La polvere d’oro dei sogni

Fiaba pubblicata da: Lauretta

Carolina non amava gli altri bambini, non amava gli animali, non amava neanche le favole.

Carolina aveva sette anni ed era molto carina; con i suoi occhioni azzurri e i lunghi capelli biondi, sembrava proprio una principessina delle fiabe. E fino a poco tempo prima era deliziosamente socievole, era divertente e andava matta per i gatti. Ma ormai da qualche tempo era sempre di cattivo umore e, a lungo andare, i compagni e le compagne di scuola avevano cominciato ad allontanarla.

Una delle su compagne, Letizia, che non voleva rinunciare alla sua amicizia, le diceva sempre: “Sembri la vecchia Clotilde, quella bisbetica che vive da sola laggiù, dopo la piazza! Se non cambi, diventerai come lei, finirai per invecchiare da sola, senza neanche un gattino vicino!”

Carolina ogni volta che sentiva queste parole rispondeva: ” E allora? Io voglio stare sola, sto bene così. Ma che volete da me?”.

Così, mentre gli altri bambini della sua età giocavano insieme dondolando sulle altalene, rincorrendosi nel prato del grande parco del paese o raccontandosi storie, lei passava il tempo libero a fare nulla, perché non aveva interesse per nulla.

Un giorno, spinta dalla curiosità, chiese a sua nonna Gina se conoscesse la vecchia Clotilde. La nonna la guardò, pensierosa, le fece una carezza e poi le disse: “Ti racconterò di Clotilde, se prima leggeremo insieme una fiaba”.

“Non mi piacciono le fiabe!”

“Allora la storia di Clotilde fattela raccontare da qualcun altro”. E la nonna tornò a rimestare la marmellata di fragole nel pentolone sul fuoco.

A scuola Carolina provò a chiedere qualche informazione sulla spaventosa Clotilde, ma nessun bambino sembrava disposto a parlarle. Ormai l’avevano esclusa dalle loro amicizie e non volevano più avere niente a che fare con lei.

Letizia però le si avvicinò e cominciò a raccontare: “Non so molte cose, però so che Clotilde non è sempre stata così. Mia nonna mi racconta che quando erano piccole, Clotilde era una bambina come le altre, carina, un po’ timida e sempre pronta a giocare. Aveva anche un uccellino in gabbia, era un bellissimo canarino, giallo come il sole. Nonno mi ha raccontato che un giorno l’uccellino sparì e da quel momento Clotilde cambiò. Forse per il dolore di aver perso quell’animaletto, non si sa, ma da allora diventò forastica e si isolò dagli altri. Mio nonno dice che diventò arida come il deserto, dove non cresce nulla, hai capito?”. Letizia prese fiato e poi, armandosi di coraggio chiese a Carolina: “Non è che anche tu hai perso un canarino?”.

Carolina si mise a ridere, erano secoli che non rideva! e assicurò all’altra bambina di non aver mai avuto animali: lei li odiava.

Letizia invece pensava che se Carolina era così scontrosa qualcosa doveva aver perso, sennò sarebbe stata felice, no?

Finalmente una mattina d’estate, mentre andava a fare spese con la mamma, Carolina passò vicino alla casa della vecchia Clotilde. Non era mai stata da quelle parti e restò di stucco nel vedere un palazzo così grande e signorile tutto scrostato e danneggiato. Le persiane delle finestre erano storte e da alcune le piante avevano aperto una breccia ed erano entrate in casa. Carolina avrebbe voluto vedere la vecchia signora e allungò il collo diverse volte, ma il luogo sembrava disabitato.

Era arrivato ormai il mese di ottobre, quando la nonna chiese a Carolina se volesse accompagnarla a cogliere castagne al bosco. “Se vieni con me, ti divertirai un mondo tra i ricci pungenti, i ciclamini e gli uccellini che cinguettano. La natura è così bella…vedrai quanto sono grandi e possenti i castagni, sentirai l’odore del bosco, vedrai colori che neanche immagini…”

Carolina sentì un prurito, qualcosa di fastidioso e rispose: Mi sa che sono allergica, non posso venire con te”.

“Oh, che peccato” sospirò la nonna, “Allora non andrò perché da sola non ce la faccio e poi non ci vedo più molto bene, sai…vorrà dire che se non andremo a cogliere castagne non potrò prepararti le caldarroste che ti piacciono tanto. Pazienza”.

Carolina aveva un debole per le caldarroste, ci rimuginò un po’ sopra e alla fine disse: “Va bene, dai, ti accompagno”.

Si incamminarono piano piano, nonna Gina sorridente e luminosa, Carolina imbronciata e cupa.

Per arrivare al sentiero per il bosco, si passava vicino alla casa di Clotilde e proprio lì davanti, nonna Gina si fermò. Carolina la guardò massaggiarsi una caviglia, con l’aria sofferente.

“Che ti succede?”

“Oh cara nipotina, forse ho preso una storta, avrei bisogno di sedermi un attimo, ma qui non ci sono panchine…”

“E come facciamo adesso?” chiese la bambina, un po’ arrabbiata per quell’inconveniente e un po’ ansiosa per la salute della nonna.

“Proviamo a bussare lì, da Clotilde. Magari ci fa entrare e posso riposare un po’.”

“Lì!?” chiese sbalordita Carolina.

“Certo, lì. Cos’è, hai paura? Clotilde è una anziana signora come me, sai, andavamo a scuola insieme, abbiamo la stessa età. Dai, vai alla porta e suona il campanello”.

Carolina titubò, ci pensò e ci ripensò, si avvicinò e tornò indietro, finché non sentì la nonna lamentarsi ancora per il dolore: a quel punto si convinse e suonò il campanello.

“Che vuoi?” le chiese scortese la donna che aprì la porta, fissandola in malo modo.

Carolina la guardò a sua volta e le tornarono in mente le parole di Letizia “…diventerai come lei…arida come il deserto…” e, presa dal panico, scappò verso sua nonna.

“Clotilde, cara!” cinguettò Gina sorridendo, “Non vorresti farci entrare un poco in casa tua? Devo essermi slogata una caviglia, sai l’età…”.

Clotilde rispose qualcosa come “ambrrrumpft…” che Carolina non comprese e che nonna Gina invece interpretò come un sì, infilandosi dentro la porta prima ancora che la vecchia ombrosa riuscisse a chiuderla.

“Sei veloce per essere una che si è slogata la caviglia!” gridò Clotilde, molto nervosa.

Gina non la ascoltò nemmeno e si accomodò pesantemente su un divano di velluto marrone, scomodissimo, usurato dal tempo e anche dall’odore sgradevole. Carolina si strinse a lei, impaurita.

“Cosa vuoi Gina? Non è la prima volta che mi fai queste sorprese. Ogni tanto ti avventuri fino qui, dove non viene mai nessuno e ogni volta mi infastidisci, con tutti quei discorsi stupidi che fai. Vedo che stavolta non sei venuta sola…”. disse la burbera padrona di casa.

Carolina era stupita: come, sua nonna andava a trovare la vecchia bisbetica? Quando? E perché?

Gina, composta e serena le rispose:” Lo sai che tornerò anche altre mille volte ancora, finché ce la farò. Non ti ho mai abbandonata e la vecchiaia non mi fermerà. Ora ascoltami bene: tu hai deciso di non combattere contro il tuo caratteraccio, bè, fai quello che vuoi, sei vecchia ormai, ma io ho un problema serio ed è la mia adorata nipotina”.

Carolina spalancò gli occhi fissando prima la nonna e poi Clotilde. Ma che succedeva? Quelle due non solo si conoscevano bene, ma ora si mettevano a parlare di lei? Si sedette su quel brutto divano, accanto alla nonna e le prese la mano per sentirsi più al sicuro.

“Vedi cara Clotilde, lei è mia nipote Carolina. Un tempo era una bambina adorabile, come te da piccola, del resto. Ma anche a lei è successo qualcosa, proprio come accade qui, a te, tanti e tanti anni fa. E non siete le uniche! Accade spesso, in ogni parte del mondo, purtroppo.”

“Ma cosa? Cosa, nonna?” sbottò la bambina che non capiva. Sua nonna stava dicendo che davvero, come suggeriva Letizia, lei e la vecchia erano uguali?

“Nonna, ma che dici?”

Gina continuò, come se la nipote non avesse parlato: “Tu, Clotilde, avevi un canarino… e tanti sogni, tanti… tu Carolina, avevi un gattino e tanti sogni…”

Fu interrotta dalle voci della vecchia Clotilde e della piccola Carolina, che strillavano, insieme e si sovrapponevano. Non ci si capiva più nulla.

“Gatto? Io non ho mai avuto un gatto. Io odio i gatti!!!”

“Canarino? Ancora continui con questa leggenda? Io non ho mai avuto un canarino! Io odio i canarini!!!”

Clotilde e Carolina si guardarono, capirono che si stavano comportando allo stesso modo e si azzittirono all’istante.

Gina si alzò, si schiarì la voce e parlò: “Voi due, tutte e due, eravate innamorate della vita, adoravate i cuccioli, ridevate, sognavate. Come tutti i bambini del mondo. E avevate una meravigliosa fantasia che vi faceva immaginare mondi fatati, sconosciuti, draghi, maghi e fate. Poi, un incidente vi ha cambiato la vita. Tu, Clotilde hai perso la cosa a cui più tenevi, il tuo canarino giallo come il sole, ti si posava sulle dita, ricordi? E’ stato un brutto colpo e da quel momento hai smesso di sognare, come difesa. Perché avevi paura che sognando, volando con la fantasia e con i desideri avresti provato magari un altro dolore. E hai voluto dimenticare tutto. Ti sei chiusa in te, rifiutando i sogni. Ma chi smette di sognare, smette di credere e smette di vivere…

L’ombrosa Clotilde per una volta non rispose subito e si grattò furiosamente una mano. Guardò la bambina che se ne stava lì seduta, con il capo chino e rivede per un momento se stessa, molti molti anni prima. Carolina, dal canto suo, non sapeva casa pensare. Forse sua nonna era impazzita, però provava una strana sensazione, ancora quel prurito fastidioso…

Nonna Gina continuò: “E tu, piccola cara Carolina, anche tu avevi sogni, speranze, leggevi fiabe e le inventavi e avevi un gattino, Gigì, lo ricordi? Un cucciolo rosso e peloso. Quanto lo hai amato. Purtroppo un anno fa il cucciolo si è smarrito…non siamo riusciti a ritrovarlo. E anche tu hai smesso di sognare, di ridere, di fantasticare”.

Poi Gina si spostò, entrò nella grande cucina della casa, sbirciò tra tutto il pentolame nella credenza finché non trovò un bollitore. Lo riempì d’acqua e lo mise sul fuoco. Trovò faticosamente tre tazze in una vetrina polverosa, le lavò con cura, le asciugò e poi mise in ognuna una bustina di tè che tirò fuori dalla sua borsa. Clotilde e Carolina non parlavano, la guardavano trafficare, silenziose.

Quando il tè fu pronto, nonna Gina ne porse una tazza ad ognuna, ne prese una per lei e si accomodò di nuovo.

“I sogni son desideri… diceva Cenerentola. Ma voi avete dimenticato le favole. I sogni vanno alimentati perché si avverino. E se qualcosa non va per il verso giusto, bè, non dobbiamo abbatterci, ma sognare ancora, anzi, di più. Quante volte sono venuta fin qui a dirti queste cose, cara Clotilde? Eravamo così giovani e così amiche! Ritrova la polvere d’oro dei tuoi sogni, cara…”

Carolina si scosse e chiese: “La polvere d’oro, nonna? Cos’è la polvere d’oro dei sogni?”

Allora la bisbetica Clotilde posò la sua tazza di tè ormai vuota e guardò la bambina: “Sì, è vero. Io avevo un gran sacco pieno di polvere d’oro dei sogni, ma l’ho gettato via, questo lo ricordo. Sinceramente, mi dispiacerebbe se anche tu buttassi via tutta la tua polvere dei sogni, ragazzina”.

“Allora, nonna, di che cosa state parlando?” chiese di nuovo la bambina che non ci capiva più niente.

“Tutti nasciamo con la polvere d’oro dei sogni, tesoro. Ci viene data alla nascita, ognuno ne ha una buona quantità, nascosta da qualche parte. C’è chi la usa, chi non vuole usarla e, addirittura, c’è anche chi vuole rubarla agli altri, per non farli sognare”.

“E dove la teniamo?”

“Dipende, qualcuno ce l’ha qui” le rispose indicandole la testa, “Qualcun altro la tiene qui, nel cuore. Dovunque sia, è a portata di mano. Te ne accorgi quando ce l’hai: senti un po’ di prurito; sai è d’oro, ma è pur sempre polvere!”.

E poi… accadde tutto in fretta: la bambina cominciò a grattarsi la testa e poi le braccia, mentre Clotilde non riusciva a placare un gran prurito alle gambe. Nonna Gina cominciò a ridere e tutte e tre si ritrovarono a sghignazzare come pazze, tanto che alla fine una tazza cadde dal tavolino e andò in mille pezzi. E loro ricominciarono a ridere.

Un mese dopo, mentre Carolina giocava con un cucciolo di gatto così bianco e morbido da sembrare un batuffolo di ovatta, qualcuno suonò alla porta. L’anziana signora che entrò non sembrava Clotilde, ma le somigliava tantissimo! La faccia era sorridente e serena e tra le braccia teneva un cucciolo di beagle, tenerissimo. Era proprio lei, era la bisbetica Clotilde, con le tasche piene di polvere di sogni.

Quando Carolina si presentò a scuola accompagnata dalla signora Gina e dalla signora Clotilde, i bambini ammutolirono e arretrarono tutti di un passo, un po’ spaventati. Poi le insegnanti invitarono le due anziane a prendere posto alla cattedra, mentre la bambina si sistemava nel banco accanto a Letizia.

“Oggi vi racconteremo una storia…” disse Gina e Clotilde cominciò a narrare. Quando finì il lungo racconto, un bambino chiese: “Ma allora la polvere d’oro dei sogni non finisce mai?”

“Mai” risposero in coro Clotilde e Gina, “Non finisce mai, cercatela e la troverete sempre lì, nella vostra fantasia”.



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