Latte di luna

Fiaba pubblicata da: antonellamentana

Un tempo la Luna fu dimenticata dagli abitanti di un villaggio, non molto lontano da qui.

Vivevano la loro vita in modo frenetico, dimenticandosi spesso di ammirare la bellezza delle cose che il Signore aveva donato loro, fra le quali la Luna: la grande sfera che di notte amava circondarsi di piccole fiammelle luminose, chiamate Stelle, sue fedeli compagne, che ogni notte erano solite omaggiarla, dichiarandole un profondo e sentito amore.

Era però da un po’ che Luna non era più allegra, non le spuntava neppure un sorriso e le sue labbra argentate esprimevano solo una smorfia malinconica; preferiva andare in giro per il cielo tutta sola senza più le sue dolci e piccole amiche.

Il motivo era riposto nell’indifferenza dei cuori degli abitanti del piccolo villaggio, che ormai avevano dimenticato di alzare il capo e di innamorarsi ogni sera della più bella abitante del cielo e, per quanto Luna cambiasse aspetto, colore, forma, tutto era inutile.

La sua malinconia era sempre più profonda.

Così bussò alla porta della notte Sole, da tanto Luna non ascoltava la sua voce e, quando Sole la chiamò, quasi non lo riconobbe: “Chi sei?” chiese fievole, il Sole rispose da dietro quella porta per lui proibita “Non mi riconosci?”.

All’inizio del mondo si erano spartiti il cielo e Luna aveva scelto la notte, in modo che, grazie al buio, la sua bellezza potesse risplendere di più. Da allora non si erano potuti più neanche scambiare un cortese saluto.

“Sono Sole” riprese “ho ascoltato la voce delle stelle del mattino, dicono che il tuo caldo colore ora è solo un timido biancore, che i tuoi raggi sono deboli e fiochi”. Luna rispose con un filo di voce: “Sono tanto triste” attese un momento e poi aggiunse “forse tu potrai aiutarmi, con il calore del tuo affetto e dei tuoi raggi”.

“Promettimi, però” intervenne Sole, rosso per l’emozione di parlare alla dolce Luna “che attenderai qualche istante del mattino prima di andare via, in modo che ti possa salutare e mai più dimenticare la bellezza dei tuoi raggi leggeri”; così dicendo, la strinse a sé.

Il tempo si fermò, poco a poco Luna iniziò a sciogliersi in piccole gocce, gocce argentee, chiare, tonde e corpose gocce.

Quando il tempo riprese a scorrere secondo il paziente ritmo dettato dalla natura, gli abitanti del villaggio furono accolti da una meravigliosa scoperta: le case, i giardini, le scuole, gli alberi, tutto ciò che i loro occhi potevano con lo sguardo abbracciare era ricoperto dal latte di luna.

Tutti gioirono immensamente soprattutto i bambini e le madri, che da tempo non vedevano tutta quella dolcezza in un solo colpo.

Alcuni iniziarono a ballare, saltellando qua e là, altri presero a rincorrersi, altri restarono immobili di fronte a quello spettacolo, che neve non era, non era il vento che aveva portato con sé le foglie leggere, ma era latte, latte di luna.

Improvvisamente giunse, a rompere l’idillio di quel sogno, un’enorme macchina con un lungo tubo, che iniziò a risucchiare avidamente tutto quel candido latte. A capo di quell’ infernale aggeggio c’era il sindaco, un uomo piccolo piccolo, ma che sapeva il fatto suo. Tutti gli abitanti restarono impietriti, qualcuno iniziò a urlare, a sbattere rumorosamente i piedi, altri addirittura a piangere: era tanto tempo che non ricevevano un regalo e ora ai cittadini era stato tolto anche quel dono dato dal cielo.

Il sindaco intervenne, prese un piedistallo, lo piantò nel bel mezzo della piazza e iniziò, guardando dritto al cielo: “Io sono il sindaco, primo cittadino, deciderò con cura cosa fare di tutto questo latte”.

Intanto gli abitanti si accalcavano, alcuni curiosi, altri stupiti, molti arrabbiati. “Tra pochi giorni” continuò il sindaco emettendo un lungo e rumoroso sospiro “la mia dolce bambina prenderà marito” e per la commozione tirò su col naso “preparerò per lei un’enorme caciotta con questo latte venuto dal cielo”.

Il sindaco non diede possibilità di replica, con un salto rimise i piedi a terra, alzò su col naso e scomparve con il suo mostro meccanico.

Dopo giorni di lavorazione, la caciotta fu pronta: era enorme e rotonda, proprio come la luna. Orgoglioso e sicuro del successo, il sindaco la fece portare alla figlia. Questa era affacciata alla finestra, con le sue enormi guance rosse e il vestito che le stava decisamente stretto.

Appena vide la caciotta che risplendeva e sembrava davvero succulente, saltò giù dalla finestra per tuffarsi in quella ghiottoneria. Sotto gli occhi di tutti gli abitanti, accorsi per assistere alla consegna del dono, la giovane paffuta rimbalzò, catapultata dall’altro capo del villaggio. Un boato accompagnò il volo.

I presenti scoppiarono in una risata talmente fragorosa che la sua eco durò fino a notte fonda. Il fidanzato della ragazza accorse in suo aiuto e la ripescò in un grande cespuglio. Il sindaco andò su tutte le furie, la sua dolce figliola era stata derisa dall’intero villaggio. Prese il suo piedistallo, lo piantò nel bel mezzo della piazza e, tutto rosso per la rabbia, urlò: “Per punizione nessuno assaggerà la caciotta!”.

Gli abitanti furono così puniti per le loro risate.

Ritornò il silenzio e una notte sempre più buia.

Passarono alcuni giorni, e la figlia, testarda e troppo golosa, lì lì pronta alle nozze, volle assaggiare la caciotta. Si avvicinò con un coltello affilato e ne tagliò un bel pezzo e lo mise tutto in bocca. Mentre masticava, accennava con il capo alla delizia che stava assaporando e ingoiò tutta soddisfatta, ma pochi istanti dopo iniziò a gonfiarsi, a gonfiarsi sempre più, fino a quando, diventata un enorme pallone, iniziò a salire in cielo, tra le risa dei presenti, le urla del sindaco e le lacrime del promesso sposo.

Questa volta fu davvero difficile recuperarla!

Per punizione il primo cittadino, dall’alto del suo piedistallo, comunicò che la caciotta sarebbe stata trasportata ai confini del villaggio, in modo che nessuno avrebbe potuto assaporarne neppure un pezzettino.

E così la Luna fu di nuovo abbandonata.

Lì vicino, in una piccola casa ai margini del villaggio, abitava un giovane poeta triste e innamorato. Da tempo aveva perso l’amore della sua vita, che era salita in cielo un giorno di primavera. Tanto era il suo dolore che trascorreva intere giornate a piangere e non riusciva a scrivere un solo verso, e così era sempre più solo e sempre più povero.

Una sera guardava il cielo buio e vide riflessa sui vetri della finestra l’immagine di un tondo argentato: era l’immagine della caciotta di Luna.

“Oh!” Esclamò il poeta “Ti ho tanto cercata, finalmente sei tornata” e comparve sulla sua guancia una lacrima.

“Solo tu, Luna, puoi ascoltare paziente il mio dolore! Solo tu sei bella quanto il mio amore! Questa notte la passerò guardandoti: la tua dolcezza è pari a quella degli occhi della mia amata, la tua luce è pari a quella del suo sorriso e i tuoi raggi preziosi come i suoi capelli! Quanto ti amo Luna!”.

Improvvisamente la caciotta iniziò a illuminarsi

“Allora mi ascolti” il poeta si sorprese e iniziò a piangere per la gioia “ti prego, Luna, ti prego” ripeté “porta il mio cuore al mio dolce amore, che è nel cielo e che veglia sul mio dolore”.

Luna che non aveva mai ascoltato un pianto così commovente, iniziò a salire nel cielo. Saliva, saliva e intanto lasciava dietro di sé una lunga via fatta di bianco latte. Il poeta corse fuori dalla sua soffitta e percorse quella strada luminosa, guidato dal grande tondo argentato.

La notte del villaggio si illuminò come mai in nessun altro giorno e tutti gli abitanti si affacciarono alle finestre ad ammirare uno spettacolo che mai più dimenticarono.

Salutarono il poeta, che li lasciava per sempre e una commozione fortissima colpì i loro cuori che tornarono ad amare.



Contenuti suggeriti: