo accompagnano fin da quando era davvero molto piccolo.

Il primo suo grande interesse è il gioco del calcio. Qualsiasi oggetto rotondo, che rotola, ha sempre avuto su di lui un effetto ipnotizzante: impossibile resistere e non correre dietro un pallone per prenderlo a calci … impossibile!!! E’ come se fosse telecomandato da una forza soprannaturale, che, alla vista del pallone manda un impulso, come fosse un robot !!! Per questo, gioca anche nella squadra dei bambini del suo paese e, condividere con loro questa ipnosi, lo rende straordinariamente felice. Il cane di zia Laura, appena lo vede arrivare corre a nascondere la sua pallina, teme che inizi a calciargliela con un ritmo elettronico che lui non può reggere!  E’ anche un gran tifoso  e il suo cuore è diviso a metà fra due squadre,( ma non vi svelo quali sono)  e visto che una delle due non sta attraversando un periodo felice, si tiene l’altra di scorta, almeno una delle due vincerà!

L’altra grande passione del nostro amico è capace di fargli spalancare gli occhi di meraviglia ogni volta, di renderlo curioso e insaziabile di sapere  e di conoscere, di scoprire tutto e subito ed è anche la base del lavoro che vorrebbe fare da grande. La storia, la scoperta del mondo antico, di tutto quello che ha abitato il nostro pianeta fin dai primordi lo affascina incredibilmente e non importa se si tratta di megalodonti, mammuth o popolazioni fluviali, tutto va bene, basta che sia lontano nel tempo!

Come ricompensa per una bel voto preso o come regalo per il suo compleanno lui non chiede giocattoli, ma biglietti di ingresso per musei paleontologici o archeologici  ed è bella la sua faccia quando si trova di fronte alle vetrine di cristallo ad ammirare i reperti.

Vorrebbe entrarci dentro la vetrina, tanto si avvicina con il viso … e una volta era così  immerso nella contemplazione che ha sbattuto con la fronte nella teca di vetro, facendo un gran rumore e richiamando l’attenzione di tutti, dei visitatori e dei responsabili del museo, che però, vedendo la sua faccia così persa nella meraviglia, non hanno avuto il coraggio di brontolarlo. Mi sembra di ricordare che sia   successo al Museo Egizio a Torino, aveva appena sei anni e stava imparando allora a leggere, quindi si soffermava tantissimo di fronte ad ogni reperto perché per scorrere con gli occhi la descrizione gli serviva tantissimo tempo: quei paroloni così lunghi e difficili sembravano davvero indecifrabili, ma tanta era la voglia di sapere che nessun ostacolo la avrebbe potuta fermare! “Andiamo Giacomo … o finirà che rimarremo chiusi qua dentro!”, lo incoraggiava la mamma, ma lui sembrava davvero non sentire, chissà in quale mondo era perso in quel momento lì.

Essendo un bambino, il nostro amico ha anche la voglia di giocare come tutti i bambini della sua età e così, quel pomeriggio d’estate decide di uscire nel giardino con il suo nonno. Gli piace stare con lui, perché ha una risposta a tutte le sue domande sulle piante e su tutti quegli animaletti che popolano l’invisibile mondo degli insetti.

Armato con i suoi piccoli attrezzi  di plastica colorata, oggi vuole scavare una gran buca, proprio sotto a quel grande albero di ciliegio, quello che campeggia in mezzo al suo giardino. E’ cresciuta tanto quella pianta che è stata piantata proprio quando è nato lui,  è diventata maestosa, imponente con quella sua chioma verde e brillante, ma di frutti la pigrona non si è mai decisa a farne:  e pensare che a lui le ciliegie piacciono da impazzire!!!

Prende in mano la paletta e, mentre il nonno annaffia, lui si dedica a scavare. Ha deciso che farà una buca bella grande come quelle che faceva al mare, sulla spiaggia insieme ai suoi amici, lì però  erano in tanti a lavorare  … qui è da solo! Ma si sta divertendo davvero tanto: con ogni palettata riesce a portare via tanta terra e, davanti a lui, piano piano il buco si apre e vengono alla luce, quasi disturbati nel loro sonno, tanti insetti e piccoli vermi, che spaventati cercano di strisciare via il più veloce che possono.

Il buco si fa sempre più grande e Giacomo  è sempre più invogliato a continuare il suo lavoro prodigioso, si avvicina ai bordi per definire meglio il margine del piccolo cratere quando … improvvisamente la terra sotto ai suoi piedi inizia a franare e lui si sente come risucchiato da un vento fortissimo. Ci prova ad aggrapparsi al tronco del ciliegio, ma quel soffio è veramente potente, tenta anche di chiamare il nonno, ma la voce gli si strozza in gola e non riesce ad uscire … lo chiama dentro alla sua mente, ma il suo pensiero non si trasforma in parola.

Risucchiato dentro a quel vortice di terra, Giacomo chiude gli occhi e pensa che prima o poi  quella discesa dovrà pur finire, atterrerà da qualche parte! Si immagina che la fine di quella pazza corsa non sarà tanto delicata, così tiene gli occhi più chiusi che può e si prepara all’impatto. Scorrono nella sua mente milioni di immagini, milioni di ricordi ad una velocità impressionante … tutto è accelerato e  durante il viaggio anche i pensieri perdono la loro forma.

Un gran silenzio tutto intorno e tanto tanto caldo: nel giardino sì c’era un sole che scaldava, ma non a questa temperatura! Prova a muovere le mani Giacomo e si accorge che la sua discesa è finita, si sente la pancia ferma contro il suolo e le sue dita sfiorano qualcosa di morbido, delicato, una sensazione già provata … ma certo, questa è sabbia!

Apre piano piano gli occhi per paura di vedere cosa ha di fronte, ma prima che la vista  possa  scorgere qualcosa, sono le voci a catturare la sua attenzione. Voci insolite, che parlano una lingua diversa dalla sua, una lingua melodiosa, che sa di antico e di misterioso al tempo stesso, peccato non  poter capire quello che stanno dicendo gli abitanti di questo posto. A questo punto Giacomo li vuole vedere e si decide ad aprire  gli occhi e non riesce a credere a quello che gli si presenta davanti.

Con le dita ancora un po’ sporche di sabbia si stropiccia le palpebre, ma la visione è sempre, incredibilmente, la stessa. Non può essere un sogno, perché si sente sveglissimo. Prova a ricapitolare le sue ultime mosse nella sua mente: “Allora, ero con il nonno sotto al ciliegio, scavavo la buca, se scavavo la buca vuol dire che ero sveglio, quindi quello che sto vedendo non è un sogno … è una splendida verità!”

Sì, era una splendida verità. Giacomo si trovava a camminare sulla sabbia del deserto, le voci che sentiva parlavano in antico egiziano e quelli che vedeva erano egiziani in carne ed ossa. Roba da non credere!!! Infatti chi mai l’avrebbe creduto quando avrebbe raccontato tutto questo?

“Beh, ormai che sono qui tanto vale viverla questa avventura!” Pensò Giacomo, entusiasmato da tutto quel brulichio di voci e movimenti. Ma non erano gli uomini a catturare la sua attenzione: parlavano in un’altra lingua, è vero, vestivano in un modo un po’strano, ma erano pur sempre uomini, con due braccia, due gambe, due occhi…

Quello che lo affascinava di più in quel momento era la grande, immensa, illimitata distesa del deserto, sconfinata come il mare, ma immobile, interminabile  come il cielo e tempestata di tante piccole stelle brillanti, i granelli  di sabbia baciati dal sole.

E al di là dello sguardo una sterminata pianura, fertile e verde, di quel verde nuovo che colora le foglie giovani. Piante in fila, ordinate come tanti soldati schierati in marcia, palme dalle fronde generose ,rigogliosi canneti  che regalano la loro ombra rinfrescante e papiri, fedeli custodi della storia di questo antico popolo.

A separare la rigogliosa vita dall’arida sabbia, lui, il testimone silenzioso dello scorrere del tempo, il mago capace di generare la vita, lui, il Nilo. Da secoli scorre quieto, quasi sonnolento,  tanto da sembrare immobile  con le sue acque di un verde profondo. Con la sua infinita lunghezza si snoda come un serpente,  avvolto da un alone di mistero, inonda con il suo alito vivificante le terre in cui scorre, sempre con lo stesso ritmo e, sebbene sembri che scorra verso sud, in realtà scorre verso Nord: anche l’aridità del deserto si arrende all’incantesimo dei suoi magici poteri, che trasformano la sabbia in meravigliosi colori.

“Sei rimasto senza parole eh?”  Giacomo non sapeva se credere a quello che sentiva, qualcuno che conosceva la sua lingua si stava rivolgendo a lui, gli stava parlando! Girò lo sguardo verso la direzione da cui proveniva la voce e si trovò davanti due occhi, profondi, neri, pieni di quel magico mistero che la civiltà egizia porta dentro di sé da migliaia di anni.  Due perle nere, quegli occhi, incastonati in una carnagione color cioccolato: ecco così era Ahmed: “Ciao, io  mi chiamo Ahmed  e ho 8 anni, ma tu … come sei vestito strano,! Da dove vieni?” Giacomo no sapeva cosa rispondere, era sorpreso e imbarazzato al tempo stesso, ma nel profondo del suo cuore trovò il coraggio di rispondere.  “Ciao, anche io ho 8 anni e mi chiamo Giacomo, sono nato in Italia, la conosci?”  Sul viso di Ahmed si dipinse un’espressione pensierosa e concentrata. “No, non ho mai sentito questo nome e non so dove sia il tuo paese.” A Giacomo allora balzò in mente una domanda, una di quelle che gli saltavano in testa quando faceva quei suoi ragionamenti logici rapidi: “Ma se non conosci il mio paese come è che parli la mia lingua?”  Il volto di Ahmed si illuminò in un sorriso raggiante e malizioso allo stesso tempo. “Benvenuto, sei nel regno d’Egitto, dove tutto può accadere.”  Di fronte allo sbigottimento di Giacomo, il piccolo egiziano continuò a raccontare e le sue parole avevano un velo di incanto e di prodigio.

“Lo vedi quel fiume? Quello è il Nilo, uno dei fiumi più lunghi del mondo, è grazie a lui e alle sue inondazioni se il nostro popolo è ricco e felice. Ogni anno la nostra dea Iside piange infinite lacrime per la perdita del suo sposo Osiride, ucciso dal suo perfido fratello e quelle lacrime della dea fanno aumentare il livello del fiume, tanto da farlo straripare e inondare i campi intorno. Quando le lacrime si asciugano e il fiume ritorna nei suoi argini,nelle terre intorno è rimasta una sostanza preziosa, che come polvere magica, rende tutto fertile, il limo. Ecco perché lì non c’è deserto, ma coltivazioni e colori!. Sai nella mia lingua come si dice Nilo? Si chiama Iteru e vuol dire “grande fiume” e si scrive così”. Poi, con il dito disegnò sulla sabbia alcuni segni, più o meno così…

Incantati ad ammirare quel meraviglioso panorama, i due, che ormai erano diventati amici, tornarono alla realtà: sull’acqua del fiume stavano navigando alcune imbarcazioni che avanzavano leggere, come se qualcuno le avesse appoggiate delicatamente. Si seguivano in fila, sicuramente secondo un ordine: davanti a tutte la più importante e a seguire le altre. La vela quadrata, bianca diventava ancora più candida con la luce del sole, si gonfiava al  soffiare del vento e le trascinava in avanti. Al passare delle navi, tutte le persone che si trovavano sugli argini del fiume si fermavano ad ammirare quel lento scorrere. Il primo ad interrompere il silenzio e a parlare fu Ahmed: “sai chi si trova a bordo di quelle navi?” Giacomo non lo sapeva, ma poteva immaginare che si trattasse di qualcuno di veramente importante. “In una di quelle navi, precisamente sulla terza, si trova la nostra regina, che nella nostra lingua abbiamo chiamato Nefertiti, ossia “La bella che viene qui”. Giacomo non osava credere che proprio Nefertiti, la regina che lui aveva disegnato tante volte, di cui aveva letto storie incantevoli, adesso si trovasse a poca distanza da lui. “E dove sta andando?” chiese allora. Ahmed si sedette sotto la fronda di un albero e iniziò a raccontare. “La vedi la prima nave? Lì è imbarcato Amenhotep, una persona saggia, di cui il faraone ha una gran fiducia: lui ha l’incarico di condurre Nefertiti a Tebe, la nostra capitale.”  Le parole di Ahmed furono interrotte da qualcosa di strano e di improvviso, di maledettamente spaventoso …. “Ma come?” anche sul deserto ci sono i temporali?” chiese Giacomo preoccupato: a lui tuoni e lampi non sono mai piaciuti un gran che! Ahmed sorrise, intuendo la paura di giacomo e prontamente, rispose: “Tranquillo, non è un temporale questo! Quelle che incupiscono il cielo non sono nubi, ma è una tempesta di sabbia.”

Granelli di sabbia  volavano come farfalle impazzite, spinte dal vento caldo, asciutto, che quasi sferzava la pelle: un passaggio violento, feroce, ma rapido che si dissolse in pochi attimi, riportando velocemente il chiarore in quel cielo dove il Sole aveva stabilito la sua dimora.

Le navi, prima nascoste dentro la tempesta, riapparsero come per magia, erano ferme nel piccolo porto e le vele quadrate erano sgonfie. Ancora sbalordito per la rapidità e la straordinarietà di tutto quello che gli stava accadendo, Giacomo si era scordato di fare, forse, la domanda più ovvia di tutte: “Ma qui, dove siamo? In quale città?” “Hai il piacere di trovarti a Scedit, nell’Egitto del nord. Vorresti vedere la nostra capitale, la meravigliosa e lussuosa Tebe? “Ahmed  non aspettò nemmeno la risposta di Giacomo, forse immaginandosela già, lo tirò per un braccio e lo spinse, correndo, verso le navi attraccate al porto.  “Shhhh ! adesso seguimi e non fare domande: se ci beccano siamo fritti! “velocissimi  corsero sulla passerella e si infilarono a bordo della terza nave, quella della regina Nefertiti.  “La principessa si è fermata per ammirare il mio villaggio, ma  a breve riprenderà il suo viaggio per Tebe e noi, noi… la accompagneremo!” sentenziò Ahmed con la sua aria da furbetto.  E in effetti aveva ragione, la regina non tardò ad arrivare. Nascosti dietro ad un baule, i due ragazzi la videro apparire, elegantissima nel suo abito principesco, arricchito  da favolosi gioielli, con pietre preziose di ogni forma e di ogni colore.  Era bella Nefertiti, di un’eleganza degna di una regina. Gli zigomi alti davano un aspetto regale e severo  al suo volto, addolcito dalle labbra sottili, ma quello che colpiva a  prima vista erano gli occhi.  Grande perle color di giada che potevano trasformarsi da dolci come quelli di un cerbiatto ad aggressivi come quelli di un felino. Appena la regina fu salita a bordo, accompagnata e assistita da un vero e proprio esercito di servi e di ancelle, le vele si rigonfiarono e  le navi ripresero  il loro viaggio, un lungo viaggio che le avrebbe condotte a Tebe.

I bambini si erano sistemati in una posizione non comodissima, ma che gli avrebbe consentito di affrontare il percorso in maniera dignitosa. Purtroppo essi non avevano fatto bene i calcoli! I profumi che accompagnavano i vestiti  della principessa nel baule avevano un odore che faceva quasi il solletico al naso dei nostri amici, che nemmeno se si fossero messi d’accordo, insieme, nello stesso momento, esplosero in un rumorosissimo …” Etchiiii!!!!”

La regina ebbe un sussulto e in un attimo tutto l’equipaggio era alla ricerca della fonte di quel rumore … e non tardarono a trovarla!  Lo sguardo dei piccoli intrusi si incrociò  con quelli minacciosi e poco rassicuranti dei componenti del’equipaggio: rimasero così a studiarsi reciprocamente in un silenzio interminabile, rotto solo da una voce melodiosa come una musica: “Fermi, sono solo dei bambini,  che male possono fare?”  Era Nefertiti a parlare  e la sua voce era come ci si potrebbe immaginare la voce di una regina, con un tono sicuro e deciso, ma delicata come il canto di un usignolo. “venite qui, piccoli,- li invitò- non avete nulla da temere. “Perché siete a bordo della mia nave? Vi siete persi?”

Giacomo e Ahmed erano intimoriti dalla maestosa figura della regina, che con la sua grazia, li aveva salvati e protetti. “No, sua maestà, non ci siamo persi, “rispose prontamente giacomo, non sapendo con quale termine rivolgersi alla regina: sua altezza, sua maestà, regina, Nefertiti … “siamo saliti di nascosto, perché sapevamo che le navi avrebbero raggiunto Tebe e noi volevamo vedere questa splendida città” ammise Giacomo con sincerità.

Lo splendido volto di Nefertiti si illuminò in un sorriso raggiante e prima che il bambino potesse riprendere il suo discorso, lei sentenziò: “Questi due bambini sono miei ospiti ! Ordino che vengano trattati con tutti gli onori  e che si prepari per loro il letto degli ospiti e una cena degna dell’ospitalità così sacra al nostro popolo!”

Come tante formiche, la servitù rapidamente si disperse per accontentare la regina e Ahmed, Giacomo e Nefertiti rimasero da soli. E fu proprio lei a riprendere il discorso. “Mi è piaciuta la vostra sincerità, ragazzi, e ho deciso di premiarvi. Sarete miei ospiti anche a palazzo, una volta che saremo arrivati a Tebe. Akenaton, il Faraone, sarà felice e onorato di fare la vostra conoscenza. Adesso però andate a riposarvi, il viaggio sarà lungo e le navi dovranno affrontare  numerose anse lungo il percorso, ci vedremo per la cena.” Il tono era di quelli che non ammettono repliche e i due ospiti, accompagnati da un servo, si diressero verso la loro stanza.

Dovevano aver dormito molto quando all’improvviso sentirono bussare alla porta: erano due servi pronti ad aiutare i nostri piccoli amici a vestirsi adeguatamente alla cena alla quale avrebbero partecipato.

“E io dovrei andare in giro con  quel coso? NOOOOOOOOO”  urlò Giacomo preoccupato. In effetti i servi avevano in mano una sorta di gonnellino, lungo fino alle ginocchia, fatto tutto a pieghe. “Sarà bene che tu non faccia storie e indossi quello che ti propongono, “consigliò Ahmed, “ti ricordo che stiamo navigando sul Nilo e proprio nelle acque del Nilo abitano quei rettili affamati il cui nome inizia per c e finisce per o…  hai presente? Vuoi essere tu il pasto che soddisfa la loro fame? “

Ovviamente finire questa meravigliosa avventura nello stomaco di un coccodrillo non era certo quello che Giacomo voleva, così, pur sentendosi estremamente ridicolo e vergognandosi  da morire, indossò il prezioso gonnellino a pieghe, stessa cosa fece Ahmed. Un servo con l’aria molto gentile si preoccupò di pettinare loro i capelli, operazione non facile, visto che i capelli di Giacomo sono sempre molto ribelli a qualsiasi pettine e lui odia tantissimo farsi mettere il gel, ma, ricordandosi dei coccodrilli di prima, si fece impastare senza storie con un unguento dal profumo dolce, come di mele mature.

La regina li stava già aspettando, seduta a capotavola, vestita con un abito lungo fino ai piedi,  colore del cielo.  Portava una collana  azzurra e i suoi occhi  furono pieni di gioia alla vista dei suoi due ospiti.

Profumi e colori si fondevano nella stanza del banchetto; la tavola era imbandita con le prelibatezze più ricercate e gustose del mondo egizio, fatte preparare apposta per deliziare il pelato dei due piccoli amici.  Ai quattro angoli della tavola erano stati posti vassoi colmi di frutta matura, dal profumo invitante e in mezzo cesti pieni di pane e vassoi con carne. Dopo una giornata così ricca di avvenimenti e di avventure inaspettate, lo stomaco brontolava e Giacomo e Ahmed parteciparono con vivo entusiasmo alla cena, gradendo i cibi che la gentile regina aveva fatto preparare per loro.

Alla fine della cena la regina disse con tono quasi da mamma: “Adesso filate a letto, perché domattina vi voglio belli freschi: arriveremo a Tebe e vi porterò con me a visitarne le meraviglie. Sarà un gran giorno, avrete l’onore di conoscere il faraone in persona, ma ora andate!”

Dopo aver fatto un rispettoso inchino a Nefertiti, i due giovani si allontanarono con garbo e si ritirarono nella loro stanza. La notte era fresca sulle acque del fiume e il sole, da poco tramontato, aveva lasciato ancora un vivo ricordo del suo passaggio nel cielo, una scia di rosso fuoco, che fondendosi con il blu profondo della notte che stava per arrivare, formava dei riflessi  di luce viola, mentre piano piano, le stelle iniziavano ad accendersi. “Solo Amun  è capace di fare queste meraviglie!” spiegò Ahmed. “Chi è Atum, un pittore?” chiese incuriosito Giacomo.  Ahemd sorrise e spiegò: “Atum è il nome che il Dio Sole assume al tramonto. A seconda del momento del suo viaggio nel cielo prende un nome diverso, così è Khepri al mattino, Ra a mezzogiorno e Atum al tramonto”. Giacomo rimase affascinato da questa nuova curiosità e sia addormentò avendo ancora negli occhi la meravigliosa immagine dei riflessi viola nel cielo.

Sembravano passati pochi minuti quando Khepri, il sole del mattino fece visita con i suoi raggi nella stanza dei bambini, riscaldando il loro volto e bussando sui loro occhi ancora chiusi; in realtà di tempo ne era passato, tutta una notte piena di sogni.

Dopo che ebbero fatto colazione, incontrarono la regina che li attendeva nella sala del trono.  Se il giorno precedente l’avevano vista elegante e splendida, oggi non ebbero parole per descriverla: fu come una visione, una fata, una dea seduta nel suo trono, illuminata da un sorriso benevolo e radioso. Era felice Nefertiti, perché presto il viaggio si sarebbe concluso e finalmente, sarebbero tutti sbarcati  a Tebe. E furono tutti ancora più felici, quando il capo della flotta, il saggio Amenothep annunciò  che i nostri piccoli amici erano i benvenuti nella capitale del magnifico mondo egizio: Tebe.

Gli occhi di Ahmed e Giacomo non sapevano cosa guardare, tante erano le meraviglie della città:  un susseguirsi di maestose e solenni costruzioni che incutevano anche un po’ di timore e di imbarazzo, adagiate in un tappeto verde di vegetazione, di fronde e di alberi,  sotto il tetto di un cielo sempre puro, mai attraversato da nuvole. Ma lo stupore dei bambini non era destinato a finire. All’improvviso, di fronte a loro, videro apparire due statue, enormi, infinite quasi fino a toccare il cielo. Leggendo la meraviglia nei loro volti, Amenothep, con tono orgoglioso disse: “Sono stato io a progettare e a far costruire queste due statue; ho voluto che fossero grandi, le più grandi statue mai costruite,  perché raffigurano il mio signore, il Faraone e il suo ka: in mezzo troverete  la strada che vi porterà da lui.”

Tra le due enormi statue in pietra si apriva una strada, delimitata da alti sicomori frondosi; i due bambini la percorsero con il cuore che batteva per l’emozione, sapendo che alla fine di quel viale alberato avrebbero trovato la porta che li avrebbe condotti dal Faraone. Accompagnati dal fedele Amenothep, che li proteggeva con lo sguardo, camminando dietro di loro e seguiti da Nefertiti, Ahmed e Giacomo fecero il loro ingresso nel palazzo di  Amenopi.

Subito dei servi si prodigarono per offrire loro il meglio dell’ospitalità,rinfrescandoli con dell’acqua profumata da petali di rosa e facendoli accomodare  in delle alte poltrone, ricoperte con morbidi tessuti color porpora, bordati di rifiniture d’oro.  Amenothep e Nefertiti poterono entrare  nelle stanze dell’appartamento reale del Faraone, per annunciargli la visita dei due ospiti. I bambini aspettarono pazientemente, seduti composti  su quei troni e sentendosi veramente importanti, come dei capi di stato o dei diplomatici giunti in visita da un paese lontano, immaginando, ognuno nella sua mente, quale  avrebbero dovuto essere le parole più appropriate da pronunciare di fronte ad un Faraone.

Ma le sorprese in quella terra meravigliosa non erano destinate a finire! Una porta degli appartamenti reali, improvvisamente si aprì, e, ne comparve  una piccola mano, con delle dita lunghe e affusolate, ma molto magre; infine apparve un bimbo, molto piccolo per statura e gracile per costituzione: sembrava che quasi le sue gambe minute non reggessero il peso del suo corpo e si potessero rompere ad ogni passo.

Ahmed, rompendo ogni indugio, si presentò: “Ciao, io sono Ahmed e lui è Giacomo, il mio amico, stiamo aspettando di essere ricevuti dal Faraone, e tu?” Il piccolo bambino rispose con un sospiro: “Almeno per voi un po’ di tempo lo trova, io non riesco mai a vederlo, è sempre impegnato mio fratello e non ha mai un minuto per giocare con me.

Il mio nome è Tutankamon, il mio papà era Amenopi III e alla sua morte, mio fratello ha preso il suo posto. Prima  trascorrevamo molto tempo insieme, adesso.. ha sempre molto da fare, ma io lo capisco, l’Egitto è nelle sue mani!”

A sentire il nome del bambino, Giacomo sgranò gli occhi, che si spalancarono come grandi finestre per la meraviglia e se lo fece ripetere, per paura di aver capito male. Aveva capito benissimo, si trattava di Tutankamon: rimase incerto a lungo sull’opportunità di raccontare al piccolo il destino che lo avrebbe atteso, ma poi, vedendo la sua espressione già triste, decise che forse era meglio non raccontargli che sarebbe diventato faraone prestissimo, che sarebbe morto molto giovane e che in casa sua, nella parete della cucina c’era un ‘immagine della sua preziosa maschera funeraria, meglio lasciar perdere!

Un cigolio accompagnò il grande portone d’oro e bronzo che si apriva e, finalmente, Amenothep potè introdurre i due bambini al cospetto del Faraone.  Nelle loro idee essi immaginavano il faraone bello come un principe delle fiabe, alto, muscoloso, con i capelli biondi e lunghi: niente di tutto questo si presentò di fronte ai loro occhi!

Amenopi non era bellissimo, il suo volto era allungato e il mento molto pronunciato, quasi uno spigolo, ma aveva una particolare luce nello sguardo che usciva da quegli occhi a mandorla,  che catturava la simpatia e una splendida capacità di incantare con le parole. Seduta al suo fianco, lei, la regina Nefertiti, che, parlandogli all’orecchio, stava raccontando la storia di Ahmed e Giacomo.

Il Faraone sorrise, ascoltando il racconto della sposa reale,magari ripensando a qualche sua birichinata combinata da piccolo, poi, con un cenno della mano, invitò i piccoli ospiti ad avvicinarsi al suo trono. Erano costretti a tenere il viso rivolto  in su, tanto era alto il trono in cui egli era seduto. Alle sue spalle un luccichio abbagliante catturò gli occhi dei bambini: un disco d’oro campeggiava nella parete. Le sue dimensioni erano enormi, così come incredibilmente vivida era la luce che si sprigionava da esso. Nella parte bassa dell’immagine del sole erano disegnati otto raggi, ognuno dei quali terminava con una mano: le braccia di Aton che distribuiscono  amore, fortuna e prosperità ai suoi fedeli.

A Giacomo quelle braccia sembravano dei piccoli cucchiai, avrebbe voluto dirlo ad alta voce, ma, temendo la reazione dei padroni di casa e pensando sempre ai coccodrilli che nuotano silenziosi nel Nilo, preferì tacere.

Accortosi  dell’insistenza con cui i bambini osservavano il disco solare, Il Faraone spiegò che quel simbolo lo aveva inventato lui in persona, per compiacere il dio Aton.

A quel punto, Nefertiti, con la sua dolcezza, sussurrò al Faraone che ancora non aveva iniziato il suo discorso: “Sono dei ragazzi in gamba, di loro ci possiamo fidare,  a loro lo puoi dire!” E così, egli iniziò la sua spiegazione: “Sapete che il mio nome è Amenophi Iv, porto il nome che era appartenuto a mio padre Amenophi III e a tutti gli discendenti  maschi della mia famiglia. Voglio fare un regalo al dio Aton, voglio  cambiare il mio nome in Akenaton, ossia colui che è gradito ad Aton!” E nel mentre pronunciava queste parole, un raggio di sole abbagliante penetrò nella stanza, illuminando di una calda luce gialla il prezioso disco solare dietro al trono, come un soffice abbraccio pieno di calore, quasi come un ringraziamento per le parole appena pronunciate.

Giacomo conosceva bene la potenza del sole  e il legame speciale che lo legava al Faraone. Aveva letto la scorsa estate un libro  su Ramses II, nel quale si raccontava che, poiché il suo esercito con tutti i generali lo aveva abbandonato, egli, con l’aiuto del Dio sceso in lui, riuscì a sconfiggere il ferocissimo esercito degli Ittiti. Avrebbe voluto raccontarglielo Giacomo al Faraone, ma il timore di interrompere colui che era il padrone indiscusso di tutto quel regno fu troppo forte, così come lo era il ricorrente pensiero dei coccodrilli nel Nilo: perciò, anche in questo caso preferì tacere, anche perché non sarebbe stato così facile spiegare ad Akenaton chi era Ramses. Per il suo modo di essere leale e coraggioso, fedele e giusto, Ramses era il suo faraone preferito e magari, parlandone  con tutta l’ammirazione  che provava, avrebbe anche potuto far ingelosire Akenaton. E’ vero che Nefertiti aveva raccontato loro che suo marito odiava la violenza, ma meglio non provocarlo, non si sa mai!

Nefertiti esortò il marito a continuare a raccontare tutte le cose che custodiva nei suoi segreti: “Questa è solo una delle cose che Akenaton ha in mente, continua, ti prego, spiega loro la tua novità che hai intenzione di introdurre, che sarà destinata a cambiare le abitudini del nostro popolo”. Incoraggiato dal tono della moglie, il Farone spiegò quello che aveva in mente.

“Sapete ragazzi, anche siete giovani,  che in Egitto  il popolo è fedele a molti dei, che custodiscono, proteggono e hanno reso il cammino della nostra civiltà lungo e glorioso. Per certo avrete sentito almeno nominare Iside, Osiride, Anubi,  Maat. Secondo il mio modo di vedere, sarebbe molto meglio unire le forze per pregare un unico, solo Dio, che riceverebbe la forza di tutte le preghiere. Con tutta l’energia ricevuta, Aton splenderà sempre nel cielo nel cielo d’Egitto e ricambierà il nostro popolo con un caldo abbraccio.

Ahmed, che era egiziano e ben conosceva e pregava i numerosi dei, chiese: “Ma maestà, come crede che il popolo egizio  accoglierà la sua proposta?” Il Faraone sorrise di fronte alla domanda del piccolo suddito. “Hai ragione- rispose- non sarà facile, ma bisogna a vere sempre il coraggio di cambiare e di lottare per quello in cui si crede.” Giacomo non potè trattenersi, perché questo discorso gli piaceva proprio e con un tono di voce squillante, quasi urlando esclamò: “Sìììì, è vero! Se nessuno avesse mai avuto il coraggio di cambiare le cose, oggi noi saremo ancora degli australopitechi! Pensiamo a Galileo,  a Colombo, a Leonardo e alle loro grandi scoperte, agli scienziati che passano le loro vite a ricercare e anche se tutti li prendono per matti, loro vanno avanti  sulla strada delle loro convinzioni!”

Queste parole lasciarono attonito Akenaton, forse non si aspettava una reazione così piena di passione da parte di un bambino, o forse non riuscì nemmeno a capire il significato di tutte le parole, però rispose: “Devono essere in gamba questi tuoi amici di cui mi hai parlato, vorrei che lavorassero per me, qui a palazzo!” Fu un po’ complicato spiegare che essi non avrebbero accettato, non per cattiveria o per mancanza di volontà, semplicemente per diversità di tempi e di epoche.

Le parole pronunciate dal faraone giravano ancora nei pensieri di Giacomo, che ci  si riconosceva in pieno. Anche lui era capace di tirar fuori tutto il suo coraggio per difendere le cose in cui credeva. Come quella volta, sulla spiaggia, quando aveva visto il suo amico catturare dei pesci, metterli in un secchiello e abbandonarli al sole. Non ci aveva pensato due volte, aveva preso il secchiello e lo aveva rovesciato in mare, liberando i malcapitati animali e augurando all’amico che lo guardava esterrefatto che un giorno fosse arrivato un pesce grande, grandissimo che lo avesse rinchiuso in un piccolo spazio e gli avesse fatto provare la stessa sensazione  temuta dai pesci nel secchiello.

Quell’azione di Giacomo provocò un vortice di conseguenze: il bambino iniziò a piangere per un tempo interminabile, la sua nonna si arrabbiò con Giacomo perché il bimbo era inconsolabile: ma a Giacomo questo non importò granchè, era rimasto da solo, ma non per questo smise di difendere la sua posizione, anzì, continuò più accanito di prima a difendere la sua idea di libertà! Non volle raccontare nulla di tutto ciò, ma l’infinità dolcezza di Nefertiti riuscì a leggere negli occhi di Giacomo tutti i suoi pensieri e se ne compiacque.

Ahmed, pur temendo di irritare il Fraone, volle comunque porgergli una domanda che gli stava girando nella mente già dal primo incontro. Cercando di essere il più rispettoso ed educato possibile, scelse le parole più adatte e chiese: “Mio Signore e faraone, non vorrei sembrarti irriverente a porgerti una domanda di questo tipo, non vorrei essere impertinente a parlare di morte, ma so che ogni Faraone, in vita, pensa alla costruzione della sua casa eterna: tu, ci hai pensato?” E pronunciando queste parole, le sue guance arrossirono. Akenaton non sembrò imbarazzato da questa domanda, anzi si dimostrò felice di poter rispondere, per raccontare un’altra delle sue innovazioni.

“Mio buon amico, come ogni Signore d’Egitto ho certamente già pensato alla mia casa futura. Sarà grande, maestosa e imponente, come si conviene alla dimora eterna di un Faraone, ma la mia avrà comunque qualcosa che la renderà diversa da tutte le latre che sono state costruite. “Dimmi, mio piccolo amico, sai tu da che parte, ogni mattina. Sorge Aton?” Ahmed rispose con sicurezza: “A est, mio Signore” “Esatto!  La mia casa eterna sorgerà proprio lì, ad est del Nilo, perché ogni giorno, da est, il mio ricordo possa rinascere, così come fa Aton.” Si trattava certo di una bella novità, perché tutte le piramidi dei faraoni sorgevano sulla riva occidentale del Nilo. “Naturalmente anche Nefertiti sarà con me: la sua piramide sorgerà vicino alla mia, saremo uniti anche nell’ultimo, eterno viaggio nel nome di Aton” concluse il Faraone.

Akenaton aveva ormai aperto il suo cuore e volle rendere partecipi i piccoli ospiti degli altri suoi importanti progetti. Così, continuò a raccontare: “ Già da quando ero ancora un ragazzo e mio padre era il Faraone avevo in mente mille riforme e cose nuove da realizzare; quando ne parlai con lui, si arrabbiò così tanto che mi minacciò di cacciarmi dal regno se avessi osato un’altra volta formulare discorsi simili. Perciò continuai nei miei pensieri a cullare queste nuove idee, senza mai  rivelarle a nessuno.  Quando incontrai Nefertiti capii che di lei mi potevo fidare e che avrebbe potuto condividere la mia voglia di novità. Adesso che sono diventato Faraone, posso trasformare le mie idee in realtà per il mio popolo, anche se so che susciteranno non poco scalpore, ma niente è facile in questo modo!”

I due bambini ascoltavano le parole di Akenoton con meraviglia, come se stessero ascoltando una favola. Il Faraone continuò a raccontare, felice di poter condividere con qualcuno la sua voglia di novità. “Io sono un acerrimo difensore della pace e voglio che durante il mio regno nessuna violenza, di qualsiasi genere, attraversi il mio paese: non solo nei confronti degli esseri umani, ma verso tutti gli esseri viventi. Così vieterò  che vengano sacrificati animali in favore degli Dei duranti i rituali, perché, per l’idea che ho io della divinità, non credo che a loro faccia piacere spargere sangue in loro onore! Come può la violenza far piacere a qualcuno, far felici gli Dei?”

A questo punto Nefertiti continuò a raccontare, sostituendosi al marito: “I Sacerdoti, custodi dei templi si sono già scandalizzati per questo e hanno deciso di farci una lotta serrata, hanno paura di perdere il loro potere nella nostra società, si sentono tagliati fuori e temono di perdere i loro privilegi. Troppe volte si sono approfittati del loro ruolo per prendere in giro e sfruttare la povera gente e questo, al Faraone non piace e nemmeno a me!”

“Sapete- cominciò a raccontare- che qui in Egitto tutti gli uomini non sono uguali. Io sono il Faraone e sono considerato come un Dio, ma in realtà io sono una persona e vorrei essere apprezzato per quello che sono, commetto anche io degli errori come tutti gli esseri umani e non capisco perché, se sbaglio, nessuno debba correggermi! E’ vero che ho sulle spalle la responsabilità di un popolo, un popolo glorioso che non voglio deludere, ma so già  che le mie novità scateneranno tanta rabbia, soprattutto in chi si vedrà portare via dalle mani tutti i suoi privilegi.

Quante cose aveva in mente Akenaton per rinnovare il suo paese e lasciare un’impronta indelebile del suo passaggio nella storia del suo popolo. I pensieri che aveva custodito nella sua mente fin da quando era bambino e pensava al suo futuro, al giorno che si sarebbe seduto sul trono del padre, e adesso che quel giorno era arrivato,i suoi sogni si stavano per compiere. Ancora il Faraone non aveva svelato tutti i suoi progetti, aveva lasciato in ultimo quello che più gli stava a cuore.

Dopo una breve pausa di silenzio, riprese a parlare. “Sapete bene, miei buoni amici, che io sono devoto al Dio Aton, ho addirittura cambiato il mio nome in suo onore e ho anche chiesto a Nefertiti di scrivere una preghiera, un inno per lui. Vorrei fare molto di più per rendergli grazie, per celebrare la sua grandezza, così, con l’aiuto di Amenotep, costruirò a Karnak un tempio, il più bello e maestoso che l’Egitto abbia mai visto. Sarà costruito con dei grossi mattoni in pietra, che noi qui chiamiamo thalathat, perché il lavoro sia veloce e gli operai sentano meno fatica.”

“Fra pochi giorni, durante la cerimonia dell’Enunciazione, comunicherò questa notizia a tutto il popolo e proclamerò che Aton sarà l’unico Dio, l’unico che potrà donare la pace al nostro popolo, l’unico in grado di tenerci uniti.Aton è il mio unico padrone, il mio Signore e io voglio  onorarlo costruendo una nuova capitale per il mio regno, si chiamerà Aketaton!”

Gli occhi di Akenaton si illuminavano di luce parlando, di quella stessa luce con cui il Sole, poco prima, aveva irraggiato la stanza. L’inconto con Akenaton stava per concludersi, era stato per i due bambini emozionante come un sogno poter parlare con lui, ascoltare i suoi progetti e le sue idee di novità. Anche il faraone, dall’alto del suo trono, aveva gradito la compagnia di Ahmed e Giacomo, tanto chè, perché si ricordassero di quel momento, donò a ciascuno di loro un amuleto a forma di scarabeo, l’animale simbolo di Aton.

A questo punto, i due bambini, secondo le regole del cerimoniale, chiesero il permesso di potersi congedare. Il Faraone si alzò dal suo trono, ne scese e salutò i due bambini, baciandoli sulla guancia, come se fossero stati dei capi di stato o degli ambasciatori, pregando per loro i favori di Aton. Quindi, invitandoli a ritornare disse: “Ogni qual volta vogliate, le porte del mio regno e quelle del mio palazzo saranno aperte per voi.” Anche Giacomo avrebbe voluto ricambiare l’invito, ma si trattenne dal pronunciare qualsiasi parola, il motivo lo capite da soli!

Ripercorsero con Amenotep il viale alberato fino a quando si trovarono sotto l’ombra delle enormi statue, che al loro arrivo li avevano accolti. Amenotep si congedò da loro, augurandogli pace, fortuna e prosperità. I due bambini si commossero di fronte a quell’anziano personaggio, dal viso buono e dallo sguardo rassicurante, che sembrava avere in tasca la soluzione a qualsiasi problema. “sei un po’ come Leonardo da Vinci, sai fare mille cose, sei medico, architetto, inventore… “disse Giacomo.

“Non conosco questo Leonardo, ma a quanto sembra, deve essere un tipo davvero in gamba! Presentamelo quando ritornerai, ne sarò lieto!”

Ahmed e Giacomo si incamminarono verso il porto, dove il faraone aveva messo a disposizione la sua nave, la splendida “Aton illumina” per ricondurli a nord. Camminavano in silenzio, quasi vergognandosi di ammettere che entrambi erano dispiaciuti che il loro viaggio stesse per terminare. Giacomo tirò fuori dalla tasca l’amuleto che poco prima Akenaton gli aveva donato, lo mise sul palmo della mano aperta per osservarlo, lo accarezzò con un dito… quand’ecco, all’improvviso un vento impetuoso e violento iniziò a sollevare polvere, intrappolando i due bambini dentro un vortice di aria e di sabbia. Una forza inarrestabile spinse Giacomo, che non riusciva nemmeno più a respirare; gli sembrò di vivere una sensazione già provata, ma questa volta la forza lo sospingeva, lo trascinava verso l’alto:stava alzandosi verso un tunnel buio e freddo. Quando un dolce tepore iniziò ad accarezzarlo, capì che stava per riaffiorare sulla terra, il tempo di riaprire gli occhi e di vedere la buca così come la aveva lasciata,  con intorno i suoi attrezzi sotto al grande ciliegio. Tutto era immobile, tutto era rimasto intatto, come se nulla fosse accaduto, come se il viaggio non fosse mai esistito. Non aveva neanche avuto il tempo di salutare Ahmed, di ringraziarlo per la sua amicizia. Si affacciò per guardare dentro alla voragine, ma il buio nascondeva ogni cosa. Aprì il palmo della mano e si accorse di aver perso lo scarabeo ; gli sembrò di sentire una voce lontana, come un ‘eco “Conserverò io il tuo scarabeo, te lo ridarò quando tornerai a trovarmi!”. Giacomo non ebbe mai la certezza di aver sentito veramente quella voce. Sentì invece il nonno che lo chiamava perché era l’ora di tornare a casa. Giacomo lo seguì senza raccontare nulla, intuendo che non si era minimamente accorto della sua mancanza.

“Papà, papà … una cosa straordinaria mi è successa oggi!!!! Sono scivolato dentro una buca  nel giardino e mi sono ritrovato nell’Antico Egitto!!!” Ho conosciuto Nefertiti e ho parlato con il Faraone…”  “Oh Giacomo, tu leggi troppe storie! Ma dove ti fa volare la tua fantasia?”

La storia che hai appena letto è un po’ frutto della fantasia di chi l’ha scritta e un po’ verità. Alcuni personaggi ed eventi sono accaduti veramente, altri sono stati modificati per rendere piacevole la narrazione. Sarai adesso curioso di sapere come sono andate le cose in Egitto.

Purtroppo i desideri di Akenaton si sono persi nel nulla. Un atroce  e tremenda malattia si è impossessata del suo cervello, tanto da renderlo incapace di governare e sciocco nelle scelte. Decise che il suo “bastone della vecchiaia”, ossia il suo successore dovesse essere un personaggio squallido e violento, che avrebbe sicuramente distrutto l’Egitto se Nefertiti e Amenothep  non avessero combattuto a lungo per difender la loro gloriosa civiltà. Alla morte di Akenaton, avvenuta dopo 14 anni di regno, fu nominato Faraone Tutankamon,  che sposò anche sua figlia. La capitale fu riportata a Tebe e furono ripristinate tutte le regole che esistevano prima dell’avvento di Akenaton.

E Nefertiti?  E’ rimasta nella sua città, Aketaton, dove il miglior  artista   della città scolpisce suoi busti e ritratti, perché la figura di questa incantevole donna e splendida Regina rimanga indelebile nel corso della storia.



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