Il corvo, la gazzella, la testuggine e il topo
Fiaba pubblicata da: Redazione
(Alla signora de La Sablière)
Bello io volevo un Tempio a voi, Signora, in queste
mie carte dedicare,
un Tempio su quell’arte divina fabbricare
che vince il tempo, al vostro bel nome assicurato.
Avrei scritto sull’arco: “Palazzo dedicato
ad Iride celeste”.
Iride, non già quella
ch’è di Giunone ancella:
Giove e Giunone a questa saranno, sto per dire,
superbi di servire.
Avrei fatto nel mezzo tra raggi luminosi,
e tra gli dèi d’Olimpo, la vostra Apoteosi.
Dipinti andrìan dei fasti di vostra vita i muri,
segni non già d’oscuri e cupi avvenimenti
ai popoli presenti.
Ma in fondo al Tempio immagino nei dolci tratti il viso,
il guardo, il bel sorriso,
e quella che innamora
bell’arte di piacere che pur se stessa ignora.
A questo altar verrebbero, al solo cenno mio,
mortali, grandi eroi,
ed anche forse un dio.
Sì, ciò che il mondo adora
s’inchinerebbe a voi.
Il Topo, la Testuggine, il Corvo, la Gazzella
vivean insiem d’accordo in bella compagnia.
Un certo angolo oscuro asilo a lor offria
lontano dagli sguardi dell’uomo esploratore;
ma fruga l’uomo in fondo
del ciel, del mar, del mondo,
e nulla sfugge all’occhio indagatore.
Gazzella in bocca a un cane (strumento maledetto
che serve al gran diletto dell’uomo cacciatore)
un dì quasi cadea,
ma così ben fuggì che la sua traccia
perdette il can da caccia.
All’ora della cena disse agli amici il Topo:
– Gazzella ci dimentica, dov’è?
Noi siam soltanto tre.
– O Corvo, avessi l’ali, – soggiunse la Testuggine, –
e subito vorrei
volar, cercar di lei,
se mai cattiva stella
(il cor è un triste astrologo)
nuoce alla bestia dalla gamba snella -.
Il Corvo apre le penne e vola come il vento
e giunge in quel momento
che proprio la Gazzella poveretta
invano dibattevasi in una rete stretta.
Ai suoi compagni subito rivola
il Corvo e in vane chiacchiere
non perde il tempo, in come, in quando, in quamquam,
come farebbe un professor di scuola.
Ma tien tosto consiglio, e in esso vien trattato
che i due che son più lesti
si rechino sul luogo che fu da lui segnato,
e l’altra a casa resti
a custodir la porta. Testuggine è sì lunga
a camminar che ha tempo di morire
la poverina, innanzi ch’ella giunga.
E vanno il Corvo e il Topo là dove la compagna
Capretta di montagna sen giace prigioniera.
Invece d’obbedire
sen volle anche la stupida Testuggine partire
e muove alla sua povera maniera,
colla sua gamba corta
e con quel guscio che sul gobbo porta.
Va Rodicordicelle (il nome è di diritto)
i lacci a rosicchiare della gabbia.
Addio, Gazzella! Quando il cacciator rediva,
il Topo scompariva in una macchia,
il Corvo sopra un albero fuggiva,
Gazzella iva in un bosco ov’è più fitto…
e il cacciator disfoga la sua rabbia
sulla lenta Testuggine che arriva.
– Tu pagherai per tutti, – gridò quell’uomo a modo, –
e della magra zuppa farai squisito il brodo -.
Ciò detto, in un suo sacco la ripone.
Ma il Corvo che sull’albero faceva da spione,
vola nel bosco in fretta
e chiama la Capretta
che uscì per un istante,
e fingendosi un poco zoppicante,
attrasse l’uomo a sé,
che per meglio inseguirla, in terra getta
il sacco e quel che c’è.
Rode la cordicella ancora e disviluppa
il Topo il sacco, e libera la sua minor sorella,
e lungo restò il brodo della zuppa.