sapia

La sapia

Fiaba pubblicata da: Anna Valentina Farina

TRATTENIMENTO SESTO della Giornata Quinta.

Sapia, figlia di una gran Baronessa, fa diventare uomo accorto Cenzullo[1], il figlio del Re che non poteva intendere lettere. Egli, a causa di un buffettone[2] datogli da Sapia, volendosi vendicare se la pigliò per moglie e dopo mille strazi, avutine senza sapere come tre figli, si riconcilia con lei.

Fecero festa grande il Signor Principe e la Principessa quando videro arrivate a buon fine le vicende di Cecchetella, che non credevano che dentro tanta burrasca trovasse quel porto; e dato ordine a Ciulla di sfoderare il racconto suo, lei vi mise mano.

Tre sono i tipi di ignoranti al mondo che meriterebbero l’uno più dell’altro essere messi in un forno: il primo che non sa, il secondo che non vuole sapere, il terzo che pretende di sapere. Del secondo tipo è l’ignorante del quale vi voglio parlare, il quale, non volendo farsi entrare nella coccia il sapere, odia chi glielo insegna e, come un nuovo Nerone, cerca di levargli la via del pane.

C’era una volta il Re di Castello Chiuso che aveva un figlio così capatosta[3] che non c’era rimedio per fargli tenere in mente l’ABCD, e sempre che gli si parlasse di leggere e di imparare, faceva cose di fuoco e non giovavano né strilli né mazziate[4] né minacce; per questo il disgraziato padre se ne stava gonfio come un rospo e non sapeva che partito prendere per svegliare l’ingegno di questo figlio sciagurato e non lasciare il Regno in mano ai mammalucchi[5], sapendo essere impossibile far legare l’ignoranza con il buon governo di un Regno.

In quel medesimo tempo c’era una figlia della Baronessa Cenza[6] che, per il tanto sapere al quale era giunta, a tredici anni si era guadagnata il nome di Sapia e molte virtuose qualità. Ciò fu detto al Re, che fece pensiero di affidare il figlio alla Baronessa affinché lo facesse istruire dalla figlia, pensando che la compagnia e la competenza della figliola avrebbero portato beneficio.

Sistemato dunque il Principe a casa della Baronessa, cominciò Sapia ad insegnargli la santa croce[7]; ma vedendo che lui le belle parole se le seminava alle spalle, e che le buone ragioni da un orecchio gli entravano e dall’altro gli uscivano, le scappò la mano e gli diede un buffettone.

Di questo fatto ebbe tanta vergogna Carluccio, così si chiamava il Principe, che quello che non aveva fatto per le carezzine e le coccole lo fece per la vergogna e il dispetto, tanto che in pochi mesi non solo seppe leggere, ma andò tanto oltre con la grammatica che fece sue tutte le regole. Della qual cosa ebbe tanto giubilo il Padre che non toccava terra con i piedi e, levato Carluccio da quella casa, gli fece studiare le atre cose più grandi, sicché diventò il più sapiente di quel Regno.

Ma fu tanta l’impressione per il colpo ricevuto da Sapia che vegliando lo aveva sempre davanti agli occhi e dormendo se lo sognava: così pensò di morire o di vendicarsi.

Venne intanto il tempo per Sapia dell’età da marito e il Principe, che aspettava con la miccia alla serpentina[8] l’occasione per le sue vendette, disse al Padre:

«Signore mio, io confesso di avere ricevuto l’essere da voi, e perciò vi sono obbligato fin sopra all’astraco[9]. Ma a Sapia, che mi ha dato il sapere, mi riconosco altrettanto obbligato, e perciò, non trovando altra maniera bastevole a pagarle tanto debito, se vi piace la vorrei per moglie, e vi assicuro che così mettereste una quota sulla persona mia».

Il Re, che intese questa deliberazione del figlio, gli rispose:

«Figlio mio, sebbene Sapia non sia della caratura che ci vorrebbe per diventare tua moglie, pure la sua virtù, messa sulla bilancia col sangue nostro, la fa scendere tanto che questo matrimonio si può fare. Perciò tu contento, io pagato!».

E fatta chiamare la Baronessa fece fare subito i capitoli[10], e fatte le feste convenienti ad un gran Signore, chiese per grazia al Re un appartamento separato dove potere stare con la moglie.

Il Re, per accontentarlo, gli fece apparecchiare un Palazzo bellissimo separato dal suo, dove, portataci Sapia, la rinchiuse in una camera, dandole male da mangiare e peggio da bere, e cot peio[11], senza volerle pagare il debito, tanto che la misera si vide ridotta come la femmina più disperata del mondo: non sapeva la causa di questo maltrattamento inflittole da quando era entrata in casa.

Ma essendo al Signore venuta voglia di vedere Sapia, entrò nella sua camera e le chiese come stava.

«Mettiti la mano sullo stomaco» rispose Sapia «e vedrai come posso stare: eppure non ti ho fatto alcuna cosa per cui mi devi trattare in questa maniera, come un cane. A qual fine chiedermi in moglie, se volevi tenermi peggio di una schiava?». A queste parole rispose il Principe:

«Non sai tu che chi fa l’offesa la scrive nella polvere e chi la riceve la scrive nel marmo? Ricordati bene che cosa mi facesti, quando mi insegnavi a leggere, e sappi che non per altro ti ho voluta in moglie che per fare salsa della vita tua e vendicarmi dell’ingiuria subita!».

«Dunque» replicò Sapia «raccolgo male per avere seminato bene! Se ti diedi quel buffettone, lo feci perché eri un asino e per farti diventare sapiente: tu sai che chi ti vuol bene ti fa piangere e chi ti vuol male ti fa ridere».

Il Principe, se prima era arrabbiato per il buffettone, mo’ avvampò a vedersi rinfacciata l’ignoranza sua, tanto più che, mentre pensava che Sapia dovesse incolparsi dell’errore, vide che, ardita come un gallo, gli rispondeva testa a testa. E perciò, voltatele le spalle, se ne andò, lasciandola peggio di come già stava. Ma tornato dopo alcuni giorni e trovatala con lo stesso atteggiamento, se ne partì più risentito di prima, ben deciso a farla cuocere nell’acqua sua come il polpo e a castigarla con la mazza di bambagia.

Nel frattempo il Re fece cessione dei beni della sua vita sopra la colonna di un cataletto e, rimasto lui padrone e signore di tutti quegli stati, volle andare a prenderne possesso di persona. Messe in ordine cavalcate di gente d’armi e di cavalieri degni della persona sua, con quelle si mise in viaggio. La Baronessa, saputo della vita stentata della figlia, per rimediare prudentemente a questo disordine, aveva fatto scavare un passaggio sotto il palazzo del Principe, da dove soccorreva con qualche ristoro la povera Sapia

Venuta pochi giorni prima della partenza del nuovo Re, fece preparare carrozze e livree sfarzose e, vestita la figlia per bene, con una compagnia di Signore la fece avviare per una scorciatoia, sicché si trovò un giorno prima dove doveva fermarsi il marito. Presa una casa di fronte al Palazzo preparato per il Re, si mise tutta agghindata alla finestra. Arrivato il Re e visto il fiore della pignatta delle Grazie, subito se ne incapricciò, e tanto rivoltò che l’ebbe nelle sue mani. E lasciatala le diede un bel gioiello in ricordo dell’amore suo.

Essendosene partito il Re per girare le altre città del Regno, lei se la svignò alla volta di casa sua, e dopo nove mesi partorì un bel figlio maschio. Ma tornato il Re nella capitale del suo Regno, tornò a vedere Sapia credendo di trovarla morta, ma la vide più fresca che mai e più che mai ostinata nel dirgli che solo per renderlo sapiente quando era un asino gli aveva stampato le sue cinque dita in faccia.

Il Re, sdegnato, partì, e dovendo andare fuori per un’altra visita, Sapia, con il consiglio della madre, fece lo stesso che aveva fatto la prima volta. E incontrato il marito, ne ottenne un ricco gioiello da portare sulla testa e rimase incinta di un altro figlio maschio, che, tornata a casa, quando fu maturo il tempo, partorì.

E successale la terza volta questa cosa, le fu data dal Re una grossa catena d’oro e di pietre preziose e la lasciò gravida di una figlia femmina, la quale venne alla luce a tempo debito.

E venuto il Re da fuori, trovò che la Baronessa, dato l’oppio alla figlia, aveva diffuso la voce che era morta e, fattala seppellire, scaltramente l’aveva fatta uscire dalla fossa e nascondere in una casa.

Per la qual cosa, il Re, con festa grande, contrattò un altro matrimonio con una gran dama e, portatala al palazzo reale, mentre si facevano festeggiamenti da sbalordire, comparve nella sala Sapia con i tre figli, che erano tre gioie, e gettatasi ai piedi del Re chiese giustizia, affinché non togliesse il regno a quei fanciulli, che erano il suo sangue.

Il Re per un pezzo rimase come un uomo che stava sognando; infine, vedendo che il sapere di Sapia arrivava alle Stelle, e visti presentarsi, quando meno se lo aspettava, tre puntelli alla sua vecchiaia, gli s’intenerì il cuore e, data quella dama in moglie al fratello con un grosso Stato, si prese Sapia, facendo apprendere alla gente del mondo:

Che il sapiente domina le Stelle!



[1] Diminutivo di Vincenzo. Per una svista dell’autore, nel corso del racconto, diventerà Carluccio.

[2] Schiaffo.

[3] Testardo.

[4] Percosse.

[5] I Mammalucchi o Mamelucchi erano soldati mercenari. Già al tempo di Basile il termine aveva assunto, nel linguaggio familiare, il significato di sciocco, babbeo.

[6] Diminutivo di Vincenza.

[7] Il segno della croce.

[8] La serpentina era uno dei pezzi d’artiglieria. Stare con la miccia alla serpentina significa tenersi pronti a fare qualcosa.

[9] Tetto a terrazza realizzato con un battuto di lapilli e calcina.

[10] Atti matrimoniali.

[11] Storpiatura della locuzione latina quod peius.



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